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29 Ottobre 2011

ASSISI 1986-2011

Dialogo tra le religioni e con gli atei: Le nuove sfide di Benedetto XVI

 
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Non è abituale che un papa torni in un luogo per commemorare un atto del predecessore. Ma l’altro ieri Benedetto XVI, con vari leader religiosi, è salito ad Assisi per ricordare la Giornata mondiale di preghiera per la pace, voluta da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986. Infatti quella Giornata fu un evento storico durante la Guerra Fredda, quando convennero esponenti del patriarcato di Mosca, musulmani, il rabbino Toaff e tanti altri: si riunirono per «pregare non più gli uni contro gli altri — disse papa Wojtyla — ma gli uni accanto agli altri». Allora non si parlò molto (solo il papa prese sinteticamente la parola), ma ci fu molto silenzio. L’immagine dei leader religiosi, uno vicino all’altro con il papa tra loro, resta una delle grandi foto del secolo.

Da dove veniva l’idea? Papa Wojtyla era preoccupato per la pace al crepuscolo della Guerra Fredda. Non apprezzava che la lotta per la pace fosse prevalentemente nelle mani dell’Est e delle sinistre. Era convinto che il fondamento religioso della pace andasse ricercato nelle religioni. Tuttavia la cultura pubblica dell’Occidente le considerava fenomeni residuali. L’avanzata della modernità le avrebbe spazzate via o confinate nel privato. Il papa era invece consapevole della loro vitalità. Lottava contro il pronosticato declino del cristianesimo. Nel 1979 l’imam Khomeini era tornato in Iran, mostrando la forza dell’islam. Erano tempi di quella che Gilles Kepel avrebbe chiamato la «revanche de Dieu».

Giovanni Paolo II intuiva che le religioni, sconfinando nel fondamentalismo, avrebbero fomentato guerre e cultura del conflitto. Aveva misurato la forza delle religioni che allora la cultura occidentale sottovalutava ampiamente, presa com’era dal paradigma: più modernità, meno religione. Nell’incontro del 2011, Benedetto XVI può positivamente registrare il significativo capovolgimento di questo paradigma in venticinque anni: ora gli umanisti partecipano alla Giornata di Assisi. Non esiste più l’ateismo di Stato e la religione è una realtà con cui tutti (credenti o non credenti) fanno i conti nella vita sociale e internazionale.

Papa Wojtyla nel 1986 riprese i fili del dialogo interreligioso, iniziato dopo il Concilio (che aveva subito battute di arresto con l’islam), nella prospettiva dell’unità delle genti e della pace. Giovanni Paolo II fu creativo e poetico ad Assisi. Da qui voleva che partisse un movimento di religioni: «la pace è un cantiere aperto a tutti — disse — e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi». Il mondo francescano e la Comunità di Sant’Egidio si sono fatti carico di questa dimensione. C’è stata l’opposizione dei lefevriani, per cui Assisi era una svendita della verità cattolica. Ma papa Wojtyla è ritornato successivamente ad Assisi in momenti difficili: nel 1993 per la Jugoslavia, nel 2002 dopo gli attentati negli Stati Uniti. Allora mostrò di non condividere la cultura del conflitto e prese posizione contro il terrorismo globale. La sfida riguardava tutte le religioni, ma in particolare l’islam.

Benedetto XVI, nel 2006, ha parlato di Assisi 1986 come di «una puntuale profezia». Varie voci erano corse sull’opposizione all’incontro da parte del cardinal Ratzinger, che contribuirono a creare il mito del cardinale intransigente e del pontefice aperto. Nel 2002 ricordo il cardinale partecipe e soddisfatto della Giornata di preghiera. L’intento di Assisi non era «negoziare le nostre convinzioni di fede» — aveva detto Giovanni Paolo II. Ora Benedetto XVI è tornato ad Assisi, convinto dell’attualità del dialogo in un mondo globalizzato, dove la convivenza quotidiana è attraversata dalle tensioni del pluralismo religioso e etnico. La sua linea si muove tra due posizioni che appaiono attraenti: le passioni fondamentaliste e il relativismo cosmopolita. Il fondamentalismo offre il calore di una passione totale. Il relativismo è impregnato di sapore di modernità. Se tanti leader religiosi vanno con il papa ad Assisi, significa però che questo ideale si è fatto strada nei cuori e nelle culture.

Benedetto XVI, chiamando i religiosi all’impegno contro la violenza, ne ha additato un nuovo tipo che cresce tra «i grandi che fanno i loro affari, e poi tanti sedotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo». È «l’adorazione di mammona, dell’avere e del potere» in un mondo che nega Dio. Andrea di Creta, poeta liturgico orientale, ha detto descrivendo questa condizione: «idolo a me stesso sono diventato». È la nuova violenza diffusa nelle società della globalizzazione, sotterranea ma talvolta prorompente. Con Assisi 2011 lo spirito di pace tra le religioni continua il suo cammino, mentre ci sono antiche e nuove forme di violenza con cui misurarsi. Forse c’è un mondo nuovo da capire, assai diverso da quello di venticinque anni fa.


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