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Settimia Spizzichino: il dovere della memoria

Settimia Spizzichino davanti al campo di AuschwitzCi sono cose che tutti vogliono dimenticare. Ma io no. Io della mia vita voglio ricordare tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama Auschwitz: due anni in Polonia (e in Germania), due inverni, e in Polonia l�inverno � inverno sul serio, � un assassino.., anche se non � stato il freddo la cosa peggiore.

Tutto questo � parte della mia vita e soprattutto � parte della vita di tanti altri che dai Lager non sono usciti. E a queste persone io devo il ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L�ho giurato quando sono tornata a casa; e questo mio proposito si � rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno osa dire che tutto ci� non � mai accaduto, che non � vero.

Ho una buona memoria. E poi quei due anni li ho raccontati tante volte: ai giornalisti, alla televisione, ai politici, ai ragazzi delle scuole durante i molti viaggi che ho fatto per accompagnarli ad Auschwitz... anche se non sempre sono entrata nei particolari.

Ad Auschwitz si desidera tornare - anche molti di quei ragazzi lo desiderano - e a qualcuno sembra strano. Ma perch�? � come andare al cimitero a portare un fiore e una preghiera. - Raccontavo sul pullman che ci portava in Polonia. � sul pullman che si parla, quando si arriva ad Auschwitz parla la guida e parlano le cose. Le poche che sono rimaste. C�� un museo, ma i forni crematori, le camere a gas, le costruzioni in muratura sono state distrutte. La prima volta che ci sono tornata ho provato pi� delusione che emozione, non riconoscevo il posto.

In questi cinquant�anni trascorsi da allora sono stata spesso sollecitata a scrivere questo libro.
E io lo volevo fare; ma c�erano ancora i parenti di quelle che sono rimaste l�, i genitori, i fratelli, i mariti, i figli delle mie compagne del gruppo di lavoro. Quarantotto eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent�anni � morta di cancrena per le botte ricevute da una Kap�? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono pi�; le ferite non sono pi� cos� fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti.

Di quel gruppo faceva parte anche mia sorella Giuditta. Giuditta, cos� bella, cos� fragile, deportata assieme a me il 16 ottobre 1943. Giuditta, causa involontaria della cattura mia e della mia famiglia.
(Dal libro "Gli anni rubati" di Settimia Spizzichino)

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