Sabato 17 luglio, a Scampia, alla periferia di Napoli, una piccola folla si è raccolta in preghiera nel piazzale antistante la sede della Comunità di Sant'Egidio per ricordare Violetta e Cristina, le due bambine rom annegate due anni fa in mare a Torregaveta, i cui corpi rimasero a lungo sulla spiaggia tra l´indifferenza dei bagnanti.
Alla preghiera erano presenti i familiari delle due ragazze, che abitavano in un campo rom non lontano, ma anche tanti amici: bambini, giovani, adulti ed anziani provenienti, oltre che da Scampia, da diverse parti della città.
In un clima partecipe e raccolto, la preghiera ha dato voce a chi non vuole dimenticare, ma consegnare una vicenda così dolorosa, alla consolazione della pietà ed un luogo, Scampia, alla speranza di una vita diversa.
Preghiera - Mc. 10, 13-21 |
Anche allora era un sabato, due anni fa, sabato 19 luglio 2008. Su una spiaggia poco lontano da Napoli, due bambine rom, Violetta di 11 anni e Cristina di 13, percorrevano la spiaggia, vendendo le loro povere cose: calamite colorate, accendini, qualche altro oggettino da poco.
Possiamo immaginare che quel commercio non sia stato un successo. E poi – lo sappiamo – la gente, in buona parte, è infastidita verso gli zingari: li considera aggressivi, pericolosi, sporchi. Troppo allarmi sono stati lanciati a Napoli e in Italia, ma forse anche in Europa, nei loro confronti.
È stato seminato nei loro confronti troppo disprezzo, inutile e infondato. E il disprezzo cresce facile nel terreno duro dei nostri cuori del nostro tempo.
Violetta e Cristina sono bambine come tutti i bambini: vedono il mare e non resistono alla voglia di farsi un bagno, come fanno gli altri ragazzi. Ma non sono come tutti. Sono due povere ragazze a cui nessuno ha spiegato quanto il mare sia pericoloso per chi non sa nuotare.
A più di dieci anni, non hanno ancora fatto questa esperienza e non hanno questa consapevolezza. Vivono e vendono le loro cose in un mondo che non conoscono. Si prendono le manifestazioni di fastidio della gente, qualche insulto e molta indifferenza. Non capiscono bene quel mondo, non zingaro, in mezzo a cui girano per rimediare qualcosa: non capiscono quei bagnanti del sabato, nemmeno quel mare e le sue insidie per chi non sa nuotare.
Violetta e Cristina, accaldate e desiderose di divertirsi come tutti i ragazzi, fanno come tutti e si tuffano in mare. Sì, vogliono fare qualcosa che vedono fare a tutti i ragazzi. Nel giro di poco finiscono affogate. L’una tenta di salvare l’altra, ma è inutile. La loro breve vita è finita. Non vedranno l’adolescenza. I loro corpi sono coperti a malapena da due teli. Alcune foto mostrano le due bare che passano tra l’indifferenza dei bagnanti in costume. Nessuno vuole accusare quella gente sulla spiaggia, ma la scena è rivelatrice. E ci fa riflettere.
A due anni dalla loro prematura scomparsa, noi ci fermiamo a ricordarle, e a riflettere perché i nostri cuori non si induriscano, ma si aprano alla tenerezza. I bambini, strappati prematuramente alla morte, fanno davvero tenerezza a tutti. Il nostro Cardinale, giustamente addolorato, affermò in quei giorni: “Sono queste le immagini della nostra città che non vorremmo mai vedere …”. Quella di Violetta e Cristina è una storia tragica, che noi non vogliamo dimenticare.
Girarsi dall’altra parte, o farsi gli affari propri, può essere a volte, più devastante degli eventi che accadono. L’indifferenza non è un sentimento per gli esseri umani e meno che mai poteva e doveva essere per Violetta e Cristina, già segnate da una vita di stenti e forse indebolite dal peso di pregiudizi difficili da sopportare per la loro età.
Il Vangelo, Gesù stesso, col suo comportamento ci chiama non alla indifferenza, ma alla commozione, alla compassione che ci fa guardare, ci fa fermare e ci rende partecipi di chi vive una condizione difficile. Gesù accarezza i bambini che gli vengono presentati, li prende fra le braccia, li benedice e impone su di loro le mani come segno di protezione e di accompagnamento.
Guardando negli occhi i bambini noi diventiamo più umani, essi ci inteneriscono e sciolgono la durezza di cuore, l’indifferenza che cominciamo a respirare sin dalla adolescenza, sin da giovani.
La scuola della pace è una dolce cura che intenerisce, guarisce dalla indifferenza, scioglie ogni nostra durezza e in qualche modo rende bambini anche noi; cioè ci aiuta perché impariamo ad affidarci come i bambini che si affidano e si fidano di noi.
I bambini ci aprono alla grande famiglia degli amici di Gesù, ci aprono alla comunità, una famiglia senza frontiere, dove non ci sono gli esclusi ma ognuno viene accolto e sperimenta la gioia di essere voluto bene e voler bene anche lui. La scuola della pace è una scuola che fa crescere nella comunione, dà un respiro bello alla nostra vita, ma anche a quella dei bambini. E la famiglia cresce, e tutti diventiamo più umani.
L’episodio di Violetta e Cristina è emblematico, perché ci mostra il volto disumano del nostro tempo. Non possiamo essere solo consumatori, telespettatori della vita, non coinvolti verso quelli che sono nostri vicini, senza uno sguardo compassionevole e buono.
Oggi, mentre noi volgiamo la mente e il cuore a Violetta e Cristina, sentiamo lo sguardo di Gesù, attraverso il volto di questa icona, che si posa su di noi, e mentre lui ci guarda e noi lo guardiamo, sentiamo rivolte a noi le parole che Gesù continua a rivolgere alle persone che si avvicinano a lui, giovani, adulti o anziani: “va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”.
Seguire lui non ci impoverisce, ma ci arricchisce di sentimenti che ci fanno essere nuovi uomini e nuove donne, quale che sia la nostra età. E ci danno la maturità dell’amore. Si può essere vecchi nel cuore a 15-18 anni o a 80 anni. Quando non sogniamo il mondo che Gesù ha iniziato, quando viviamo senza visioni, la visione di un mondo di pace.
“Vieni e seguimi” – dice a ciascuno di noi. Io ti insegno a fermarti accanto a chi è nel bisogno, a farti vicino. E mentre vedi e ti fai vicino, il tuo cuore non resta uguale. E così ognuno di noi comincia a cambiare e mentre cambiamo noi, vediamo che anche il mondo attorno a noi comincia a cambiare.
Mariano Imperato |