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21 Kwiecień 2015

Un grande italiano. È stato sepolto ieri a Livorno l'ex rabbino capo di Roma, morto domenica. Nel 1986 l'incontro con Giovanni Paolo II. Mostrò all'Italia che gli ebrei sono una ricchezza identitaria

Toaff. Un maestro per i cristiani

 
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Elio Toaff si è spento (domenica sera a Roma) pochi giorni prima dei cent'anni. Era nato nel 1915 a Livorno. È stato un grande maestro ebraico e un grande italiano. E dispiace che non sia stato nominato senatore a vita, lui che era uno dei non molti leader morali e spirituali italiani (al di fuori dei cattolici). La sua vicenda di un secolo si è svolta all'insegna della resistenza e della ricostruzione. Era un italiano che non piaceva al fascismo, perché geloso della libertà, formatosi nel clima cosmopolita e tollerante di Livorno (dove ieri è stato sepolto). Il vescovo della città fece suonare le campane a morto al funerale del padre, il rabbino Alfredo Toaff, suo primo maestro. Elio divenne adulto al momento delle leggi razziste (perché ci ostiniamo a chiamarle "razziali", come se le razze esistessero?). Non andò in Palestina, perché, gli insegnò il padre, un rabbino resta con la sua gente. Dopo il 1943, in fuga con la moglie Lia (donna di grande finezza), fu preso dalle Ss e condannato a morte. Si mise a pregare, mentre lo obbligavano a scavarsi la fossa. Un ufficiale tedesco improvvisamente lo fece fuggire. Toaff ne traeva una lezione: «La preghiera mi ha salvato». Nonostante le tante sofferenze, comunicava gioia di vivere con i suoi occhi che spesso brillavano di simpatia e d'ironia sdrammatizzante.
Forte e tenace, fu il ricostruttore di una comunità distrutta e umiliata. Dal 1951, per mezzo secolo, ha guidato gli ebrei romani. Con il suo carisma, ha reso l'ebraismo una componente di spicco nella vita nazionale, che ignorava gli ebrei. Anche
il cattolicesimo non aveva grande interesse per loro. Allora c'era indifferenza o fastidio per la "diversità" ebraica. Toaff ha mostrato come la "diversità" ebraica sia una ricchezza dell'identità italiana. Il rabbino è riuscito a raccogliere tanti italiani di cultura, politici, amici attorno alla lotta contro l'antisemitismo. All'antisemitismo di destra, si aggiunse quello di sinistra. Nel 1982, fu deposta una bara vicino alla sinagoga durante un corteo sindacale. Toaff denunciò il «vento dell'odio». E venne la morte: il 9 ottobre 1982 un bambino di tre anni fu ucciso dai terroristi palestinesi fuori dalla sinagoga (significativamente il presidente Mattarella l'ha menzionato nel suo primo discorso). Ricordo bene come, nella coscienza di tutti noi, maturò la convinzione che non si potevano lasciare soli gli ebrei.
Nel 1986, Toaff ricevette Giovanni Paolo II per la prima visita di un papa a una sinagoga. Fu un avvenimento storico. L'episodio suscitò però un rigurgito di antigiudaismo cattolico. Sul Colosseo fu messo uno striscione: «Oggi il vicario di Cristo va ad incontrare Caifa». Il rabbino aveva creato un nuovo clima con una Chiesa che cambiava, fin da quando Giovanni XXIII fece fermare la sua macchina accanto al tempio e "benedisse" gli ebrei: questi «dopo un momento comprensibile di smarrimento, lo avevano circondato e applaudito entusiasticamente», racconta Toaff. E aggiunge: «Era forse quello il primo vero gesto di riconciliazione». Toaff ha avuto veri amici tra i cattolici e ovunque, anche per il dono di saper costruire rapporti. L'incontro del 1986 creò un'amicizia con Giovanni Paolo II, che ricordò Toaff nel suo testamento, unico con il suo segretario personale. Nel 2005 il rabbino era ai funerali del papa. Il "secolo" di Toaff è la storia di un grande italiano dalle radici bibliche e ebraiche, ma anche risorgimentali: suo padre fu allievo del noto rabbino livornese Benamozegh, ma pure di Pascoli. Elio Toaff ha testimoniato un umanesimo vissuto: per lui la cosa più importante «è far felici gli altri, perché se sono felici gli altri sono più felice anch'io». Ricordo personalmente di aver vissuto con lui tanti momenti belli, anche se di fronte alle difficoltà. Era sempre vigile, come chi sapeva che i tempi potevano cambiare bruscamente, e sempre pronto ad agire.
Forse l'esperienza più ricca vissuta da me con lui è stata la genesi della manifestazione in ricordo della razzia degli ebrei romani da parte dei nazisti, il 16 ottobre 1943. Ogni anno, da decenni, per fare memoria, tanti romani si ritrovano nel luogo da cui partirono i camion tedeschi con i deportati ebrei. Lì, nel 2004, Toaff disse: «Sedici ottobre? Chi se ne ricordava? Chi è che ha partecipato al ricordo della strage che veniva fatta del popolo ebraico in questa città? Nessuno, c'è soltanto la Comunità di Sant'Egidio che ha mantenuto il ricordo e che ogni anno desidera continuare a ricordare qui insieme a tutti noi...». Sono parole che ricordo con commozione.
La storia dell'amicizia di tanti (e mia personale) con Toaff è stata una prossimità fatta di solidarietà e simpatia, che mostra come il "dialogo" prenda carne in un rapporto che vibra le diverse tonalità personali, fraterne, sociali, religiose. Si è troppo insistito su un dialogo accademico o formale, trascurando la concreta amicizia tra persone e comunità, vera espressione della stima per il patrimonio e la realtà dell'altro. Soprattutto il dialogo è convinzione che non si può vivere senza l'altro. Il nome di Elio Toaff resta come un grande maestro per l'ebraismo. Ma anche un maestro per i cristiani e per tutti.


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