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LA STORIA

Escono a Parigi le memorie di Fernand Meyssonnier, boia di Algeri: comp� 200 esecuzioni

�I nonni mi insegnarono il Vangelo. Mio padre la ghigliottina�

�Non mi pento di nulla. Che diritto avevano i criminali di vivere?�

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PARIGI - Il segreto sta nel tenere ben ferma la testa, in modo che il colpo cada preciso e la morte arrivi in un attimo e il condannato non soffra. Conosce il mestiere Fernand Meyssonnier. In Algeria, durante la guerra d�indipendenza, la ghigliottina era per lui una routine, un gioco da ragazzi, visto che cominci� a far cadere teste a 16 anni, e una tradizione di famiglia: boia il padre, Maurice, boia il padrino, Henri Roch, e boia gli antenati, fra i quali Sanson, celebre nella storia francese perch� esegu� la condanna del re, Luigi XVI.

A 72 anni, un malato di cancro che �uccide il tempo, dopo aver ucciso uomini�, Meyssonnier, che nei tratti assomiglia all�attore Fernandel, con una sottile ironia nello sguardo, ha deciso di pubblicare le memorie: � Paroles de bourreau �, parole di boia, edizioni Imago, un libro scritto in collaborazione con il sociologo Jean-Michel Bessette.

Uscito ieri a Parigi, promette di riaccendere polemiche e inquietudine nella coscienza della Francia sul passato coloniale. Meyssonnier si limita a rievocare, nei pi� macabri dettagli, l'attivit� di �braccio della legge�, �funzionario al servizio di de Gaulle�, �esecutore che non si � fatto domande sulle sentenze�. Ma queste sentenze rispondevano alla macchina repressiva dello Stato e, negli anni pi� drammatici, fra il '56 e il '58, agli ordini del ministro della Giustizia dell'epoca, il futuro presidente Fran�ois Mitterrand.

Suo padre, ex membro del partito comunista, cominci� nel 1928 e fece scendere la lama 344 volte. Maurice non lo super�: 200 esecuzioni concentrate in pochi anni. Diversi condannati �erano criminali comuni�, ma la maggior parte �terroristi, membri del Fronte di liberazione e attivisti�. Fra essi, Fernand Yveton, ghigliottinato all'alba del 21 febbraio 1957, militante comunista: un capitolo a parte, fra le vicende oscure della guerra, l'unico motivo di rammarico nella famiglia Meyssonnier, che conosceva il condannato.

�Per gli altri - dice - non mi pento di nulla. Ogni volta pensavo alle vittime, ai vecchi e ai bambini dilaniati dalle bombe. Che diritto avevano i criminali di vivere? C'era una guerra in corso. Se de Gaulle non avesse promulgato l'amnistia avrei superato Sanson�. E' credente, Meyssonnier? �I miei nonni mi hanno insegnato il Vangelo. Rispetto la religione, ma non sono credente. Mi sono sempre chiesto se Dio ha fatto l'uomo o se siano gli uomini a essersi creati l'idea di Dio. La religione mi ha lasciato la coscienza e il senso della giustizia. Per il resto, aspetto di morire in pace, perch� non ho mai pensato di aver fatto qualche cosa di sbagliato. Certo, nei panni di un giudice, proverei rimorso se avessi fatto condannare un innocente. Ma io?�.

Nessuna piet�, nessun senso di colpa. Un professionista: �La ghigliottina fa impressione, perch� il sangue schizza fuori e devi raccogliere la testa dal cesto. Ma il condannato non soffre, se gli sistemi bene la testa, stando attento che la lama non ti tranci le dita. La sedia elettrica � pi� dolorosa. Una barbarie. A chi mi giudica, faccio notare la differenza fra il boia e il pilota che sgancia una bomba sui civili e magari viene decorato�.

L'ex boia vive in Provenza, a Fontaine-de-Vaucluse, nella bella casa costruita con i risparmi di una vita tumultuosa. Quando finisce la guerra, per i funzionari francesi, non c'� pi� un angolo sicuro in Algeria. La famiglia, che gestiva un bar, ripara a Nizza. Fernand, che da bambino aveva sentito parlare delle isole tropicali, sceglie Tahiti. Non ha un soldo in tasca, ma ha solo trent'anni e un passato senza fantasmi, perch� la coscienza � tranquilla. Sposa una bellezza esotica, molto pi� giovane di lui, che gli d� una figlia e lo aiuta a diventare ricco: un ristorante, terreni, piccole imprese, un'agenzia di viaggi.

La ghigliottina, quella che lui e suo padre hanno usato, gli va appresso, come un cimelio, oggi esposto nel piccolo museo della pena di morte che ha creato a sue spese, a due passi da casa. Documenti, una garrota spagnola, qualche effetto personale lasciatogli dai condannati. E la ghigliottina lo fa sentire un protagonista della storia di Francia, a suo modo dalla parte della giustizia, sia quella applicata al canto della Marsigliese, decapitando il re, sia quella della �grandeur�, che mandava a morte terroristi e rivoluzionari algerini, attivit� in cui si sono distinti, con mezzi diversi, dalla repressione armata alla tortura, anche generali, prefetti, uomini politici, come i pi� famosi Maurice Papon e Jean-Marie Le Pen (anche se quest'ultimo ha sempre smentito).

�Ho voluto spiegare la mia funzione, oggi sono contro la pena di morte. Sono un autodidatta, ma ho letto Beccaria. Meglio l'ergastolo, per quanto non riesca a capire come certi mostri in circolazione possano meritare di vivere�. Ridotta a banalit� da macelleria, con i dettagli di lame affilate e ingranaggi oliati con cura, la �funzione�, come la chiama Meyssonnier, diventa un mestiere come un altro, dignitoso e tanto pi� rispettabile perch� noioso e ripetitivo: �Siamo considerati una specie maledetta e forse per questo il lavoro � stato tramandato di padre in figlio. Le autorit� ci affidavano il compito sulla base della fiducia. Mio padre mi fece assistere alle esecuzioni e poi mi arruol�. All'inizio ero quello che teneva il braccio del condannato fino al patibolo. Poi divenni il primo aiutante, quello che in gergo si chiama il "fotografo", perch� sistema la testa nella lunetta, e poi divenni il capo. Le autorit� ci proteggevano, si poteva circolare armati, eravamo dei privilegiati e in una guerra non � cosa da poco�. Nella casa in Provenza, il boia di Algeri tiene un pappagallo, addestrato a cantare la Marsigliese e un ritornello macabro che fa rima con Meyssonnier e la �t�te tranch�e�. La �funzione� del pappagallo, come quella del boia, � ripetere. Che differenza c'�? 

Massimo Nava  


 

FRANCE/ALGERIA: M Guillotine executes a profit in kill and tell

WHEN Fernand Meyssonnier, a stocky 72-year-old in a green check shirt, wants to demonstrate what he did for a living, he escorts visitors to the back of a souvenir shop in the picturesque village of Fontaine de Vaucluse, near Avignon, in southern France. There, tucked away behind the ceramics and Proven�al spices, is a functioning guillotine. He lovingly caresses the dark wooden beams enclosing the triangular blade dating from the turn of the century. "It is the quickest and most humane death," he said, nonchalantly. "3 seconds and that's it."

 Nobody is better qualified than Meyssonnier to explain the grim mechanics of this eye-catching memento: as an executioner he helped to decapitate more than 200 prisoners in the former French colony of Algeria and his memoirs, published this week, are not for the faint-hearted

 . "My job was often to hold the head just as the blade was coming down," he explained. "The blade falls, tchak, and the head stayed in my hands. Holding a head at the moment of death makes quite an impression."

 He retains the same fascination for the subject that he felt when he attended his 1st execution at the age of 16: "I remember uttering a little cry, Ahhh! When the blade drops, there is a jet of blood that spurts about 3 metres, about the same amount as 2 glassfuls."

 Meyssonnier became an apprentice to his father, chief executioner in Algeria, and helped to assemble the guillotine at various jails for executions, mainly of Muslims subject to French law. He tied up prisoners with fishing line, escorted them to the guillotine and hosed it down afterwards. His main task was pulling the prisoners head towards him so that it would be cleanly severed.

 "It was quite dangerous, actually," he said. "If you put your fingers too close to the blade you would lose them. If you put them too close the other way, you could be bitten."

 It was also messy work. After one bad drenching, Meyssonnier took to wearing a cap. "I can still remember the smell of human blood," he said.

 In 1957 he became his father's assistant. It was a busy period: the Algerian war of independence was hotting up and hundreds of suspected rebels were awaiting their fate on death row. "In one month alone we executed 20 prisoners," said Meyssonnier. "One day we executed 5 in a row.

 "They tried to be respectful of the condemned. Prisoners would be offered a last cigarette. Some were courageous," said Meyssonnier. "Others howled like dogs."

 Meyssonnier Sr would cut the shirt to expose the shoulders before leading a man up to the guillotine. "My father would sometimes say, 'Mind the step.' It was his way of distracting them. They would look down and not see the blade."

 The prisoner was pushed onto the bascule, a rocking wooden plank on which he was lowered into position. Meyssonnier Jr would lower the lunette, a wooden bar with a semicircular indentation, over the neck, before grabbing the head and signalling to his father go, at which point the blade would drop.

 "The body would be pushed into a large basket, to be joined by the head. It was quick," said Meyssonnier. From the bascule to the drop of the blade just a few seconds.

 He talks of the terror of the men who he executed, especially those who had to wait their turn, a fate often reserved for prisoners the men disliked.

 "They would be seated just 10 metres away," Meyssonnier recalled. "Although they could not see the guillotine, they could hear the screams. And the sound of the blade dropping, silencing the screams."

 On one occasion a prisoner managed to wriggle off the bascule, landing in the basket which contained the bodies of two companions. The howling man was lifted back onto the plank and quickly dispatched.

 When the triumph of the independence movement put paid to the executions, Meyssonnier spent 30 years in Tahiti before settling in France. Although long retired, he keeps the scale model of a guillotine that he made at 14 as a birthday present for his father, as well as a pair of spectacles that he removed from the face of Fernand Yveton, a militant communist, before executing him in 1957.

 The punishment and justice museum that he set up at his home in 1992, in which the Algerian guillotine was the chief attraction, failed to attract interest and he is subletting the space to a shop.

 Now suffering from liver cancer, it is Meyssonnier's turn to confront mortality. Although he has come to oppose the death penalty and describes as monstrous the American system of keeping prisoners on death row for years, he expresses few regrets about his career.

 "The people he killed were all guilty," he insisted: "That is what I have tried to remember."

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 'Crack, and the head was in my hands'

 Fontaine de Vaucluse: The last surviving executioner in France, Fernand Meyssonnier, recalls in vivid detail the 1st time he saw the guillotine in action: "I was 16, and my father asked me if I wanted to watch. The guy came out flanked by 2 guards. They pushed him on to the plank. I saw the head go between the 2 uprights, and then in a tenth of a second it was off."

 Now aged 72 and living in this Proven�al village, M Meyssonnier is speaking for the 1st time in public of the 21 years in which he served as the State's avenging arm in French Algeria. His father was chief executioner and in 1947 he inducted his son as an apprentice. By 1958 Fernand had taken part in more than 200 executions.

 Normally he was 1st assistant, which involved tugging the convicts head through the wooden hole, the half-lens, and holding it as the blade came down. "You must never give the guy the time to think," he says, "because if you do he starts moving his head around and that's when you have the mess-ups. So Id say: 'Go, father!' And, crack! The head is in my hands, and I put it in the bucket."

 He now has cancer of the liver. A biography, Words of an Executioner, comes out this week. The aim, he says, is to end this image of the bloody executioner. I was the arm of justice: that's it."


 

Le bourreau d'Alger

Chez les Meyssonnier, on guillotinait de p�re en fils : 340 ex�cutions, � peu pr�s, en trente ans. Retrait� dans le Vaucluse, Fernand, le fils, se souvient.

 De Fernand Yveton, militant communiste, guillotin� � l'aube du 11 f�vrier 1957, � Alger, il ne se rappelle rien, ou presque. Apr�s avoir refus� l'entrevue avec un pr�tre, Yveton le libre-penseur avait �t� conduit � l'�chafaud. Il �tait "tr�s p�le" et il "respirait mal", mais il est mort "courageusement". Parole de bourreau. "Qu'il s'appelle Fernand comme moi, �a m'a fait dr�le", rumine Fernand Meyssonnier, qui remplissait ce matin-l� les fonctions d'ex�cuteur adjoint. L'ex�cuteur en chef, celui qui fait tomber la lame, �tait son propre p�re, Maurice Meyssonnier. "A lui aussi, �a lui a fait quelque chose", assure le fils.

 Les deux hommes �taient pourtant rod�s. Meyssonnier senior, pied-noir de la deuxi�me g�n�ration, ex-militant du Parti communiste fran�ais et patron de caf� � Alger, avait �t� initi� d�s 1928 au maniement de la"veuve". Soit, en trente ans de "b�cane", plus de 340 guillotin�s � son actif - "144 terroristes et 200 droit commun", selon ses propres termes. Pour sa part, Meyssonnier junior, adjoint b�n�vole � partir de 1948, a ex�cut� en vingt ans quelque 200 personnes - la plupart durant la guerre d'Alg�rie. Ce qu'il r�sume � sa fa�on : "Pendant le FLN, c'�tait � la cha�ne." Normal, dans ces conditions, qu'on ne se souvienne pas de tout le monde... "Si de Gaulle n'avait pas fait la paix des braves [en 1958, ann�e o� les ex�cutions capitales ont cess� en Alg�rie], on aurait d�pass� Sanson", soupire l'ancien guillotineur, qui �voque le bourreau de Louis XVI comme on le ferait d'un vieux cousin.

 En cette fin septembre, � Fontaine-de-Vaucluse, le perroquet Michel pousse mollement la chansonnette. Il siffle L'Internationale, puis, machinal, entonne La Marseillaise. Il imite � merveille la voix de son ma�tre, Fernand Meyssonnier, avec ces "pfft" et ces "tchh"de lassitude, accroch�s aux phrases � l'accent tra�nant. "Tout condamn� � mort doit avoir la t�te tranch�e. Vive Meyssonnier !", r�cite le volatile. Son vieux bourreau de propri�taire a, lui, la t�te solidement arrim�e. Une t�te de clown triste, m�lange de Fernandel et de Charles Pasqua. Le perroquet Michel sait aussi crier "Vive Papon, � bas les cons !", indique le vieil homme.

 Aujourd'hui �g� de 72 ans, install� dans le midi de la France apr�s une longue escale � Tahiti, Fernand Meyssonnier aime � se pr�senter comme un "anarchiste de droite" et pr�cise, sans se faire prier, avoir vot� "dans le pass�" pour Jean-Marie Le Pen, pr�sident du Front national et ancien de la guerre d'Alg�rie. Il a aussi vot� "� gauche", ajoute-t-il. Mais tout �a, au fond, ne l'int�resse pas. La seule chose qui l'anime, qui l'enflamme, c'est de parler de la guillotine. C'est sa sp�cialit�. Et de l'Alg�rie de sa jeunesse, une Alg�rie fran�aise, pleine de soleil et de cruaut�s, o� il n'y avait pas de guerre. Juste des "�v�nements". Le caf�-restaurant de son p�re, le caf� Laperlier, fut son haut lieu d'apprentissage, la vraie �cole du jeune Fernand. Les d�put�s communistes venaient y banqueter. On y trinquait aussi avec les huiles de la police. Le p�re Meyssonnier �tait le roi de la farce. Il se moquait des Juifs et des Arabes, avec l'humour �pais de l'�poque, fa�on Almanach Vermot. Dans les coulisses de ce th��tre, le petit Fernand suivait les va-et-vient de l'"�quipe", celle des ex�cuteurs, o� officiait son p�re, ce club ferm�, discret, 100 % masculin, s'�clipsant en camion puis, plus tard, en avion, pour transporter les "bois de justice" (les pi�ces de la guillotine) jusqu'� Oran ou Constantine, parfois jusqu'� Tunis. On disait "faire un d�placement".

 Initi� par son p�re, � qui il offre, � l'�ge de 14 ans, une maquette de guillotine, Fernand Meyssonnier assiste en juillet 1947, alors qu'il a 16 ans, � sa premi�re ex�cution. Comme un d�pucelage macabre : "Lorsque la lame est tomb�e, je me rappelle avoir pouss� un petit cri : Ahhh ! Oui, quand il a bascul�, de le voir basculer... quand j'ai vu que sa t�te �tait entre les deux montants et que �a allait �tre la derni�re seconde... (...) Et puis alors, le sang ! Parce que, d�s qu'on le bascule, deux secondes apr�s, la lame tombe, et il y a un jet de sang qui file sur le c�t�, qu'est rapide, comme deux verres qu'on jette � trois m�tres", raconte-t-il dans ses M�moires, Paroles de bourreau (�ditions Imago), � para�tre le 25 septembre. "La peine de mort, la guillotine, il est tomb� dedans quand il �tait petit", commente Jean-Michel Bessette, professeur de sociologie � l'universit� de Besan�on, qui a mis en forme le t�moignage - premier du genre - de l'ex-bourreau d'Alger. Dans ce livre, une photo montre l'"�quipe" en train de casse-cro�ter � l'int�rieur du fameux camion. Le pain et les gamelles sont pos�s sur la corbeille (vide) qui sert � recueillir les cadavres des ex�cut�s. "Repas froid � trois heures du matin", a not� Maurice Meyssonnier. Pique-nique avec la mort, en habitu�s. Le clich� doit dater de la fin des ann�es 1950. Cette nuit-l�, sur la route de Tunis, "il faisait un froid de canard", rapporte simplement Fernand Meyssonnier. "Apr�s l'ex�cution, on rentrait chez nous, comme un entrepreneur apr�s son travail. Ou comme un chirurgien qui vient de faire une op�ration, ni plus ni moins", dit-il encore.

 Etrange "op�ration" que celle qui consiste � infliger la mort � l'un de ses semblables. Froidement, avec m�thode, en chemise blanche et cravate noire. "Quand on fait tomber la lame, c'est comme un film � toute vitesse. En deux secondes, tout est fini. �a donne un sentiment de puissance." Peu importe, � cet instant-l�, de savoir qui est le condamn�. Peu importent sa vie, son nom, la couleur de ses yeux. Au contraire. "Le type qu'on guillotine, il ne faut pas penser � lui, il faut se concentrer sur la technique." En parlant, Fernand Meyssonnier s'est lev�. Tout son corps se met � bouger. "Pendant l'ex�cution, je suis un autre homme : je pense aux victimes, � ce qu'elles ont subi, je suis le bras vengeur."Dans son salon, entre les fauteuils et la table de billard, il mime l'ex�cution.

 Ses gestes sont pr�cis. La fonction de "photographe" (plac� au pied de la guillotine, il doit saisir la t�te du condamn� qui passe par "l'objectif" et la poser, une fois coup�e, dans la bassine pr�vue � cet effet) est une fonction "d�licate" et "dangereuse". On a la mort au bout des doigts. "D�s que la lame tombe, pfffch... la t�te me reste entre les mains ! Tenir une t�te entre ses mains apr�s la chute de la lame, c'est quelque chose de tr�s impressionnant qu'on ne peut pas vraiment expliquer", assure Fernand Meyssonnier.

 Est-ce par perversit� ou parce qu'il est blind� qu'il d�crit avec un tel luxe de d�tails les bruits de la guillotine, l'odeur du sang humain, la fureur d'un condamn� qui hurle et se rebelle, ou, chez cet autre, "l�, l'effroi dans le regard" avant l'affreuse bascule ? La mort, cette mort-l�, si froide et si rapide, Fernand Meyssonnier en est impr�gn�. Comme la France de l'�poque en �tait impr�gn�e. Bien qu'aient figur�, parmi les condamn�s, des "assassins de grande valeur", selon le mot d'Andr� Berger, bourreau �galement connu sur la place d'Alger, "aucun de ceux qu'on a guillotin�s n'�tait un innocent", mart�le Fernand Meyssonnier. Lui et ses coll�gues ont-ils fait autre chose qu'ob�ir aux ordres donn�s par la justice - et, durant la guerre, par l'arm�e ? N'avait-on pas d�cor�, dans les ann�es 1950, de la "m�daille de vermeil du travail" le pr�d�cesseur et "parrain" des Meyssonnier, Henri Roch, pour ses bons et loyaux services en tant qu'"ex�cuteur des sentences criminelles" - terme officiel d�signant le bourreau ? "Fernand Meyssonnier a le sens et le go�t de l'histoire. Il se rend compte qu'il s'est trouv� dans une situation historique tr�s particuli�re", souligne Jean-Michel Bessette. "S'il fait un tel r�cit, c'est par souci de t�moigner de la mani�re la plus compl�te de cette p�riode, qui fait partie de l'histoire de la France."

 A Fontaine-de-Vaucluse, dans un coin du salon, une grande pi�ce lumineuse, prolong�e d'une terrasse surplombant la rivi�re et les toits du village, Fernand Meyssonnier a install� sa guillotine miniature - celle offerte � son p�re, aujourd'hui d�c�d�. Dans le petit panier d'osier pos� au pied de la machine, il a mis une paire de lunettes.

 Non, pas les siennes, mais celles d'un Alg�rien d�capit� pendant la guerre. Sur le coup, il a du mal � se rappeler son nom. "C'est celui qui pr�parait les bombes, vous savez ? On l'avait surnomm� le chimiste. C'est moi qui lui ai retir� ses lunettes. Je les ai gard�es en souvenir", explique l'ancien bourreau. La famille d'Abderrahmane Taleb, combattant du FLN guillotin� le 24 avril 1958, � Alger, n'en a sans doute jamais rien su. Ce n'est pas la seule relique que Fernand Meyssonnier ait gard�e pr�s de lui. Le salon, � lui seul, est un bizarre capharna�m : outre la mini-guillotine paternelle, on peut y admirer des tableaux de vahin�s et des colliers de coquillages rapport�s de Tahiti, une carte d'Alger de 1961, ornant la table basse, la photo d'un bagnard anonyme et, sur un bout de table, le moulage en bronze de la t�te et des mains de Fernand Meyssonnier lui-m�me. "Je veux qu'on y mette mes cendres", commente le vieil homme, en tapotant d'un doigt distrait le dessus de son cr�ne en bronze. Sur la chemin�e, cach�es derri�re un bouquet de fleurs s�ch�es, reposent les cendres de ses parents.

 AU rez-de-chauss�e de la maison, � l'endroit o� l'ancien guillotineur d'Alger avait ouvert, en 1992, un �ph�m�re Mus�e de la justice et des ch�timents, des choses plus �tonnantes encore dorment sous la poussi�re : des instruments de torture datant du Moyen Age, une copie de guillotine grandeur nature, mais aussi, derri�re une glace sans tain, la t�te d'un d�capit� baignant dans le formol - "il a d� �tre ex�cut� � Paris, en 1901 ou 1902" - et, au fond d'un carton, le cadavre dess�ch�, pareil � une momie, d'un inconnu de sexe masculin que Fernand Meyssonnier croit avoir achet� "il y a plusieurs ann�es, lors d'une vente aux ench�res � Drouot".

 S'il n'a gu�re la m�moire des dates, l'auteur de Paroles de bourreau a un sens aigu de la relativit� des sentiments humains. "Ce qui se faisait avant en mati�re de torture, on ne le supporterait plus aujourd'hui : arracher les membres, br�ler les pieds, tous ces trucs-l�, ce n'est plus possible. A l'�poque, les gens se ruaient pour voir : les ex�cutions publiques, c'�tait la corrida ! On est devenu beaucoup plus sensible. La piti�, finalement, c'est r�cent." En 1981, quand la peine de mort a �t� abolie en France, � l'initiative de Robert Badinter, l'ancien bourreau d'Alger s'est rang� � l'avis g�n�ral - "puisque, de toute fa�on, on ne peut pas revenir en arri�re !". Sans renier son pass� ni jeter la "veuve" aux orties. "Nous, avec la guillotine, on a donn� la mort le plus vite possible, sans faire souffrir", dit-il, une pointe de fiert� dans la voix.

 A entendre Fernand Meyssonnier, son m�tier d'ex�cuteur n'a jamais �t� un plaisir. "La vocation, c'est de la foutaise !", insiste-t-il, en �voquant les nombreux privil�ges que cette fonction macabre apportait. Outre l'octroi d'un coupe-file, permettant de circuler malgr� le couvre-feu, les membres de l'"�quipe" disposaient d'un port d'arme ; surtout, ils jouissaient de la bienveillance des forces de l'ordre et, plus g�n�ralement, des autorit�s coloniales. Une aubaine, en ces temps de guerre. Pay�s au mois, quel que soit le nombre des ex�cutions, les employ�s de la guillotine ont m�me, "�v�nements" obligent, b�n�fici� en Alg�rie d'une "prime de risque" et d'une "prime de t�te"... Dans Paroles de bourreau, Fernand Meyssonnier raconte � loisir cette dolce vita alg�rienne, sur fond de petits trafics et de combines. L'ind�pendance de l'Alg�rie, en 1962, sonne la fin de la guerre et de la prosp�rit� des Meyssonnier.

 Dans ce qui reste de son mus�e, l'ancien bourreau d'Alger pense � la mort. A celle de son p�re, emport� par un cancer de la gorge, en 1963, � Nice. A la sienne aussi : atteint d'un cancer du foie, Fernand Meyssonnier ne se fait pas d'illusions. "Quelqu'un comme moi, qui a ex�cut� 200 bonshommes, il ne peut pas se permettre d'avoir peur, hein !", l�che-t-il, le sourire triste. Il pense aussi � la mort de certains condamn�s. Il y en a trois, pas plus, � propos desquels il se dit "troubl�" : Fernand Yveton, le communiste, Abderrahmane Taleb, le "chimiste", et Madeleine Mouton - l'une des seules femmes guillotin�es, ex�cut�e en 1948, � Sidi-Bel-Abb�s. "Ces trois-l�, j'ai presque un peu de regret. Si j'avais pu, je les aurais sauv�s. Attention, c'�tait vraiment des criminels, hein ! Mais, va savoir pourquoi, j'aurais pr�f�r� qu'ils meurent d'un arr�t cardiaque." Parole de Fernand.

Catherine Simon