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28 Maggio 2001

Roma/Genova - "I colori dell'amicizia"

 
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Il Paese
dell'Arcobaleno

I COLORI DELL'AMICIZIA
Manifestazione internazionale

a Roma, 27 maggio 2001
Villa Pamphili
(ingresso largo Martin Luther King su via Leone XIII)
ore 10.00 - 19.00

e in altre città


Genti di Pace


1999
La parola
ai bambini

Domenica 27 maggio 2001 a Roma si è svolta una manifestazione sul tema dell'integrazione e dell'incontro fra persone di lingue, culture, etnie diverse.

 

Dalle ore 10,00 alle ore 19,00 a Villa Pamphili è stato possibile incontrare, in un clima di festa, bambini e ragazzi da ogni parte del mondo che si sono esibiti con produzioni teatrali, artistiche e musicali su questo tema.

 

La manifestazione ha visto la partecipazione di Lorella Cuccarini,  testimonianze ed interventi di bambini e ragazzi sui temi dell'integrazione e di immigrati che lavorano in Italia sul problema della cittadinanza.  

 

Migliaia di persone hanno perso parte a questa giornata di festa. Nella cornice di Villa Pamphili, era possibile fare "il giro del mondo", visitando gli stand delle comunità immigrate presenti a Roma.

 

Molte le scuole romane che hanno dato il loro contributo, con rappresentazioni. canti e attività di animazione che hanno permesso di approfondire il tema dell'integrazione.


Musiche e balli etnici hanno arricchito la giornata.

 

Un'analoga manifestazione ha avuto luogo a Genova, ai giardini dell'Acquasola, con una vasta partecipazione.

 

 


2000
Io ho un sogno...
andare a scuola

 

La manifestazione "I Colori dell'Amicizia" si svolgerà anche a:

 
 

MILANO
Domenica 10 giugno, Parco Lambro, ingresso da via Feltre, di fronte al Centro Schuster.

ANVERSA
Mercoledi 27 giugno, nel pomeriggio, nel 'Harmoniepark'.

WURZBURG
Domenica 15 luglio, dalle ore 11.00 alle ore 17.00, piazza "Vierröhrenbrunnen" 

 

 

Per informazioni:
[email protected]
tel 065814217 (lun-gio h.9,30-13,00 )


INTERVENTO DI UN’ADOLESCENTE ZINGARA
(Il caso dell’apolidia)

 

Mi chiamo Màlena e ho 13 anni. 

Come i miei genitori sono nata in Serbia, o meglio in quella che prima era la Repubblica Federale di Jugoslavia. Sono venuta in Italia più di 10 anni fa, prima che scoppiasse la guerra nei Balcani e la Jugoslavia diventasse la Ex-Jugoslavia, perché si è divisa in tanti Stati.

Mio padre, qui in Italia è arrivato come cittadino jugoslavo e aveva il passaporto jugoslavo, come mia madre. Avevamo vissuto in Croazia per tanti anni, in una zona della costa dove c'erano ancora tanti italiani e quando era bel tempo si intravedeva la costa italiana di fronte.

In Italia ci siamo trovati bene, io l'italiano l'ho imparato in fretta, quasi subito. Sono andata a scuola e lì ho imparato tante cose. Poi quando è scoppiata la guerra, la Jugoslavia si è divisa e sono cominciati i problemi. Il passaporto di mio padre scadeva ma per rinnovarlo bisognava andare in Serbia. Andare in Serbia però significava combattere e lui non voleva. 

Mio padre è preoccupato che non può uscire dall'Italia perché ha tutti i documenti scaduti e non può fare i nuovi. Gli hanno detto che è apolide e che così lo sono anch'io. Ma perché, dico io, esistono uomini senza patria? Uomini che le nazioni non riconoscono? Io penso che quando noi bambini saremo grandi, faremo delle leggi che metteranno d’accordo gli Stati e non ci saranno più questi problemi. 

 


BAMBINA BRASILIANA
(ricongiungimento familiare)

 

Ciao a tutti sono Camila, la mia famiglia viene dal Brasile, ma viviamo in Italia da più di otto anni. Siamo io, la mamma, papà e un fratellino che è nato due anni fa qui a Roma.

In Brasile, a San Paolo, è rimasta soltanto mia nonna. Ora sta sola, non ha tanti soldi e io vorrei che lei venisse a stare qui con noi. Mi hanno spiegato che questo si chiama con le parole dei grandi "ricongiungimento familiare", che è una cosa molto difficile per noi che non siamo italiani. Anche papà lo dice. Glielo hanno detto anche alla polizia quando ha chiesto di far venire mia nonna. E' difficile perché la nostra casa non è grande abbastanza per viverci anche con nonna. Dicono che deve essere di 105 metri quadrati. Io non capisco tanto: la mia casa è bella, ha tante stanze, quella di papà e mamma, quella di noi bambini e pure il salotto. Perché nonna non c'entra? Ma papà dice che noi al massimo arriviamo ad 80 metri quadrati. 

Allora ho chiesto ai miei compagni di quanti metri quadrati è fatta la loro casa. Ma nessuno lo sapeva. Allora ho chiesto: Ma tu puoi avere tua nonna in casa? A parte certi amici che hanno pensato che ero un po’ matta, tutti gli altri mi hanno detto di si. Tutti possono avere la nonna a casa quando vogliono. Allora mi è venuta la curiosità di sapere. Perché noi non possiamo ? E allora papà mi ha detto che agli stranieri è chiesta la casa grande perché si tratta di "ricongiungimento familiare", è una cosa più complicata che invitare qualche giorno la nonna a casa. Eppure a me piacerebbe anche averla per pochi giorni. Penso che da grande costruirò una casa enorme per poterci vivere con mia nonna e potere ospitare anche tutti i miei parenti del Brasile.

 


BAMBINO PAKISTANO
(l'asilo politico)

 

Mi chiamo Tayeb, vengo dal Pakistan, e vivo in Italia da due anni con mio padre. Quest’anno nella mia classe è arrivato un ragazzo curdo che si chiama Mohamed. Abbiamo fatto amicizia, lui non parla italiano ma in arabo possiamo capirci.

Lui ha scritto la sua storia che io vi voglio leggere.

“Mi chiamo Mohamed e sono arrivato a Roma insieme con la mia famiglia da circa un anno. E' bella l'Italia, mi piace, ho conosciuto tanti amici e tante persone buone disposte ad aiutarci. 

Vengo dall'Iraq, è un paese bello ma poverissimo. Oggi è quasi impossibile viverci. Mio padre, un giorno ci ha detto che dovevamo fuggire. Non ci hanno spiegato molto a noi bambini per non farci spaventare. Solo che dovevamo partire e andare in Germania dagli zii che ci aspettavano. Quasi fosse una vacanza. Ma io sapevo che non era vero. Dopo pochi giorni siamo scappati, di notte. Abbiamo cominciato un viaggio spaventoso, che non dimenticherò mai per tutta la vita. Abbiamo camminato di notte in mezzo alle montagne per arrivare in Turchia. Avevamo freddo, avevamo fame e c'erano dei rumori strani in mezzo a quelle montagne, che facevano paura e io non riuscivo a dormire. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Siamo stati in Turchia parecchi mesi, aspettando la nave che ci avrebbe portato in Italia, e da lì poi saremmo arrivati in Germania. 

Dopo sei mesi, alla fine una sera ci hanno detto che l'indomani saremmo partiti. Era una brutta nave, vecchia e anche solo dall'aspetto si capiva che non poteva camminare tanto. Ci siamo saliti in tanti, troppi pensavo io. Avevo paura che si rompesse. Ma alla fine è partita, ha camminato sul mare per vari giorni. Ogni tanto si fermava, ma poi ripartiva. Un giorno si è vista la costa da lontano e sulla nave, per la prima volta, si è sentito un grido di felicità e di speranza. Stavamo per arrivare. 

Ma vicino alla costa, l'equipaggio è sceso dalla nave e con una barca se ne sono andati e ci hanno lasciati soli, sulla nave che ballava e non camminava più. Nessuno sapeva che fare. La gioia era passata e tutti erano preoccupati. Io avevo paura. Siamo stati così, credo, due giorni. Avevamo sete perché l'acqua era finita subito. Poi è arrivata per fortuna la nave della polizia italiana. Ci hanno salvati. Erano gentili e con i bambini erano molto buoni. Ci hanno portati a riva. Poi siamo stati portati in un centro, ci hanno dato da mangiare e ci hanno fatto le foto. Ci hanno detto che dovevamo aspettare di essere riconosciuti rifugiati. E questo, papà ha detto che era buono, anche se magari dovevamo aspettare diversi mesi. 

Siamo venuti a Roma. Io ero contento. Non l’avevo mai vista. E subito mi è piaciuta. Abbiamo cercato un posto in cui stare, mentre aspettavamo che ci dessero i documenti. Però non l’abbiamo trovato. Abbiamo chiesto a tante persone. Alla fine abbiamo dovuto dormire per strada, in mezzo alla città, a Roma. Non eravamo gli unici. Per farci dormire nei dormitori, ci volevano dividere. Un posto per gli uomini, uno per le donne coi bambini piccoli. Ma mia mamma non voleva. Nessuno voleva all'inizio. Così siamo stati all'aperto, come quando stavamo in mezzo alle montagne in Iraq. Ma questa volta eravamo in una bella città, come Roma. 

Ora papà dice che la nostra domanda sta per essere accettata. E' passato quasi un anno e per tanti mesi abbiamo vissuto così. Ora ci siamo un po' sistemati, ci siamo divisi: papà con mio fratello grande abita in un posto; io, mia madre e i fratelli piccoli in un altro. Ora dobbiamo solo aspettare. Ma io vorrei vivere insieme con tutta la mia famiglia. Non credo che sia strano. E non dovrebbe essere nemmeno tanto difficile. Per i bambini italiani non lo è.” 

 


BAMBINA CAPOVERDIANA
(papà ha perso il lavoro, da regolare che era, diventa irregolare 
dopo un anno di disoccupazione e con lui tutta la famiglia)

 

Ciao, sono Elita. Sono nata in Italia. Mio padre e mia madre sono originari di Capoverde ma stanno in Italia da più di vent'anni. Si può dire che hanno vissuto più in Italia che a Capoverde. Io e mio fratello siamo nati qui a Roma e ci troviamo bene. Anzi la maestra certe volte mi rimprovera perché dice che parlo troppo romanaccio e che lei quasi non mi capisce. Io da grande voglio fare il poliziotto. Mio fratello il medico. A me piacciono le divise, a lui, gli dico sempre io, i camici.

Mio padre ha sempre lavorato qui a Roma, ha fatto il muratore e ha costruito le case. Un lavoro faticoso, bisogna essere forti per resistere. E mio papà è sempre stato forte. L'anno scorso però si è ammalato, una malattia lunga che non lo voleva lasciare. E' stato anche all'ospedale per quasi un mese. Alla fine è uscito ma era debole e non poteva lavorare. Così ha perso il lavoro e non poteva trovarne uno nuovo. 

Papà era preoccupato perché diceva che il permesso di soggiorno non lo avrebbero rinnovato se lui non lavorava. Io però gli dicevo: papà vedrai che lo capiscono che è solo questo momento e che poi tornerai a lavorare. Lui però non mi credeva. Diceva che saremmo diventati irregolari. Era come un incubo che non lo faceva dormire la notte. Lo ripeteva sempre: diventeremo irregolari.

Io ho fatto anche un tema su questo a scuola. L'ho intitolato: "Io, romana clandestina". La maestra mi ha messo un bel voto. E lo ha pure letto in classe. Però quasi quasi cominciavo a preoccuparmi anch'io. Mi immaginavo che ero costretta a tornare a Capoverde e che parlavo romanaccio ma nessuno mi capiva.

Ma poi un giorno papà ha trovato un nuovo lavoro, un lavoro regolare, che poteva fare e non lo faceva ammalare. Era felice. Tutti lo eravamo e abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Non rischiavamo più di perdere il permesso di soggiorno.

A me però il dubbio mi è rimasto. Ma se papà non trovava il nuovo lavoro, veramente non eravamo più regolari? Oppure la polizia italiana, quella che a me piace tanto, lo avrebbe mandato via?

 


BAMBINO DEL BANGLADESH
(sostegno alle famiglie)

 

Ciao. Ho 11 anni e vivo a Roma da sette anni. La mia famiglia è numerosa. Mia madre, oltre a me deve pensare ad altri due fratellini. Non è molto numerosa, certo. Ma rispetto alle famiglie italiane lo è di sicuro. Io vedo certi miei compagni di scuola che non sanno nemmeno che cosa sia avere dei fratelli o delle sorelle. Sono quasi tutti figli unici. 

Mia mamma certe volte si lamenta e dice che con tutti questi figli non ce la fa. A me mi preoccupa quando dice così. Poi una volta ho sentito al telegiornale che avevano fatto una legge per aiutare le mamme che avevano dei figli piccoli. L’ho detto subito a mia madre, che non capisce bene l’italiano. Sembrava che era vero. Che era un aiuto a tutte le mamme. Ma poi, quando mia mamma l’ha chiesto, ha capito che a lei non l’avrebbero dato. 

Ci devi avere un sacco di cose per averlo: per esempio devi avere una casa grande (Perché? Chiederete voi, Boh! Rispondo io), devi stare in Italia da più di cinque anni (Perché? Direte voi, Boh! Rispondo io) e molte altre cose.

Ma io dico: se tu per avere un aiuto devi già avere tante cose, l’aiuto che te lo danno a fare? Allora l’ho convinta mia madre. E ha fatto la richiesta. Ora aspettiamo di sapere se ce lo daranno o no. 

 


ADOLESCENTE MAROCCHINO
(minori non accompagnati)

 

Mi chiamo Redouane e vengo dal Marocco. La mia storia è un po’ particolare. Sono abituato a raccontarla. Dal primo momento che ho messo piede in Italia, l’avrò raccontata mille volte. Si, perché dovete sapere che in Italia io ci sono venuto da solo. Quindi la raccontavo io. Ero senza genitori. Senza parenti. Per la verità c’era con me uno zio, però era uno zio alla lontana e anche se lo chiamavo zio, lui non era un mio parente. Ero solo perché nel mio paese non avevo più nessuno e lui mi ha portato con sé in Italia per trovare un futuro più bello. Aveva ragione. E io sono contento che lui l’abbia fatto. Ora tutte le volte che penso a lui, penso che devo ringraziarlo per quello che faccio oggi e per il mio futuro.

Mio zio mi diceva:
“Che futuro avrai in questo paese? Vieni con me in Italia”. All’inizio non mi volevo far convincere a partire. Avevo paura. Ma poi ho deciso di seguirlo. Così sono venuto qui e subito mi sono trovato bene. Ho trovato degli amici. Anche delle persone gentili che mi hanno aiutato a scuola e mi hanno fatto studiare. A tutti ho raccontato la mia storia. Ora ho un diploma. Lavoro ma vorrei studiare ancora. 

Solo che mi hanno detto che quando compirò 18 anni dovrò stare attento. Perché rischio di essere mandato via dall’Italia. Perché non sono più un “minore non accompagnato”, non sono più quello che hanno autorizzato ad entrare. E’ successo a un mio amico. Non gli hanno più rinnovato il permesso di soggiorno. Cioè ora non può più stare in Italia.

Ho paura che possa succedere anche a me. Ma mi hanno detto anche che la legge italiana però è dalla mia parte. Posso restare. È un mio diritto. Allora ho deciso che resterò e, se sarà necessario, lotterò. La legge è legge. Questo l’ho imparato in Italia.

 


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