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Vatican Insider

Feabhra 4 2015

Al via la causa di beatificazione del gesuita Rutilio Grande

Briefing del postulatore Paglia dopo la firma del Papa: negli anni contro la causa per Romero «montagne di carte» dal Salvador e in ambienti ecclesiali

 
leagan inphriontáilte

Ieri la firma di Papa Francesco per la beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador trucidato nel 1980 dagli squadroni della morte legati al regime. Oggi monsignor Vincenzo Paglia, promotore della causa di Romero, ha annunciato, nel corso di una conferenza stampa in Vaticano, che «già tre mesi fa è stata aperto a San Salvador il processo di beatificazione di padre Rutilio Grande, perché è impossibile capire Romero senza capire Rutilio Grande». Gesuita, collaboratore di Romero, Rutilio Grande Garcia fu ammazzato anch’egli dagli squadroni della morte nel 1977.  
Al briefing hanno preso parte oltre a Paglia, lo storico Roberto Morozzo Della Rocca, collaboratore del postulatore nonché biografo di Romero, e mons. Jesus Delgado Acevedo, segretario personale e postulatore diocesano di Romero.  
Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, da parte sua ha rilevato che l’annuncio di questa seconda beatificazione mostra che la decisione del Papa su Romero «non è un fatto isolato» e, alla luce della testimonianza di «tanti sacerdoti e fedeli che hanno dato la loro vita», si è pertanto domandato se l’arcivescovo di San Salvador non sia un «capofila». Mons. Paglia ha concordato, dicendo che la beatificazione di Romero è una «apertura abbastanza robusta» e «si stanno già studiando altre carte di altri martiri» dell’America Latina.  
«Oggi non è il giorno di guardare al passato, ma il giorno per cogliere una profezia: dovevamo aspettare il primo Papa latino-americano per beatificare Romero, perché nell’incontro tra questa beatificazione e il pontificato di Papa Francesco c’è una similitudine, che è la Chiesa povera e per i poveri», ha voluto dire mons. Paglia. 
Molte, tuttavia, le domande dei cronisti presenti sui ritardi e i contrasti avvenuti attorno alla beatificazione di Romero. Nel corso degli anni, ha risposto il presidente del pontificio consiglio per la Famiglia, sono arrivate «chili di carte» contro Romero, a volte in buona fede altre volte «in cattiva coscienza». «Scrivevano che faceva politica, che era seguace della teologia della liberazione. Romero rispose: certo, quella di Paolo VI. Lo accusarono di problemi di carattere, di squilibri. Tutte cose che hanno ovviamente frenato e rafforzato i nemici». Sia quelli dentro il paese: «Ci sono state difficoltà anche tra i vescovi del paese», ha detto Paglia, che ha anche citato «la destra politica» e «i predecessori dell’ambasciatore» attuale di El Salvador presso la Santa Sede, presente alla conferenza stampa. Sia esponenti vaticani: mons. Paglia ha fatto un fugace riferimento al nunzio apostolico dell’epoca, Emanuele Gerada, precisando poi che, però, «nella testimonianza sul martirio, nel 1996, era d’accordo». Al giornalista che domandava se l’opposizione svolta dal cardinale colombiano di Curia Alfonso Lopez Trujillo, citato oggi dal Corriere della Sera, insegna qualcosa per il futuro, mons. Paglia ha risposto: «Se sarò postulatore di un’altra causa apprenderò qualcosa, se prenderò parte al collegio di teologi e cardinali apprenderò qualcosa di più, ma ovviamente la decisione su Romero mette a tacere i motivi che hanno impedito un procedimento più lineare». Tra le accuse indirizzate a Romero, ha ricordato Paglia, anche il sospetto di dubbi dottrinali, per cui altro tempo si è dovuto perdere per gli accertamenti dell’ex Santo Uffizio. Nei confronti di Romero, «c'è stato chi era molto, decisamente contro, e se spostare un sassolino è semplice, spostare una roccia è più difficile, ma alla fine come possiamo vedere oggi la verità ha avuto la sua vittoria».  
Quanto al ruolo di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, a chi domandava se non fossero contro la beatificazione, mons. Paglia ha risposto che «le cose sono un po' più complesse»: «Certamente sappiamo che nel primo e secondo incontro con Giovanni Paolo potevano esserci delle incomprensioni, anche perché le notizie che arrivavano a Roma erano solo in una direzione. Ma posso assicurare che Giovanni Paolo II a un certo punto ha capito. E infatti nel suo primo viaggio in Salvador, contro tutta la organizzazione stabilita, cambiò e volle per prima cosa andare nella cattedrale. Aspettò dieci minuti, perché la cattedrale era chiusa, poi mise le mani sulla tomba di Romero e a me ha detto Romero è della Chiesa». Per quanto riguarda Papa Benedetto, «già nel suo viaggio in Brasile (2007, ndr.) disse: “Per me Romero è beato”».  
La decisione di Jorge Mario Bergoglio di beatificare Romero, dopo il voto «unanime» di cardinali e teologi, ad ogni modo, sancisce per mons. Paglia la testimonianza di «un martire della Chiesa del Vaticano II». «Pensiamo a padre Kolbe o a padre Pugliesi: furono ucciso per motivi politici? Anche, ma si voleva far tacere quella Chiesa. L'accusa di comunismo che gli venne rivolta avvenne in un momento di polarizzazione ideologica. Gli dicevano che era succube di qualche gruppo e che le omelie le scriveva qualcun altro. Ma un francescano che lo conosceva bene – ha proseguito Paglia col sorriso – mi disse era sufficientemente superbo per non farsele scrivere da altri!» Il professor Morozzo Della Rocca ha ripercorso, da parte sua, il percorso ideale e la morte di Romero, concludendo che «non concepiva il suo martirio come un simbolo di lotta, pensava la sua morte nella tradizione della Chiesa martire non come una bandiera contro, un atto di accusa verso il persecutore, di destra o di sinistra che sia, ma come testimonianza della fede nella grazia divina che vale più della vita». L’ex segretario di Romero, infine, si è detto «sicuro che la prossima beatificazione sancirà la realizzazione di un grande miracolo, l’incontro fraterno di tutti i salvadoregni superando le differenze politiche


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