Comunità di S.Egidio


Patriarcado
de Lisboa


24 settembre 2000
Centro Cultural de Bel�m - Grande Auditorio
Assemblea introduttiva

Andrea Riccardi 
Comunit� di Sant'Egidio, Italia

 

 

Signor Presidente della Repubblica,
Illustri Ospiti,
Illustri Rappresentanti delle Chiese cristiane e delle grandi Religioni mondiali,
cari amici,

la presenza di tanti uomini e donne di religione diversa qui, a Lisbona, � una tappa importante di un lungo itinerario e di una volont� chiara. E' la volont� di dialogare, di incontrarsi, alle soglie del secolo che si � aperto. Non si tratta di un prezzo pagato a un anno, il 2000, che vuole il ripetersi dei summit. La nostra storia di cercatori del dialogo tra i mondi religiosi e culturali viene da lontano. Cos� ci presentiamo alla finestra del domani, in questo Portogallo che sembra una luminosa terrazza sul futuro. Lo � per l'Europa che, come diceva Fernando Pessoa, "fita, con olhar sphyngico e fatal, o Occidente, futuro do passado. O rosto com que fita � Portugal".

Nel 1998, a Bucarest, nella tappa precedente a questa, un'importante assemblea di leaders religiosi lanci� un appello significativo:

"Nessun odio, nessun conflitto, pu� resistere alla preghiera, al perdono e all'amore. Per questo chiediamo perdono e perdoniamo. Per questo abbiamo vissuto in questi giorni una scuola di dialogo. La medicina del dialogo permette di guarire tante incomprensioni e conflitti tra i popoli e le religioni. Il dialogo svela che la guerra e le incomprensioni non sono invincibili. Niente � perduto con il dialogo. Tutto � possibile con la pace!"

Sono parole che, pochi mesi dopo, hanno aperto la strada al primo viaggio di Giovanni Paolo II in un paese ortodosso e la sua prima visita a un Patriarca e a una Chiesa ortodossa. Sono parole, quelle dell'appello di Bucarest, maturate in una lunga e sofferta storia. Nel cuore di questa storia sta la grande lezione della seconda guerra mondiale, che non pu� essere dimenticata, a rischio di perdere il filo della nostra coscienza. Non � un caso che una delle tappe pi� importanti dei nostri incontri fu a Varsavia per i cinquant'anni dall'inizio della seconda guerra mondiale, nel 1989. Quell'incontro si concluse a Auschwitz con un grande pellegrinaggio interreligioso nel cuore della Scho�.

I mondi religiosi, dopo la guerra, si sono accorti di come sia facile lasciarsi beffare dal male, da quel male assoluto rappresentato dai campi di sterminio. Ogni comunit� religiosa ha affrontato da sola il male della guerra totale. E' stata la sconfitta di tutti, anzi dell'umanit�. Da quella guerra si � appreso che cristiani e ebrei non possono vivere prigionieri dell'insegnamento del disprezzo. Mai pi� soli di fronte al male! E' questa una ferma convinzione della Comunit� di Sant'Egidio che a Roma ha uno dei suoi appuntamenti maggiori nella memoria di quel 16 ottobre 1943, data della razzia nazista degli ebrei di Roma.

La nuova stagione politica dopo la seconda guerra mondiale ha segnato una rinnovata presenza arabo-islamica sulla scena mediterranea. Mi tornano alla mente due interlocutori mediterranei degli anni Cinquanta, il re del Marocco, Muahmmed V, e il sindaco di Firenze, in Italia, Giorgio La Pira: entrambi sognatori che il Mediterraneo della guerra fredda potesse essere uno spazio di dialogo. La storia del dialogo islamo-cristiano � tutta particolare. Quella del rapporto tra ebrei e musulmani, non pu� non tener conto della storia remota in cui la Dar el Islam fu terra di coabitazione multireligiosa. Potrei continuare ricordando le piste dei tanti incontri e dialoghi bilaterali. Proprio a partire dalla guerra, nasceva quel nuovo ecumenismo tra cristiani, che il Concilio Vaticano II avrebbe considerato essenziale e che Giovanni Paolo II dichiara un "cammino irreversibile". E saluto il card. Cassidy, che da pi� di dieci anni lavora con grande speranza sul cammino ecumenico e che � portatore del messaggio di Giovanni Paolo II. Negli ultimi decenni, sul versante asiatico, sono sorti fori in cui anche le religioni orientali entravano in rapporto con i mondi religiosi dell'Occidente. Le religioni asiatiche, specie quelle giapponesi, sono state segnate dalla guerra e da Hiroshima.

Nella seconda met� del Novecento ci sono stati ricchi cammini bilaterali. Nell'intreccio di cammini, nel 1986, Giovanni Paolo II invit� a Assisi i leaders delle grandi religioni mondiali, che risposero generosamente. I leaders religiosi, sul colle di San Francesco, non negoziarono, ma pregarono gli uni accanto agli altri, non gli uni contro gli altri. Non un Parlamento delle religioni, ma un incontro nella preghiera che, per tutte le tradizioni, � radice della pace. Non fu un'esperienza sincretistica, ma di prossimit� che nulla toglie alla convinta identit� delle proprie comunit� religiose: senza separazione, senza conflitto, senza confusione.

La Comunit� di Sant'Egidio sent� che Assisi non poteva restare il capolavoro di un giorno. Doveva continuare. Per questo parliamo di "spirito di Assisi". La Comunit� di Sant'Egidio aveva lavorato sino a quel momento con i poveri e per la pace (e tale � oggi il suo impegno nei 40 paesi in cui � presente). Sent� che quello "spirito di Assisi" era l'aspirazione di tanti popoli e di tanti poveri, il sogno maturato in tempi di guerra e di pregiudizio. La giornata di Assisi tracciava una via: la preghiera gli uni accanto agli altri, per poi convergere insieme in un'unica cerimonia, un unico appello, un unico abbraccio. Ogni anno ripetiamo quella cerimonia, divenuta un'icona del dialogo e della pace.

Questa immagine parla misteriosamente dell'unit� del genere umano. Attorno ad essa si � annodato un dialogo tra uomini di religione, troppo abituati a vivere nei confini del loro mondo, a rischio del catturamento in identit� nazionalistiche o conflittuali. Tanti e tanti incontri. Amicizia, conoscenza, stima reciproca. Non sto a ricordare tutte le quattordici tappe del nostro incontrarci. Ricordo il nostro incontro di Gerusalemme, quando furono piantati tre ulivi nel cuore della citt� vecchia, mentre si sentivano tanto alti i muri. Cos� abbiamo continuato il cammino di Assisi sino ad oggi, qui a Lisbona.

E siamo contenti di essere in questo paese, con la sua storia democratica maturata in una transizione difficile, coraggiosa, ma pacifica, di cui essere orgogliosi. Colgo l'occasione per ringraziare tutte le Autorit� portoghesi per l'aiuto alla realizzazione di questo incontro. Ma una menzione particolare merita il Signore Patriarca di Lisbona, che ha accolto fin dall'inizio l'opportunit� di questo incontro e lo ha inserito nel cammino giubilare della Chiesa.

Nel nostro pellegrinaggio, anno dopo anno, di citt� in citt�, si � maturata una saggezza comune: cercare quello che unisce! Era il metodo di un grande papa, Giovanni XXIII, che apr� il Vaticano II. Egli diceva di cercare quello che unisce e mettere da parte quello che divide. Nell'alveo di queste iniziative di dialogo, sono cresciuti processi importanti di pace e riconciliazione, di cui la Comunit� di Sant'Egidio � fiera. Primo fra tutti la pace in Mozambico, firmata a Sant'Egidio il 4 ottobre 1992, che ha posto fine a una guerra che durava da pi� di dieci anni e che ha prodotto un milione di morti. Ma non solo quello. Penso alla mediazione realizzata in Guatemala tra governo e guerriglia o a molte altre situazioni. Cito questi esempi per sottolineare come i credenti abbiano una grande forza di pace.

Ma d'altra parte le comunit� religiose -ed � la storia degli anni Novanta- possono restare prigioniere di orizzonti etnici, farsi utilizzare per alzare muri di pregiudizio o per motivare i conflitti. Ho in mente la vicenda dei Balcani. Penso alla difficolt� di tanti momenti della vita ecumenica o dell'incontro tra le diverse comunit� religiose. Nessuno, dall'esterno, ha diritto di giudicare la coerenza delle comunit� religiose con i loro fondamenti dottrinali: ci vuole un grande rispetto. Ma l'esperienza dell'incontro tra i credenti di ogni fede ci ha mostrato come spesso la trappola nazionalista o particolarista accechi l'amore e soffochi gli aneliti spirituali profondi che le caratterizzano. Si finisce per perdere l'anima. Il nazionalismo � spesso una delle forme pi� subdole di secolarizzazione delle comunit� religiose, che si illudono invece di essere all'unisono con i sentimenti profondi dei loro popoli.

Nei nostri incontri, anno dopo anno, � maturata una cultura del dialogo, ispirata dalle diverse tradizioni religiose. Non � un fronte delle religioni contro un mondo secolarizzato. E' invece una cultura che si � confrontata con l'umanesimo laico, che rappresenta una parte cospicua della tradizione spirituale europea. Il capitolo del dialogo tra laici � credenti non � per noi secondario. Ne sono nati percorsi interessanti in Italia, in Portogallo, in Spagna. Mario Soares da parte sua -e lo ricordo presente a Assisi nel 1994- e Giuliano Amato sono stati protagonisti di questo dialogo. E come non ricordare il contributo che la Fondazione Mario Soares ha dato a questo nostro incontro. Dialogo tra umanesimo laico e umanesimo religioso. Mons. Paglia, autore di un importante libro nato nel clima di questo dialogo, Lettera a un amico che non crede, ha affermato che la via del dialogo � una via amoris: "in questa via amoris tutti possiamo ritrovarci, credenti in Dio e credenti solo religiosi, credenti laici e non credenti affatto. Ovviamente, non ci ritroviamo per caso, ma per scelta�". E' una scelta -egli insiste-, perch� "l'istinto � tirare dritti per la propria via�".

S� l'istinto � tirar dritti per la propria via, presi dai problemi interni alle proprie comunit� religiose, dalle abitudini, dalla difficolt� di parlare, dalla facilit� a polemizzare in una societ� come la nostra dove si grida tanto. E' un istinto di tante istituzioni. Per lunghi anni, le frontiere hanno tentato di proteggere paesi omogenei religiosamente o etnicamente. L'utopia nazionalista ha spesso eliminato le minoranze considerandole elementi di disturbo. Ma oggi gente di cultura e di fede diversa convive nelle stesse citt�. Nessuno oggi si pu� pensare protetto dalle proprie frontiere, dai propri muri, dallo stesso proprio benessere. I flussi di popolazione, il processi di globalizzazione, lo stesso mondo della comunicazione, ci fanno vivere con gli altri, con altri cos� diversi, talvolta lontani o che vengono da lontano. E' convivenza reale e virtuale allo stesso tempo. Tutti siamo immersi nella complessit� e nella molteplicit�. Le giovani generazioni crescono su di un orizzonte di complessit� e molteplicit�. Tirar dritti per la propria via, chiudersi nel proprio mondo, negare l'esistenza dell'altro, spesso � segno di inadeguatezza. Questo vale per i mondi laici e per i mondi religiosi.

Di fronte a una vita tanto complessa, molteplice, le religioni non sono sparite come prevedevano tanti all'inizio del Novecento, anzi interpretano una domanda: quella di un'anima per la propria vita, un'anima per il mondo. Ha scritto Abraham Yeshoua, uno scrittore laico israeliano: "Se credi in qualcosa, in realt� offri la tua fede al mondo intero". In ogni religione, pur nei diversi sistemi e tradizioni, c'� la convinzione del significato universale della propria fede. Questa universalit� si esprime anche nel dialogo rispettoso. Il dialogo � quella "concordia ragionevole tra le religioni", di cui scrive il Cusano nel De pace fidei dopo la conquista turca di Costantinopoli e di fronte al progetto di una crociata occidentale. Il suo sogno era un concilio celeste delle religioni: ragionare insieme su pace e fede di fronte a Dio.

La diversit� � il grande ostacolo? Rinunziare alla diversit� vuol dire cadere nel relativismo, che rende tutto uguale e sradicato. Non � il sentire dei popoli. Non � la fede della tradizione. Non � la via di noi cristiani almeno, ma credo della maggioranza delle comunit� religiose: "non possiamo semplicemente cestinare la religione -continua Yeshoua-� altrimenti ci ritroveremo privi di storia, e saremo preda di una serie di miti che ci domineranno e ci rinchiuderanno in un circolo chiuso, vizioso, terribile". C'� un valore delle differenze religiose. Cusano aggiunge: "Forse, lasciando una certa diversit�, crescer� anche la devozione". Giovanni Paolo II, alla domanda sul perch� dell'esistenza di tante religioni, ha risposto in Varcare le soglie della speranza: "Lei parla di tante religioni. Io invece tenter� di mostrare che cosa costituisce per queste religioni il comune elemento fondamentale e la comune radice".

In fondo l'idea della religione universale, quasi dell'unificazione in una mitica essenza della religione, nasce nei salotti e prospera solo nei laboratori. E' un'idea da laboratorio illuminista. La preghiera della gente, quella che sgorga dalla sofferenza, quella che matura nella disperazione, quella che esprime la gioia, segue i percorsi secolari. Le grandi tradizioni religiose si sono fatte carico delle invocazioni di milioni di persone, rivolte non agli uomini ma a Dio. Le preghiere di milioni sono radicate in identit� profonde.

Le religioni, con il loro particolarismo, rappresentano un retaggio del passato? Davanti al processo di globalizzazione stanno spesso una donna e un uomo spaesati: cercano rifugio innanzi a orizzonti troppo larghi e invadenti spesso sotto il tetto dei vari fondamentalismi religiosi, ma anche etnici, nazionalisti, razziali.

Non si possono mettere in secondo piano i valori dello spirito. Siamo credenti che hanno trovato nelle loro grandi tradizioni religiose un patrimonio di pace e di amore, una via amoris, che porta al dialogo. La differenza non ci scoraggia, ma rappresenta la geografia spirituale profonda del mondo. Differenza e dialogo sono le guide per allargare il nostro sguardo al mondo interno. Sono le vie per trovare senso in una convivenza tra gente di religione diversa. Perch� il dialogo non � un fatto accademico, ma diviene un modo di vivere ogni giorno da parte di migliaia e migliaia di credenti. Per questo, nelle prossime giornate si affollano molti interrogativi comuni a tutti. Possono le diverse tradizioni religiose far maturare l'umanit�? Ricordo quel che Edgar Morin diceva sul perdono, cos� valido in un mondo troppo giustizialista e con poca giustizia: "Soltanto il perdono pu� far progredire l'umanit�". Quando le grandi religioni parlano di amore, come questo pu� muovere un impegno verso una parte del mondo a margine dello sviluppo? Per questo abbiamo messo a fuoco il problema dell'Africa subsahariana.

Frequentare le grandi tradizioni religiose, coglierne la spiritualit�, non � perdere la propria identit� in una confusione da moderno mercato. Anzi � far crescere l'amore mediante la stima in un mondo complesso ma popolato di pensieri, di santit�, di fede. E' una garanzia per il futuro del mondo. Noi crediamo che la cultura e la pratica del dialogo avranno a Lisbona una tappa significativa, perch� di essa c'� bisogno nel mondo contemporaneo. Questa arte del dialogo nuova, ma annodata a fili antichi: agisce come lo scriba saggio del Vangelo, che trae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove. E' arte della profondit� spirituale, del confronto con i problemi odierni, ma � anche arte dell'incontro umano. Come diceva un poeta brasiliano, Vinicius de Moraes, che esprime bene il sentire di quel paese di convivenza tra culture che � il Brasile: "la vita, amico, � l'arte dell'incontro". L'arte dell'incontro � la vita! Infatti, oggi, tanti credenti hanno compreso quello che molti anni fa, nel 1961, diceva Martin Luther King:

"Ho cercato la mia anima, ma l'anima non l'ho vista,
ho cercato il mio Dio, ma mi � sfuggito,
ho cercato mio fratello, e ho trovato tutti e tre."

L'anima, Dio e il fratello, sono tappe della ricerca decisiva di ogni religione, anche di questo nostro incontro, vissuto come arte di incontrarsi.