CIE (Centro di identificazione ed espulsione): un luogo che, fin dal nome, incute timore. Qui sembrano destinate a spezzarsi le speranze di chi, a volte a costo di gravi rischi, è arrivato in Italia, oppure quelle di chi vi risiedeva da tempo, ma ha perso il lavoro - oppure non è mai stato regolarizzato, come molte badanti - e non ha potuto quindi rinnovare il permesso di soggiorno.
Secondo la legislazione vigente, poichè i CIE hanno la funzione di consentire accertamenti sull'identità di persone trattenute in vista di una possibile espulsione, questi, anche se definiti "ospiti", sono sottoposti ad un vero e proprio regime di reclusione, senza neppure i diritti acquisiti dal regime carcerario, come quello di ricevere visite.
Ma la maggior parte di questi "ospiti" desiderano integrarsi in Italia, imparare la lingua e lavorare. Per questo la Scuola di Lingua che la Comunità di Sant'Egidio tiene nel CIE di Ponte Galeria a Roma tutte le settimane, rappresenta un fattore di emancipazione e di speranza.
E non è u n caso che siano stati gli insegnanti della scuola di lingua, insieme ai nuovi europei di Genti di Pace, ad offrire la grande festa del 6 gennaio: un'occasione che ribadisce la fedeltà di un impegno e di un'amicizia con uomini e donne che si sentono umiliati da una "reclusione", vissuta come un'ingiustizia.
La festa aveva tutti gli ingredienti della tradizione natalizia: le tovaglie rosse, un gran pranzo, canti e balli delle diverse tradizioni, regali per tutti. Perfino Befana e Babbo Natale. Ma non è solo una parentesi allegra in un mare di tristezza. Al contrario, è il sigillo di un impegno che Sant'Egidio si è assunto da alcuni anni: quello di offrire ad ognuno, insieme alla lingua, gli strumenti per esercitare i propri diritti, ritrovare dignità, spezzare l'esclusione.
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