Deputy Minister of Foreign Affairs, Italy
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La crisi che ha travolto l’economia finanziaria tra la fine del 2008 e l’inizio di quest’anno, ha colpito l’Africa dopo anni di crescita incoraggiante. Possiamo dire che, ancora una volta, l’Africa paga colpe non sue. In un primo tempo il continente è rimasto ai margini della tempesta, perché la sua economia non è così esclusivamente basata sulla finanza e virtuale quanto quella del resto del mondo. Si tratta piuttosto di un’economia reale, legata alle risorse minerarie e agricole presenti sul continente. Tuttavia la recessione mondiale provoca conseguenze gravi, diminuzione delle esportazioni e disoccupazione, assieme all’instabilità dei prezzi delle materie prime. Sappiamo inoltre che una speculazione senza scrupoli ha innescato pochi mesi fa una terribile spirale dei prezzi alimentari. C’è fame di capitali e di fondi per lo sviluppo, che rischiano di essere trattenuti e non più investiti. Le tensioni protezionistiche chiudono i mercati ricchi alle merci africane e non ne riconoscono il giusto prezzo. Le promesse fatte dai paesi ricchi sul raddoppio degli aiuti rischiano di non poter essere mantenute, malgrado lo sforzo del G8 dell’Aquila di trovare nuove forme di finanziamento allo sviluppo e di allargare il dialogo tra Africa e mondo ricco. Occorre chiedersi assieme cosa fare al fine di arginare gli effetti della crisi sul tessuto già fragile di un’Africa in piena transizione: transizione economica nella globalizzazione che riguarda tutti i paesi e non solo l’Africa; transizione politica verso la democrazia; ed infine transizione istituzionale nelle aree dove si sta passando –con le note difficoltà – dall’instabilità endemica e dalla frammentazione del conflitto alla pace.
Come sapete, la Comunità di Sant’Egidio è oggi un attore importante sul continente. Presente in più di 25 paesi con le sue comunità, composte interamente da membri africani e dirette da responsabili africani, Sant’Egidio ha promosso numerose iniziative di lotta alla povertà e di sostegno alle fasce deboli della popolazione. Con i malati, con i bambini in difficoltà, nelle prigioni, nei villaggi isolati, negli slums delle grandi città, con i rifugiati e anche gli anziani abbandonati, le comunità africane di Sant’Egidio, offrono volontariamente e gratuitamente il loro sostegno umano e concreto, assieme alla loro amicizia, ricostruendo un tessuto familiare e comunitario laddove è messo in crisi dalla povertà e dalla violenza. In particolar modo, negli ultimi anni Sant’Egidio ha dato vita ad un grande progetto di cura dell’AIDS, chiamato DREAM, che opera in 10 paesi dell’Africa e offre cure gratuite complete contro la pandemia ad un livello di eccellenza dal punto di vista scientifico e tecnologico. Aggiungo il lavoro per il dialogo e la pace nelle crisi politiche e nei conflitti armati che ha ottenuto importanti risultati come la pace in Mozambico nel 1992 (dopo una guerra che aveva provocato un milione di morti e 27 mesi di negoziato a Roma), e altre iniziative per la Liberia, Burundi, Togo, Costa d’Avorio, Uganda, Sudan e altre regioni, come forse saprete. Per questi motivi, e per un’amicizia e un rispetto che dura da molti anni, l’Africa non è per la Comunità di Sant’Egidio una realtà lontana, ma una casa che sentiamo anche nostra e molto vicina, dove vivono, pregano e lottano migliaia di nostri fratelli.
La nostra esperienza ci spinge ad affermare che non si può guardare al continente come ad un groviglio di problemi irrisolvibili dai quali stare lontani, composto da guerre, violenza, pandemia e povertà, oltre che da emigrazione, di cui si parla spesso in maniera tanto semplificata e ossessiva. Occorre andare nella direzione opposta di quella che prevale nelle società europee ricche e spaesate, cioè dell’allontanamento e della paura del contagio. La complessa realtà di un continente è diversa da quella rappresentata in maniera allarmistica dalla cronache. Oggi l’Africa conta di più. Ci sono buone notizie. Si sono dissolte dittature, cleptocrazie, regimi di apartheid. C’è stata la pace in molti paesi. La “democrazia” é simpatica agli africani, come la libertà di stampa e di parola. Il capitale umano africano è significativo. L’Africa non è solo un giacimento a cielo aperto, ma è ricca di risorse umane, di giovani, che sono anche risorse demografiche. Bisogna guardare non solo alle risorse della terra africana, ma anche agli africani come risorsa. Si tratta di un valore immateriale che conta. Tra le giovani generazioni si sviluppa uno spirito di intrapresa individuale, meno frenato da una tradizionale visione collettiva e clanica, anzi –in taluni settori- molto globalizzato. L’Africa è una grande realtà, differenziata, articolata. Uno sguardo pessimistico e semplificato occulta la realtà di un grande continente con molte opportunità da offrire alle economie e alla politica europea. Vorrei dire che occulta anche le opportunità che esso offre all’umanità europea. Se si prende il caso dell’emigrazione, che tanto ha fatto discutere recentemente, va detto che una reazione istintiva e non ragionata rischia di far perdere di vista la visione di insieme e di lasciare cadere sull’Europa solo i problemi del continente. Come ha dichiarato alcuni mesi fa il ministro degli Esteri del Senegal, il problema dell’emigrazione va risolto in un “quadro euroafricano” (tra Unione Europea e Unione Africana), evitando facili contrapposizioni e riflettendo assieme sulle opportunità che ne possono sorgere. Non posso non ricordare come tale approccio faccia eco alle idee di un altro grande senegalese, il presidente L. S. Seghor, che parlava di “sogno e pensiero euro-africano” come base ideale e umanistica per un futuro comune. Esiste un interesse che l’Africa porta per tale nuova costruzione, attraverso un partenariato più libero e più giusto. Dobbiamo avere il coraggio assieme di una visione di lungo periodo e discutere senza complessi tra europei e africani con realismo. C’è un’oggettività della storia e della geografia: Europa e Africa condividono lo stesso spazio storico, culturale e geografico. Assieme dunque devono far fronte ai problemi che hanno dinanzi.
Certamente L’Europa non può dimenticare un dovere di solidarietà e responsabilità davanti alle persistenti debolezze del continente, come la fragilità di Stati, le guerre, i fenomeni di cattiva gestione e corruzione, l’ineguale ripartizione delle risorse, l’autoritarismo latente dei governi nei confronti della società civile africana, il laborioso avvento della democrazia, l’incidenza terribile della pandemia dell’AIDS e le emergenze umanitarie. Questi temi sensibili devono però essere affrontati in un’ottica di rinnovata partnership e non di rassegnato pessimismo. L’Africa non può essere soltanto “l’ultimo miliardo”, per parafrasare il libro di Paul Collier, rimasto inesorabilmente indietro nella corsa allo sviluppo. C’è qualcosa in più da capire. L’Africa deve rafforzarsi come interesse europeo in una prospettiva di coinvolgimento della società nel suo complesso. Bisogna far parlare gli africani. Del resto l’Africa contemporanea si sta misurando, pur tra tante difficoltà, con un processo di unificazione continentale, quello dell’Unione Africana, ponendosi come un interlocutore di rilievo e percorrendo, a suo modo e con il suo genio, la stessa strada dell’unità e dell’integrazione politica ed economica che cercano di compiere gli europei. Su questo crinale i due continenti stanno davanti alle stesse sfide e –occorre dirlo- alle stesse difficoltà.
Vorrei concludere dicendo che c’è un’emergenza che dobbiamo affrontare uniti, europei e africani. La crisi finanziaria ce ne ha dato una piena e drammatica dimostrazione: la mancanza di un’etica nell’universo imbarbarito dell’economia finanziarizzata –etica di cui tutti oggi sentono un’acuta mancanza. Essa rivela un vuoto nel cuore stesso della globalizzazione. E’ il vuoto dell’umano, della carenza di un’economia, ma anche di una politica, costruite attorno all’uomo e al servizio dell’uomo, non slegate dall’obbligo di rispondere alle esigenze profonde e reali delle donne e degli uomini del nostro tempo. Sotto gli occhi di tutti è avvenuta una rottura: quella tra umano e virtuale, tra un’economia basata sui bisogni e sulle opportunità, ed una legata solo a un profitto (tra l’altro immaginario, non vero, impalpabile, senza presa sulla realtà) inteso come strumento di competizione, di avidità e di sfruttamento. Una rottura tra politica intesa come bene comune e un’altra interpretata solo come rapporti di forza. Sotto i nostri occhi si dispiegano le tristi conseguenze di mondo ridotto come un grande mercato, in cui tutto di compra e si vende. Mi pare che si possa parlare –cito il prof Andrea Riccardi- di una malattia spirituale che ci lascia tutti preda della dittatura di un materialismo imbarbarito, in cui non c’è più spazio per il progetto, per le idee, nemmeno per l’ideologia. Africani ed europei capiscono bene i rischi e la portata di tale vuoto etico e umano. Nella cultura degli europei e degli africani, in maniera diversa ma allo stesso tempo interconnessa, stanno iscritti gli anticorpi per bloccare questa deriva.
Davanti a tale crisi nessuno si salva da solo. Cercare di cavarsela da soli, la debrouillardise come si usa dire sia in Africa che in Italia, rappresenta un abbaglio: la crisi infatti è più profonda che un semplice squilibrio delle bilance commerciali o degli investimenti. Non basterà metter un po’ a posto i conti o temporaneamente volgersi ad un miglior offerente. E’ una crisi di senso, del significato stesso dell’economia come servizio al bene comune e della politica come arte del vivere insieme. Per questo è un’illusione ricominciare come prima o pensare a piccoli aggiustamenti. Davanti all’enorme sfida che concerne tutti, l’Europa e l’Africa possono mettere a disposizione del mondo il contenuto umano delle loro culture e del loro partenariato. Non esistono altri due continenti al mondo così diversi e cosi legati, che –nel bene e nel male della grande storia- abbiano avuto la possibilità di conoscersi e di interagire in profondità, pur senza cambiare e rimanendo se stessi. Certamente abbiamo bisogno di rilanciare una cooperazione più giusta tra Europa e Africa nel campo del trasferimento delle tecnologie, del know how, della formazione specializzata, della cooperazione produttiva e non solo dello sfruttamento delle risorse. Ma questo sarà possibile in maniera efficace se partiremo dalle ragioni di fondo di una nuova partnership: e cioè che Europa e Africa possiedono quel contenuto umanistico che serve oggi al mondo per non impazzire, per non imbarbarire, per non perdere se stesso. C’è bisogno di un “nuovo umanesimo euro africano” e soltanto uniti potremo offrirlo al mondo.
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