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24 Dicembre 2009

Antivigilia in Comunità. «Il senso della vostra missione mi ispirerà per il discorso di fine anno». L'incontro con i disabili, gli immigrati, i rom, gli anziani tra desideri, speranze e timori

L'amico Giorgio e gli «ultimi». Un presidente a Sant'Egidio

Qualche ora tra chi ha meno degli altri, a volte nulla, ma sa cos'è la solidarietà, Giorgio Napolitano ha trascorso il pomeriggio dell'antivigilia di Natale nella sede della Comunità di Sant'Egidio tra assistiti e volontari.

 
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È l'amico Giorgio, che non scopre adesso l'importante ruolo svolto dalla Comunità di Sant'Egidio, e non il presidente della Repubblica, colui che decide di "rompere il silenzio» che si era imposto fino al discorso di fine anno da rivolgere come di consuetudine il 31 dicembre a tutti gli italiani. E ne fornisce, in qualche modo un'anticipazione, quando dice che «la sofferenza e la solidarietà» che ancora una volta ha verificato di persona «spero che mi ispirino nel messaggio».

L'attività di Sant'Egidio è ben nota al presidente, «ci conosciamo da molto, da ben prima che assumessi la mia attuale funzione al Quirinale», un luogo dove peraltro la comunità "è di casa», ma Napolitano ha voluto ancora una volta congratularsi con i dirigenti e i volontari, rappresentanti dei cinquantamila laici che operano in settanta Paesi in quattro continenti. «Una componente fondamentale del vostro lavoro è stato l'incontro con uno straordinario pontefice» dice, ricordando Giovanni Paolo II che fu molto vicino alla Comunità. A ricordarlo nel cortile c'è una lapide.

Domenica è prevista la vista dell'attuale pontefice.
Ma prima di assistere, assieme al fondatore Andrea Riccardi, al portavoce Mario Marazziti e ad un gran numero di sostenitori, alla proiezione del documentario «L'audacia dell'amore» che Maite Carpio ha girato per Rai Educational di Giovanni Minoli sui quaranta anni della Comunità, Napolitano ha voluto incontrare quella realtà di dolore e speranza, di difficoltà e ottimismo, di voglia di ricordare e di guardare al futuro, che si condensa nella secentesca sede ma poi si diffonde lieve e forte lì dove c'è qualcuno che ha bisogno.
Il gruppo dei rom e dei sinti. "Dovete integrarvi rimanendo quelli che siete ma allo stesso tempo diventare italiani ed europei». C'è Grosso, apolide, «uno che studia». «Vengo dalla Croazia. C'è il problema dei documenti. Senza si sta male». «Dateci i nomi di voi che insistete senza fortuna, vedremo di aiutarvi» dice Napolitano. «Io stavo al Casilino 900. Ora ho una casa, non siamo più nomadi». «Tutti vorremmo avere una casa». «Presidente voglio una foto con te se no la maestra non ci crede che ti ho incontrato». Foto fatta. Voglia di lavorare, voglia di integrarsi. Anche parlando male la lingua del paese che li ospita: «Non c'è bisogno che vi obblighino a imparare l'italiano» sorride Napolitano, in controtendenza rispetto alle imposizione e alle dure regole che qualcuno vorrebbe ancora più dure.
I disabili, gli anziani, quelli che una casa non ce l'hanno e quelli che non vorrebbero lasciarla. È una delle richieste più forti. Temono l'ospizio, il ricovero, il cronicario quelli con i capelli bianchi e il passo incerto che si avvicinano al presidente che dice «sono anziano anch'io». «Il mio sostegno morale è assoluto, che cosa posso fare nella pratica me lo deve dire il professor Riccardi». Le richieste sono contenute tutte nella lettera di Maria che viene consegnata a Napolitano in cui si racconta di una solitudine che non si vuole assolutamente diventi ancora più grande in un posto più affollato. Agostino compirà cento anni l'anno prossimo, prigioniero, ex combattente, uno di quelli che, dice Napolitano "non ha ceduto». Nella sala affrescata ci sono anche i bambini, fanno scendere l'età media e mostrano già grande entusiasmo. Sono il futuro Irene e Maddalena che dice al presidente «io faccio i soldi». E spiega come li fa. Restaura giochi, bambole, trenini, raccoglie tutto e poi "faccio la bancarella, ho messo insieme 940 euro» da distribuire a chi ha bisogno.

LA TRATTORIA DEGLI AMICI
Sono tante le storie dei disabili. Ivan sa contare sempre quanti giorni mancano al Natale. Una specie di gara con il tempo. Adriana, trasteverina del '56 fa quadri bellissimi. Ha una vita alle spalle di grandi affetti e di grandi dolori. Miralan scrive poesie "voglio parole, voglio parole per rompere il silenzio... ». Angela dice «noi vogliamo l'Italia unita, per questo vogliamo dipingere». E il presidente chiosa "lavoriamo per la stessa cosa». Gli è stato regalato un quadro dal titolo «punto rosso». Ce n'è un altro che si chiama «tram 8», quello che passa per viale Trastevere ad un passo dalla Comunità, dove l'autore dice di incontrare il mondo, le persone, la gente.
C'è anche chi gestisce la Trattoria degli Amici. L'invito a Napolitano è d'obbligo. Scherza «se mi dite che si mangia così bene verrò sicuramente a trovarvi».
Un pomeriggio diverso per il presidente e la moglie Clio. Dopo tante autorità ecco l'Italia che lui non esita a definire «migliore». Quella di una faticosa quotidianità, di speranza e di dolore. Quella a cui bisogna dare voce ancor più ora che le difficoltà sono aumentate. Parla infatti Riccardi di «un processo di scomposizione di legami, dalla vita privata a quella pubblica che porta ad essere sempre più soli e la solitudine è insopportabile quando si è nel bisogno».


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