| 25 Giugno 2014 |
L'appello. «Aleppo sia città aperta per cercare a oltranza la pace» |
Riccardi di Sant'Egidio: da due anni gli abitanti della metropoli sono assediati, per i cristiani della Siria uscire vuol dire rischiare la vita. «Serve un intervento internazionale» |
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Accade qualcosa di terribile. Ma viene ignorato. Oppure si assiste rassegnati». Per questo Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, ha deciso di rompere il silenzio e lanciare il suo appello: «Salviamo Aleppo». Nel luglio 2012 è iniziata la battaglia nella città più popolosa della Siria. I suoi due milioni di abitanti sono rimasti, preservando la millenaria coabitazione fra musulmani e cristiani. La maggior parte dei quartieri è in mano alle forze lealiste, altre zone sono controllate dai ribelli, pur costretti ad arretrare e a loro volta incalzati da sudovest dalle forze governative. «La gente - scrive nella lettera appello Andrea Riccardi - non può uscire dalla città accerchiata dall'opposizione, tra cui fondamentalisti intransigenti e sanguinari. Per i cristiani, uscire dalla zona governativa significa rischiare la vita». Un rischio ben noto ai due vescovi di Aleppo, Gregorios Ibrahim e Paul Yazigi, da più di un anno sequestrati. «Aleppo - prosegue Riccardi è la terza città "cristiana" del mondoarabo, dopo Il Cairo e Beirut: c'erano 300 mila cristiani». Ora c'è morte da ogni parte e la popolazione soffre. «L'aviazione di Assad colpisce con missili e bidoni esplosivi le zone in mano ai ribelli; questi bombardano gli altri quartieri con mortai e razzi rtigianali. Si soffre la fame e la mancanza di medicinali». Inoltre c'è «l'orribile ricatto dell'acqua che i gruppi jihadisti tolgono alla città». Riccardi chiede un «intervento internazionale» e un «soprassalto di responsabilità» da parte dei governi coinvolti: la Turchia, schierata con i ribelli, la Russia, autorevole presso Assad. «Salvare Aleppo vale più che un'affermazione di parte sul campo» e per questo si debbono predisporre «corridoi umanitari» e «rifornimenti per i civili». Per trattare a oltranza la fine dei combattimenti una forza d'interposizione sarebbe opportuna. Una sorta di «Aleppo città aperta» per imporre la pace in nome di chi soffre.
(L.Ger.)
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