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31 Dicembre 2011

Voglia di pace. La città in marcia vince la paura

 
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Indubbiamente non è una novità. Si tratta della marcia per la pace nel mondo che anche stavolta si svolgerà nel pomeriggio di domani da piazza del Gesù fino alla cattedrale. L'idea risale a dodici anni fa e non a caso nacque dalla Comunità di S. Egidio, sorta nel lontano '68 in un momento in cui le conflittualità - dentro e fuori d'Italia -sembravano esasperate e irrisolvibili. Forse fu proprio quel contesto dilacerazioni a sviluppare una spiccata sensibilità sui temi del dialogo, interreligioso e politico, fondato sul rispetto della persona e sulla cultura dell'accoglienza.
Un'urgenza, questa, in un mondo che ancor oggi è tormentato da una miriade di conflitti - mascherati con linguaggio ipocrita come «pulizia etnica» o «interventi chirurgici» a base di «bombe intelligenti» e «armi leggere» - sparsi nel mondo e sui quali si registra l'attenzione distratta dei media.
E tuttavia quest'anno una novità c'è. Ed è nel fatto che quella che, all'inizio, sembrava un'iniziativa timida, promossa da alcuni volentero si, è progressivamente cresciuta, si è radicata, è diventata una consuetudine familiare a molti. Così domenica la marcia vedrà come promotori, con S. Egidio, diverse associazioni ecclesiali, sindacati ed altri ancora. Il tutto sotto l'egida della diocesi di Napoli che l'ha fatta propria talché la conclusione sarà al Duomo con il cardinale Sepe.

Tutto ciò ha diversi significati. Il primo è nel fatto che, nel momento in cui si traccia un cammino in cui si crede e su quel cammino si insiste con tenacia, i frutti vengono. Si tratta di promuovere una vera cultura di pace e in questa linea da oltre 20 anni la stessa Comunità di S. Egidio promuove gli incontri mondiali con la partecipazione dei mag giori leaders religiosi. Molti hanno vivo il ricordo di quello dell'ottobre 2007 proprio a Napoli, una città di frontiera e questo non può non indurre a qualche riflessione in più. Perché quello della pace è un tema politico che, al di là della mera ricerca di equilibri territoriali, non può prescindere da una giustizia che ponga al centro le persone e la loro dignità. Questo non in astratto ma, nel caso di specie, proprio qui, a Napoli. E ci si chieda allora quali sono quei fattori di conflittualità sociale che, nei nostri stessi quartieri, impediscono una vera cultura di pace.
Napoli è una città in sofferenza. Lo disse, anni fa, il cardinale Sepe: «Come può nascere e crescere la speranza quando gli interessi di parte in lotta tra loro calpestano la giustizia e il vivere civile, fino al punto di sporcare di sangue le nostre strade?». E subito dopo: «Ieri, come oggi, molti orgogliosi, potenti, ricchi preferiscono restare chiusi nelle loro tenebre, avvolti nelle fasce della notte e non vogliono aprirsi alla luce, anzi la combattono».
Queste parole, benché tratte dal contesto di un'omelia, tuttavia contengono un messaggio che oltre che pastorale è anche politico. Egli citava, e vi è tornato più volte successivamente, il dramma di una criminalità che affonda le radici anche - non solo - nell'assenza di lavoro in una città dalla quale i giovani, troppi giovani, quotidianamente fuggono per cercare altrove il riconoscimento della propria dignità di cittadini. E affonda le sue radici in un deficit di politiche sociali in favore delle categorie marginali. E difatti: come fai a parlare di solidarietà in assenza di una strategia di lungimirante accoglienza degli extracomunitari? O nel momento stesso in cui si ignora di fatto il mondo dei clochard per i quali si continua a non predisporre strutture finalizzate a un minimo di recupero? E poi: una criminalità che si sviluppa sul terreno fertile di un'illegalità diffusa nella quale il confine tra lecito ed illecito diventa evanescente.
Tutto questo è agevolato dalla tendenza a proteggere «interessi di parte» (anche di partito?) al punto da indurre a «calpestare la giustizia». Da ciò la sollecitazione che datante parti è rivolta a chi ha ruoli di gestione della cosa pubblica. E, difatti, non è chi non veda come nell'amministrazione pubblica esiste una respon - sabilità politica che viene a monte di tutte le altre e che pertroppo tempo ha alimentato negligenze e condotte omissive.
Conclusione. La domanda di giustizia e, dunque, di pace, che emerge da tante parti è un monito severo per tutti, cittadini e istituzioni ai vari livelli. A tutti, in sede nazionale e locale, si chiede un impegno che -superando le logiche dell'interesse persona ne di parte - favorisca un dialogo vero con la città per coglierne i bisogni e dare risposte fondate su una ricerca solidale del bene comune.


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