| 6 Febrero 2018 |
'Le istituzioni in queste zone sono state assenti Chi ci vive si sente estraneo alla città ' |
Andrea Chiappori. Rresponsabile della Comunità di Sant’Egidio della Liguria, prima della missione a Genova della commissione d’inchiesta sulle periferie è stato audito a Roma, la comunità infatti opera nelle zone di periferia più degradate con presidi fissi da più di trent’anni |
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Se c’è qualcosa di davvero trasversale, nella politica di Genova degli ultimi trent’anni per le periferie, è l’assenza . «Le istituzioni, purtroppo, si sono viste in quei luoghi in modo sporadico, e non determinante. E invece, un segnale sarebbe fondamentale: perché uno dei problemi di chi vive ai margini è il fatto che non percepisce l’appartenenza alla città. Un senso di estraneità al corpo sociale molto preoccupante».
Andrea Chiappori, responsabile della Comunità di Sant’Egidio della Liguria, prima della missione a Genova della commissione d’inchiesta sulle periferie è stato audito a Roma. E a quella stessa commissione ha presentato una relazione dettagliata: molti di quegli spunti, infatti, si ritrovano nel report finale. Ma, prima di tutto, Chiappori e la Comunità di Sant’Egidio in quei territori lavorano da una vita: da 35 anni sono presenti a Begato, da dieci al Cep.
Cosa significa vivere ai margini, a Genova? «Questa non è una città con grandi periferie: ma ne ha molteplici. In senso geografico ed esistenziale. Pensiamo agli anziani: deboli, ai margini della società, soli, soprattutto a Sampierdarena. Ma la solitudine è anche quella che non ci aspetteremmo: dei giovani. Perché non esistono più luoghi aggregativi, e la periferizzazione è anche fisica, tanti ragazzi vivono in casa e non trovano sbocchi professionali».
Un focus è dedicato a Sampierdarena e al degrado. «Ecco, uno dei problemi è anche questo termine: periferie degradate. Un’espressione che identifica di solito le persone che causerebbero questo degrado. Invece, va imputato al declino di quella zona, che ha ragioni storiche: la chiusura delle grandi industrie, l’arrivo della Fiumara e la spersonalizzazione, l’abbassamento del valore delle case che ha creato ghetti. Questo non significa negare le difficoltà, ma capirne le cause».
La mancanza di consapevolezza è parte del problema? «Proprio così: ed è una questione che riguarda anche chi vive questa situazione, perché non sa spiegarsela. Bisogna dunque creare percorsi di consapevolezza della popolazione, partendo dalla scuola, che è spesso l’unico eroico presidio. Al Cep abbiamo la nostra scuola della pace che lavora con i bambini di elementari e medie, ma bisogna allargare: coinvolgere anche gli adulti».
L’emergenza più pressante è quella abitativa: secondo lei cosa si potrebbe fare? «La richiesta di case è costante, e a Genova siamo davanti al paradosso di uno spreco di alloggi vuoti perché mancano di manutenzione. Negli ultimi due anni, come Comunità di Sant’Egidio, siamo passati da zero a sessanta alloggi messi a disposizione per singoli e famiglie: al Carmine, in via Balbi, a Cornigliano. Ristrutturiamo gli spazi e concordiamo un affitto dilazionato. Ecco, credo che questo metodo si potrebbe traslare anche nel pubblico».
Erica Manna
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