Forse la "Primavera egiziana" era già sfiorita nell'incapacità a governare dimostrata dal presidente Morsi e dal suo governo. Tuttavia, credo che la difficile situazione egiziana non si risolva con i colpi di Stato o mettendo fuorilegge una forza politica». A sostenerlo è Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, già ministro per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione, ordinario di Storia contemporanea presso l'Università degli Studi Roma Tre.
L'arresto del leader supremo dei Fratelli musulmani in Egitto, Mohammed Badie, la probabile iberazione di Hosni Mubarak.È il tramonto della Primavera egiziana?
«Mohamed Morsi ha fallito la prova di governo. Sono convinto che i Fratelli musulmani debbano fare molta strada come cultura democratica e come capacità di apprendimento al governo.Tuttavia, in questo modo, con gli arresti e l'uso della forza, si radicalizzano le loro posizioni e li si spinge indietro».
Ma non può essere proprio questo il disegno dei militari e del loro stratega, il generale Abdel Fattah el-Sissi?
«I militari sono intervenuti in una situazione di grande difficoltà e di caos, ma non credo che possano cambiare facilmente gli orientamenti dell'elettorato. Certo, il problema dei Fratelli musulmani, è che non sono stati capaci di governare con gli altri, con le minoranze laiche, con i musulmani che non condividono l'ideologia fondamentalista, con i copti. Perché un partito religioso non può governare da solo, altrimenti è tentato dal totalitarismo. In ogni modo, ritengo che l'arresto di Badie come quello di Morsi, non favoriscano la riconciliazione. Quanto alla cosiddetta "liberazione" di Hosni Mubarak posso dire che non sono mai stato favorevole e mai lo sarà ai processi-vendetta. Ma ciò che mi colpisce inquieta è altro...».
Cosa, professor Riccardi?
«Mi colpisce che in un momento come questo, Mohamed el Baradei (il premio Nobel per la pace dimessosi nei giorni scorsi da vice presidente ad interim, ndr), un uomo che conosco e stimo, abbia abbandonato la giunta al potere. Il sangue crea un abisso tra gli egiziani».
L'Europa, con i suoi ritardi e le sue incertezze, non ha contribuito ad allargare questo abisso?
«La cosa che mi preoccupa è che i paesi europei non hanno una visione, e gli Stati Uniti mancano di una strategia. Tra l'altro, il mondo cristiano dovrebbe chiedersi come aiutare efficacemente le minoranze cristiane in Medio Oriente. Mi sembra che la linea dei copti, come quella dei cristiani siriani, sia appoggiare i regimi forti che garantiscono rispetto all'incertezza delle maggioranze».
Una considerazione, quest'ultima, che ci porta all'altro scenario insanguinato in Medio Oriente: quello siriano.
«Un altro scenario veramente drammatico, perché non si vede come si possa uscire da un conflitto tra un potere dittatoriale spregiudicato e violento - quello di Bashar al-Assad, e una opposizione dominata dall'estremo fondamentalismo, dal qaedismo; una opposizione frantumata. Purtroppo lì, in Siria, quando scoppiò la rivolta in Egitto, avremmo dovuto subito appoggiare l'opposizione non violenta ed evitare una spirale impossibile di odio».
Un odio che tende sempre più ad acquisire connotati religiosi.
«Noi abbiamo due conflitti: uno, è quello tra sciiti e sunniti, che travaglia il Medio Oriente arabo, in particolare la Siria, l'Iraq e lo stesso Libano, come si è visto nel recente attentato a Beirut. E poi abbiamo un conflitto interno al mondo sunnita, quello che vediamo in Egitto. La cifra religiosa è la caratteristica della cultura politica in cui si collocano le varie opzioni. Poi c'è il problema dei cristiani, che sono una minoranza in declino, quindi molti emigrano perché si sentono insicuri di fronte al fondamentalismo, e questo è un grave problema. Sono convinto che la Chiesa cattolica, e le altre grandi Chiese - penso a quella russa o al patriarcato di Costantinopoli - debbano concentrare la loro attenzione ed elaborare una loro visione con i cristiani in Medio Oriente. Penso sempre che nei confronti dei cristiani perseguitati nell'Est comunista, la Santa Sede elaborò una politica orientale, la Ostpolitik. La situazione è molto diversa in Medio Oriente, ma ci vuole una riflessione a quell'altezza».
Dall'Egitto alla Siria: il Medio Oriente è in un grande, angosciante, vicolo cieco?
«Oggi abbiamo questa sensazione. Ma non dobbiamo teorizzare l'incompatibilità tra democrazia e Islam, o democrazia e mondo arabo. dobbiamo trovare nuovi modi per aiutare l'evoluzione verso una forma di sicurezza e di pace. In questo quadro, anche le religioni hanno un ruolo importante da svolgere».
Dalla Siria e dall'Egitto è iniziata una grande e disperata fuga. Che investe in primo luogo i Paesi euromediterranei, e tra essi, l'Italia.
«Indubbiamente l'Italia sarà sottoposta alla pressione di rifugiati che vengono da Siria ed Egitto, e che si aggiungono ai rifugiati di altri paesi africani, eritrei, somali... Io credo che noi dobbiamo farvi fronte, almeno in questo, con un tributo di enerosità. Ma non siamo all'anno zero. Nell'opinione pubblica del nostro Paese è cresciuta la sensibilità verso questa umanità sofferente, come si è visto recentemente a Catania. Un cambio di registro che si è manifestato con i governi Monti e Letta. E questo dovrebbe consigliare agli uomini pubblici di misurare bene le loro parole quando parlano di questi temi».