L’Africa occidentale ha vissuto in queste ultime settimane due cruciali passaggi elettorali presidenziali, in Guinea Conakry e in Costa d’Avorio. In Guinea l’oppositore di sempre, Alpha Condé, ha vinto con il 52% dei suffragi. Il suo avversario, l’ex primo ministro Diallo ha riconosciuto la sconfitta. Sembra normale, ma non è così. Si tratta delle prime elezioni democratiche della Guinea dal 1958, quando divenne indipendente, dopo lo storico "no" di Sekou Touré a De Gaulle che voleva creare una Comunità franco-africana. Il Paese è a una svolta della sua tormentata storia: i guineani hanno potuto votare liberamente per la prima volta nella loro storia e ciò può divenire un buon esempio per altri Paesi africani.
Le elezioni in Costa d’Avorio, invece, si sono risolte in un caos e non sono riuscite (per ora) a portarla fuori da una forte instabilità. I risultati del ballottaggio per l’elezione del presidente sono contestati. Entrambi i candidati si dichiarano vincitori e hanno creato un loro governo. La Comunità internazionale, guidata dall’Onu, sta cercando di districare la difficile matassa. Seppure con esiti diversi, le recenti consultazioni dimostrano, tuttavia, la volontà di una svolta democratica in Africa.
Questa parte del continente è stata percorsa dalla fine degli anni Ottanta da una "guerra nomade" che dalla Liberia è passata alla Sierra leone, alla Costa d’Avorio, il Togo, la Guinea, la Guinea Bissau e il Niger. Si tratta di crisi diverse, ma legate a uno stesso ciclo di instabilità.
Le consultazioni di questi mesi sono un tentativo di interrompere tale instabilità, permettendo anche all’Africa Occidentale di agganciare la ripresa economica che nel continente non è stata scalfita dalla crisi finanziaria globale del 2007-08. Ormai da più parti, a livello internazionale, si riconosce che l’Africa è un terreno di opportunità, anche economiche, come ha mostrato il recente vertice tra Unione Europea e Unione Africana.
In questo senso la risoluzione di antiche crisi politiche è fondamentale per la ripresa. Anche perché – come nel caso dell’Africa occidentale – c’è uno stretto legame tra i vari Paesi: nel bene e nel male. Il conflitto ivoriano, ad esempio, ha avuto effetti destabilizzanti per le economie di altri Paesi del Sahel. Burkina, Mali e Niger sono rimasti senza lo sbocco al mare rappresentato per decenni dal porto di Abidjan, la capitale ivoriana. Il Niger, ultimo nell’indice dello sviluppo umano dell’Undp, ha risorse minerarie in grado di risollevarlo in poco tempo.
Per questo il felice esito elettorale in Guinea è di buon auspico per un’area più vasta, che va oltre i suoi confini. Il fatto nuovo, politicamente, è che il regolamento delle crisi sia avvenuto con percorsi interni, opportunamente sostenuti dal lavoro di realtà non istituzionali e religiose, in sinergia con alcuni Stati della regione. Si tratta di una novità importante: la società civile e politica ha avuto la forza di imprimere una svolta a regimi bloccati da tempo nel circolo vizioso "violenza-etnicismo-corruzione". È una buona notizia che lascia sperare per il futuro dell’Africa. La stessa trasparenza degli scrutini ne è un esempio, con carte elettorali biometriche e nuove liste elettorali. Il tutto accompagnato da un’accresciuta coscienza dei diritti dei cittadini.
Certamente, restano punti di preoccupazione e tensioni latenti. Il contenzioso sul risultato elettorale in corso ad Abidjan è una dimostrazione di quanto sia ancora fragile tale processo. La separazione etnica è forte. In alcune regioni, poi, si trascina da decenni una crisi senza sbocchi, come nella striscia sahelo-sahariania dove si aggiunge la preoccupante presenza di Aqmi, al- Qaeda del Maghreb islamico. Il numero dei conflitti in Africa si è ridotto, ma rimangono zone grigie dove la violenza diffusa ha preso il posto delle guerre. In questo senso il processo democratico della Guinea può diventare esemplare oltre i suoi confini.
Marco Impagliazzo