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12 April 2017

La veglia di Sant'Egidio

Quelle vittime come «tizzoni di speranza»

 
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Ifratelli e le sorelle copti ortodossi morti negli attentati in Egitto, le vittime delle milizie del Daesh, padre Jacques Hamel, il beato Oscar Arnulfo Romero, monsignor Enrique Angelelli, don Giuseppe Diana, don Pino Puglisi, Rosario Livatino. Nella gremitissima basilica di Santa Maria in Trastevere risuonano i nomi di tanti cristiani, consacrati e laici, perseguitati, discriminati o uccisi a causa della loro fede.
«Nel nostro mondo in cui si fa a gara a chi innalza muri sempre più alti ai confini, in cui si odono i frastuoni inces
santi della guer
ra, in cui frange di estremisti di ogni fazione rinnegano la ricchezza della diversità, questi "tizzoni di speranza" annunciano l'alba di un nuovo mondo», scandisce il cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, che presiede la veglia di preghiera ecumenica promossa dalla Comunità di 
Sant'Egidio, alla quale partecipano il vescovo Paolo Lojudice, ausiliare di Roma, i rappresentanti delle altre Chiese, gli ambasciatori degli Stati Uniti, del Giappone, della Germania e del Libano presso la Santa Sede, il viceministro degli Esteri Mario Giro.
Si accendono le candele per ricordare i martiri di oggi che in Egitto, Siria, Libia, Iraq, Sudan, Nigeria, India, Laos, Cambogia sono «costretti alla clandestinità, vittime di odio religioso e di limitazioni nell'esercizio del diritto di culto», spiega Farrell, senza dimenticare i cristiani che in altri Paesi «devono fare i conti con una forma sottile di persecuzione, non sanguinosa, ma non meno cruenta e devastante» che «si traveste da cultura, da progresso, e uccide non il corpo ma lo spirito, addormenta le coscienze, nega il diritto all'obiezione di coscienza, il diritto di professare pubblicamente la propria fede, di dare ai figli un'educazione in linea con la loro fede». I martiri cristiani, dice il prefetto del dicastero vaticano, non sono "kamikaze" perché «il cristianesimo non è la religione di quelli a cui piace soffrire». Sono invece «dei visionari che sognano un'umanità riconciliata e una pace possibile tra gli uomini».


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