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La Repubblica delle Donne

12 Novembre 2016

Com'è difficile contare i senza tetto a New York

Quelli "ufficiali" sono 60mila. Ma ne vanno aggiunti quasi altrettanti che dormono all'aperto solo d'estate o disertano i rifugi del Comune

 
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"CI VUOLE ALLENAMENTO per vedere gli homeless". Mia moglie Stefania ha cambiato vita. Con una decisione sofferta ha lasciato il lavoro alla scuola internazionale delle Nazioni Unite. Come sanno tutti quelli che s'impegnano nel volontariato - un vasto mondo, in America come in Italia, che spesso supplisce a tutto ciò che non funziona nelle nostre società - si può lavorare tanto senza ricevere una busta paga. Stefania ha avuto la fortuna d'incrociare sulla sua strada la Comunità di Sant'Egidio. E quelli l'hanno portata, letteralmente, sulla strada...
Sant'Egidio è una realtà molto piccola, qui in America, rispetto all'Italia. Cominciammo a scoprirli 16 anni fa a San Francisco perché giravano gli States in lungo e in largo per la campagna contro la pena di morte. Al Palazzo di Vetro sono di casa, rispettati per il loro ruolo come pacificatori della guerra civile in Mozambico. Ma non lontano dalla sede dell'Onu svolgono un altro compito per le strade di Manhattan. Distribuiscono pasti caldi una volta alla settimana agli homeless. Lo fanno in alcuni luoghi affollati dai turisti o dai pendolari newyorchesi: la magnifica Grand Central Station, il Rockefeller Center, Penn Station e il Madison Square Garden. Questi indirizzi sono "icone", simboli della Grande Mela e dei suoi ritmi frenetici, traversati da una folla indaffarata. Che, per lo più, gli homeless non li vede.
Forse ha smesso di vederli per abitudine. O forse li ignora perché sono loro a preferirsi così, "invisibili". Eppure sono tanti e continuano a crescere, nonostante il sindaco progressista Bill de Blasio avesse messo il dramma dei senzatetto in cima alle sue priorità.
Nel volontariato che assiste gli homeless newyorchesi ci sono organizzazioni più note e antiche di Sant'Egidio. Crudele paradosso: sulla realtà di questi senzatetto sappiamo tanto, la mole d'informazioni è approfondita, eppure non facciamo progressi. I numeri fanno venire i brividi. Sono oltre 60mila gli homeless registrati dalla città perché vanno a dormire nei centri d'accoglienza predisposti per loro. Ma questo numero sottostima la realtà: essendo la misura degli homeless che dormono in un rifugio ("shelter") in una data notte, non tiene conto del fatto che la popolazione senza casa è fluttuante: c'è una rotazione, alcuni passano da un'abitazione precaria ai centri d'accoglienza e viceversa.
La stima più realistica è di 116mila senzatetto che nel corso dell'anno si avvicendano in uno di quei rifugi. Poi ci sono quelli che negli "shelter" comunali non vogliono andare affatto. È a questi che si rivolge prevalentemente l'assistenza della Comunità di Sant'Egidio e di molte altre organizzazioni del volontariato. Il loro numero è più piccolo e tuttavia non è insignificante: circa 3.500 newyorchesi passano le notti all'addiaccio o in rifugi precari e magari illegali: l'atrio di un grattacielo, il sottoscala dell'ingresso di servizio di un negozio, la stazione del metrò, un treno per pendolari fermo su un binario, una panchina dei giardini pubblici. Una volta all'anno New York ne fa un censimento. Ho partecipato anch'io, si svolge in una notte di gennaio perché l'obiettivo è individuare quei casi disperati che rischiano la morte per assideramento. Un esercito di volontari si mobilita in quella notte per l'operazione Hope, che vuol dire speranza ma è l'acronimo di Homeless Outreach Population Estimate. Però la scelta di tenere il censimento una sola volta l'anno e in pieno inverno è stata criticata. Mescolando l'obiettivo conoscitivo (misurare il fenomeno) con quello umanitario (soccorrere i più deboli in una stagione inclemente), finisce per sottovalutarne l'ampiezza: d'estate gli "irriducibili" che dormono all'aperto sono molto più numerosi. Le ragioni per cui si rifiutano di andare nei centri d'accoglienza? Sarah, una senzatetto che dorme vicino al Madison Square Garden, le ha riassunte così: «Non mi fido, laggiù succede un sacco di roba». Furti e violenze sono endemici, malgrado la vigilanza degli addetti. Tra gli homeless c'è un'alta percentuale di malattie mentali, alcolismo, tossicodipendenze. Ma cresce anche il numero delle "famiglie home less", genitori e figli. La città cerca di sistemarle separatamente, affittando
interi alberghi. Sono, purtroppo, cure palliative.
 


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