Comunità di S.Egidio


Patriarcado
de Lisboa


25 settembre 2000 - ore 16.00
Centro Cultural de Bel�m - Qued�
Tavola Rotonda
Autocritica delle religioni

David Tustin 
Vescovo Anglicano, Gran Bretagna

 

Innanzitutto mi sia concesso esprimere quanto mi � gradita l'opportunit� a poter aver parte a questa conferenza in qualit� di rappresentante dell'Arcivescovo di Canterbury, il Dr. George Carey, (leader spirituale della Comunione Anglicana, sparsa in tutto il mondo). Ponendomi come scopo quello di dare un contributo al dialogo tra religioni e culture, vorrei suggerire quattro motivi secondo i quali, a mio avviso, i cristiani dovrebbero dare una risposta positiva alla sfida di guardare con occhio critico alla propria religione.

a) Ges� inizi� il suo ministero pubblico predicando la penitenza. La reazione principale che sperava di suscitare era un radicale cambiamento nella mente di chi lo ascoltava - da una parte, il riconoscimento del fatto che ogni persona non riesce a comprendere le vie di Dio e ha bisogno di essere perdonata, e, dall'altra parte, l'accettazione positiva del fatto che, attraverso la grazia e la misericordia di Dio un nuovo inizio � possibile. " Io non sono venuto (disse Ges�) a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi" (Lc 5, 32). Ci� non lascia alcun spazio all'orgoglio o all'autogiustificazione, n� ci permette di rotolarci nel rimorso o di rimuginare senza fine sul passato. Piuttosto ci libera la strada per incamminarci su un sentiero nuovo e pi� largo. E' fin troppo facile essere giusti pe s� stessi e difensivi. Piuttosto, sia come individui sia come Chiese dobbiamo confessare le azioni e le attitudini attraverso le quali abbiamo offeso o ferito altre persone. Dobbiamo sentire vero pentimento per quelle volte in cui abbiamo omesso di denunciare il male. Dobbiamo pentirci di qualunque ruolo abbiamo avuto nel perpetuare attitudini negative. Ma, dopo di ci�, non dobbiamo rimanere bloccati nella "paralisi dell'analisi". Da Dio dobbiamo cercare l'energia per pare ammenda, e far progredire i fatti.
b) La dottrina cristiana della giustificazione per fede � strettamente connessa con ci�. E' la convinzione del fatto che siamo considerati giusti davanti a Dio non in base ai nostri meriti o alle nostre opere, ma solo a causa della grazia attraverso la fede. Recentemente, molti anni di dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale hanno portato alla dichiarazione congiunta sulla giustificazione attraverso la fede, mettendo fine a 450 anni di dispute sull'argomento. Anche gli anglicani si rallegrano dell'avvenimento, e condividono una comprensione simile della grazia giustificatrice di Dio. Dio � fedele, e, anche se noi siamo infedeli, agisce per ristabilire l'alleanza che Egli ha concluso con il suo popolo. Questa consapevolezza per noi centrale, ci urge ad agire con la stessa grazia verso tutti coloro che, nella necessit� di ottenere la grazia di Dio, si trovano nella nostra stessa situazione. Quanto pi� apprezziamo la misericordia di Dio, tanto pi� ci sentiamo di farci vicini a coloro che, non meno di noi, sono stati creati e sono amati da Lui.
c) Un elemento vitale del cristianesimo, come nel Giudaismo e nell'Islam, � la tradizione profetica. Ges� segu� le orme dei profeti ebrei dell'Antico Testamento - persone di una profonda coscienza spirituale - suscitati da Dio per rimproverare, esortare e incoraggiare. Il loro insegnamento era diretto ai capi religiosi e politici, le figure eminenti del loro tempo, o ad attitudini o abusi popolari. L'elemento profetico ha continuato ad essere importante per il bene della Chiesa. La prima lettera di Pietro ci ricorda che "il giudizio inizia dalla casa di Dio" (1 Pt 4, 17). Attraverso i secoli molti a cui a loro tempo fu opposta resistenza - o che furono anche perseguitate - possono essere considerate, a ben vedere, come persone che hanno richiamato la Chiesa alla sua vera vocazione. Questa tradizione che, all'interno della vita della Chiesa si poneva domande sul proprio operato ci deve incoraggiare a porgere attenzione ai nostri critici, e ad essere critici di noi stessi. Ci� non significa in nessun modo negare la consapevolezza, da parte del cristianesimo, di avere la verit�, ne indebolire la forza delle convinzioni religiose, ma semplicemente ammettere che siamo scarsi osservanti della fede che professiamo. Non � la nostra religione che � mancante, ma siamo noi, che vi aderiamo, che manchiamo nel vivere pienamente i suoi ideali (Dichiarazione congiunta, paragrafo 20).
d) Da un punto di vista anglicano altri due aspetti sono importanti. L'uno � la nostra enfasi per mantenere un giusto equilibrio tra scrittura, tradizione e ragione. Amare Dio con la nostra mente, oltre che con il nostro cuore e la nostra anima, implica che le nostre facolt� razionali e critiche siano pienamente impegnate. Se ci poniamo domande rispetto la nostra religione, ci� non implica eliminare la fede o negare Dio. L'utilizzo della ragione, dataci da Dio, pu� essere d'aiuto per comprenderla ed esplorarla in modo intelligente. Perci� gli anglicani sono convinti del fatto che ci sia un valore nel tenere insieme uno spettro di approcci teologici. La tradizione anglicana, attraverso la sua comprensibilit�, tenta di testimoniare la comprensibilit� di Dio.

Fino a qui ho suggerito quattro motivi per cui la volont� di esercitare autocritica � insita nel cristianesimo. E' un processo da incoraggiare, non da temere. Perch�, allora, lo troviamo cos� difficile? Diamo un'occhiata alle resistenze personali e collettive dentro noi stessi.

Ognuno di noi ha i suoi difetti e limiti personali. Ognuno deve gestire la propria insicurezza, incoerenza e vulnerabilit�. Quando la nostra identit� � minacciata e i nostri interessi sono a rischio, siamo presi dalla paura. Quando abbiamo paura, � difficile per noi cambiare. Siccome le critiche da parte degli altri spesso sono percepite come minaccia, la chiave per stabilire fiducia sta nell'autoriflessione, nell'aprire la porta dall'interno. Il pericolo nell'assumere che noi abbiamo ragione e gli altri hanno torto, o che il mondo gira attorno a noi stessi � maggiore quando ci troviamo in maggioranza. Chi di noi potrebbe sostenere di non avere nessun difetto, n� aree di ignoranza o pregiudizio? Per guardare a noi stessi nella stessa maniera in cui gli altri vedono noi dovremmo avere una specie di specchio per suscitare la nostra autocoscienza. Un tale specchio � la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Per citare la lettera di Giacomo: "Se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'� osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libert�, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi trover� la sua felicit� nel praticarla." (Gc 1, 24-25). Un altro specchio pu� essere la coscienza di un amico fidato o di un consigliere esperto, o il dialogo in una conferenza come questa. Ma, qualunque possa essere l'aiuto esterno, la volont� di essere aperti deve venire dal di dentro. Finch� ci� non avviene, qualunque dibattito teologico non potr� dare frutti.

Se � difficile a degli individui comuni chiedere perdono, quanto pi� lo � per coloro che hanno cariche pubbliche e per istituzioni collettive. Non � soltanto una questione di impaccio causato dall'ufficialit�. Complicazioni nascono anche da altre due fonti. La prima � il peso della storia, non potendosi comprendere le dispute correnti senza fare riferimento al passato. In molti casi avvenimenti che hanno avuto luogo nel passato rappresentano una spada di Damocle per le parti in causa dei dialoghi di oggi. Questi, pur non essendo personalmente responsabili di ci� che � accaduto, agli occhi della controparte sono da biasimare. Occorrono tempi lunghi per correggere queste percezioni popolari. In secondo luogo, le divisioni nella societ� vengono importate nella Chiesa. Molti di coloro che utilizzano l'appartenenza a questa o quella Chiesa per definire la loro identit� di fatto vi aderiscono soltanto nominalmente. Ci� che sembra un conflitto religioso di fatto in gran parte viene portato avanti da chi non � impegnato attivamente nella fede o nella pratica religiosa, e presta poca attenzione ai capi religiosi. In tempi di vittoria o di sconfitta � indubbiamente difficile ammettere i propri errori, per paura di non apparire leali. Questo � il motivo migliore per tentare il dialogo quando non ci troviamo nel mezzo di una crisi, in modo di poter affrontare i nostri sentimenti storici e presenti in un clima di cortesia ed accettazione reciproca. E' una grande sfida per la leadership spirituale spronare un tale spirito di apertura ed autocritica collettiva all'interno di una comunit�.

Ci possono incoraggiare alcuni esempi concreti. Gli eventi tragici della prima guerra mondiale spinsero i capi delle Chiese europee a chiedersi in cosa si avesse cos� terribilmente sbagliato in questo continente, che era stato influenzato dal cristianesimo pi� di qualunque altro. Non bastava il rimpianto. Capi religiosi come S�derblom e Temple iniziarono il movimento "Life and Work" ("Vita e Lavoro"), che inizi� la cooperazione ecumenica negli ambiti di interesse economico, sociale e politico. In modo simile, dopo la seconda guerra mondiale un cattolico laico impegnato, Monnet, insisteva a sostenere che occorre imparare dai propri errori. Il suo pensiero critico e costruttivo port� ad una cospiqua trasformazione delle strutture europee. Un notevole documento di uomini di Chiesa che ebbero il coraggio di chiedere perdono fu la Dichiarazione Suangan <??? non si legge bene n.d.t.> del 1945, in cui capi religiosi protestanti tedeschi confessarono la loro implicazione nelle colpe della nazione durante il terzo Reich. Ancora oggi ci sono discussioni accese su quanto le istituzioni ecclesiastiche (cattoliche e protestanti) tedesche beneficarono del lavoro forzato sotto il nazismo, ed � in corso un dibattito sui risarcimenti da dare alle vittime. Uno sforzo coraggioso di autoesame � la Commissione per la Verit� e la Riconciliazione nel Sudafrica, presieduta dall'Arcivescovo Tutu, in cui si compie un vero sforzo cristiano per affrontare i crimini dell'epoca dell'apartheid.

Un esempio della Chiesa che ammette i propri difetti, mentre deve affrontare la gestione degli affari correnti, fu il rapporto dell'Arcivescovo Runcie sulla "Citt� e la Fede", che auspicava fossero fatti sforzi ingenti nell'aiuto pratico in aree urbane prioritarie in Gran Bretagna. Nell'Irlanda del Nord, per tanti anni i capi delle Chiese hanno coraggiosamente condannato ogni comportamento non degno del cristianesimo, e con ci� hanno influenzato l'opinione pubblica a sostenere il processo di pace. In alcuni paesi le Chiese sono state costrette ad essere autocritiche con riferimento agli abusi sofferti da donne e bambini. Questo gesto doloroso gradualmente sta portando frutti nell'elaborazione di regole di condotta e di una migliore capacit� di gestire tali problemi quando sorgono.

La debolezza pi� evidente, che maggiormente deve portare ad un'autocritica, � la divisione tra le Chiese. Mettendo in evidenza ci� il movimento ecumenico ci ha aiutato in contribuire alla pace nel mondo. La nostra ricerca di unit� ha fatto sorgere una Comunit� Cristiana che, pur con tanti limiti, � transnazionale e multietnica. Da questo processo ecumenico sono emerse anche energie per combattere la povert�, l'ingiustizia ed il razzismo, e a suscitare una consapevolezza pubblica su questioni ecologiche.

Vi � ancora una grande quantit� di cose che le Chiese possono, e devono, fare. Troppe delle nostre congregazioni sono preoccupate con questioni interne, e hanno poco tempo ed energie per questioni pi� larghe. Se soltanto questa enorme rete di comunit� locali di credenti cristiani potessero �� <non si legge>, il potenziale per il bene sarebbe enorme. Se veramente crediamo che il Cristianesimo offre una visione vitale della natura di Dio e dei suoi progetti per l'umanit�, non possiamo permetterci di essere autocompiacenti. "A chiunque fu dato molto, molto sar� chiesto", dice Ges� (Lc 12, 48). La nostra autocoscienza deve sfociare in un senso di responsabilit� pi� profondo, ed in una maggiore capacit� di apertura e fiducia reciproca.