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30 Ottobre 2012 | GIAPPONE

Testi e immagini del Simposio "Non c'è giustizia senza vita: la pena di morte nel mondo globalizzato"

L'iniziativa ha visto la partecipazione di autorevoli esponenti del mondo giapponese impegnato per la promozione del diritto ad una giustizia equa ed umana, che rifiuti il ricorso alla pena capitale.

Simposio: Non c'è giustizia senza vita: la pena di morte nel mondo globalizzato  
 
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 A Hiroshima gli avvocati di Takayuki Otsuki, un uomo ora di 31 anni condannato alla pena capitale per aver ucciso nel 1999, appena diciottenne, una giovane donna e la sua bimba, hanno chiesto oggi la revisione del processo sulla base di una nuova perizia psichiatrica basata su un'infanzia difficile, duramente segnata dagli abusi subiti da sua madre.
Un'azione per evitare ''un'ingiustizia'', secondo il pool di legali, in un paese come il Giappone in cui sembra esserci la granitica convinzione dell'utilita' della pena di morte dato che i sondaggi governativi segnano un supporto popolare oltre l'85%, con ancora 131 'ospiti' nel braccio della morte.

La Comunita' di Sant'Egidio, dopo alcuni anni di contatti, ha lanciato le basi di un dibattito aperto nel simposio 'Non c'e' giustizia senza vita - pena di morte in un mondo globalizzato', tenuto oggi all'Istituto Italiano di Cultura di Tokyo con il sostegno di Ambasciata italiana, Commissione Ue, Ambasciatore Ue e organizzazioni locali, come Network religioso anti-pena di morte, Amnesty International Japan e Associazione degli avvocati, che a inizio mese ha promosso un sit-in di protesta per la Giornata mondiale contro la sentenza capitale.
L'iniziativa è parte ''della moratoria universale sulla pena di morte per la quale Sant'Egidio e' da molti anni impegnata nel mondo'', ha ricordato il segretario generale Alberto Quattrucci, mentre, secondo il portavoce della Comunita', Mario Marazziti, il Giappone dovrebbe seguire ''la tendenza mondiale sul tema''. IN CALCE IL TESTO COMPLETO DELL'INTERVENTO.

L'ambasciatore UE, Hans Dietmar Schweisgut, ha ricordato gli sforzi per ''aprire un dialogo con Tokyo su un tema sensibile per l'Europa'', mentre Mizuho Fukushima, ex ministro, leader del partito Socialdemocratico nipponico ed esponente della Lega parlamentare per l'Abolizione della pena di morte ha rilevato di fronte a una platea di alcune centinaia di persone la complessita' dell'argomento, da affrontare con un blocco delle esecuzioni e un dibattito sempre piu' diffuso. In conclusione, e' possibile avviare un percorso: lo stesso ministro della Giustizia Makoto Taki, promotore nel 2012 di quattro esecuzioni e appena richiamato in servizio dal premeir Yoshihiko Noda, ha detto pochi giorni fa che sulla pena di morte ''il Giappone deve uscire dall'isolamento e aprirsi a una dimensione internazionale''. (ANSA).

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IL PROGRAMMA

Pubblichiamo il keynote speech del convegno, la relazione di Mario Marazziti, sul tema "Il mondo e la pena di morte: standards in evoluzione e nuove sfide"

•    Il Giappone è un paese gentile. Accoglie con delicatezza. Il Giappone è un paese forte, con una storia antica e una capacità di reinventarsi nella modernità. Con la propria identità. Il Giappone ha sempre saputo guardare al resto del mondo con la capacità di prendere quanto poteva essere buono anche per I giapponesi.

•    Perche” siamo qui? Perché amiamo il Giappone. E perché c’è bisogno di più Giappone nel nostro mondo globalizzato e non solo nel mondo delle democrazie liberali. Il Giappone esporta, tra le molte cose, un senso profondo della bellezza e dell’armonia, dell’importanza della comunità e del bene comune che può aiutare un mondo occidentale frammentato e dove è forte, in un tempo di incertezza finanziaria ed economica mondiale, la tentazione dell’individualismo.

•    Questo è un senso alto della giustizia. Ma davvero, il mondo se ne sta accorgendo, “Non c’è giustizia senza vita”. Per questo è importante ragionare qui, a Tokyo, su come avviare un processo per fermare la pena di morte, e come farla diventare un armamentario del passato.

•    La Comunità di Sant’Egidio ama questo paese, ama l’Asia, anche se siamo nati europei e oggi ci sono Comunità di Sant’Egidio in più di 70 paesi del mondo. Una via per ricostruire la capacita; di vivere insieme in società lacerate, anche dalla Guerra: come abbiamo potuto operare venti anni fa per fare finire la Guerra civile che ha fatto un milione di morti in Mozambico, o qualche anno fa aiutando la riunificazione della Costa d’Avorio, divisa da 5 anni di Guerra civile. O recentemente, favorendo accordi di pace preventive per evitare al passaggio dalla dittatura a un inizio di democrazia le nuove guerre civili in preparazione in Niger e in Guinea Conakry. La Comunità di Sant’Egidio è impegnata a livello planetario nel dialogo tra le religioni e le differenti culture e è così che siamo entrati di più in amicizia con le vostre culture millenarie. Collaborando per il bene dell’uomo. Oggi sentiamo il dovere di accompagnarvi nel percorso importante per fermare la pena di morte e per mettere a disposizione la nostra amicizia, l’esperienza del mondo, per accorciare la distanza che c’è oggi tra il Giappone e il resto del pianeta, che sta cambiando rapidamente, su questo terreno.

•    Si dice: quando si commette un crimine efferato e una persona si pone fuori dalla comunità, la pena di morte è necessaria. È solo la ratifica del fatto che quell’essere umano si è macchiato di un crimine che lo mette fuori dalla comunità umana. È quello che il mondo, gran parte del mondo, ha pensato per secoli, millenni. Era, in Occidente, la teoria dell’”arto amputato” per impedire che la malattia mortale si estendesse a tutto il corpo. Ma nessun essere umano smette mai di essere umano, anche il più violento, anche chi sembra un animale. E non si restituisce mai la vita a una vittima togliendone un’altra. Non si toglie mai il dolore profondo alle famiglie, eliminando un’altra vita umana e creando nuove vittime. Ce ne parleranno Curtis Mc Carthy, Sakae Menda, Kate Lowenstein, meglio di me.

•    La pena di morte c’è sempre stata. Come in Giappone non sembra essere un problema avvertito e nell’opinione pubblica, così non è stato un problema nel mondo, praticamente dagli inizi dell’umanità’. Tranne poche eccezioni, la pena di morte è stata presente in tutte le civiltà e anche in Occidente. Anche la schiavitù e la tortura sono state normali per secoli, per millenni. Si pensava: sono fatti naturali nella società, fanno parte dello sviluppo economico, del diritto dei vincitori.

•    Ma oggi la schiavitù e la tortura sono considerate fuorilegge. Sembrava impossibile che una società potesse fare a meno della schiavitù per reggersi economicamente. Oggi sappiamo che era falso. La pena di morte sembra la risposta naturale alla violenza estrema nella società e un dovere per lo stato, quello di eliminare il criminale per conto della comunità. Ma non è vero. È arrivato il tempo perché la pena di morte diventi come una vecchia televisione nel museo, oggi che viviamo nell’epoca degli smartphone, di iPhone e Android.

•    Perché, anzitutto? Perché quando lo stato uccide in nome della comunità, abbassa tutta la comunità al livello di chi uccide. Perché quando lo stato uccide dopo anni, a sangue freddo, compie un’azione più efferata di chi ha commesso un crimine in preda di una mente malata, o della droga (e la maggior parte degli autori di crimini di pena di morte hanno molto a che fare con l’uso della droga), o della rabbia di un momento, o della paura mista a violenza e a un’educazione violenta. Compie un’azione più terribile, lo stato, perché aggiunge un calcolo e una scientificità chef anno la differenza. È la differenza tra una prigione normale e un campo di sterminio, dove ogni azione è calcolata per distruggere. Quando è lo stato a uccidere c’è una sproporzione di forza tra chi è ormai detenuto e non può più nuocere alla collettività, che rende quella morte non una esecuzione, ma un delitto, non giustizia, ma vendetta.

•    Non rende la società più sicura. Colpisce sempre in maniera sproporzionata le minoranze o le fasce più deboli della società, non garantite da difesa accurate. E non c’è un caso al mondo in cui sia possibile affermare che c’è una relazione tra pena di morte e riduzione dei crimini più gravi.

•    In Occidente si parla di giustizia retributiva: non importa se ha una utilità pratica, ma va restituito in maniera feroce il colpo ricevuto. Non è poi vero in pratica. Perché per fortuna I casi di omicidio sono molto più numerosi dei casi di pena di morte. E anche qui si svela un imbarazzo della società e una ipocrisia: promette giustizia uguale per tutti, ma se fosse vero che la pena di morte è necessaria per riparare al disordine creato da un omicidio, migliaia rimarrebbero senza giustizia. Ma per fortuna non è così.

•    Non possiamo mai diventare come gli omicidi. E l’unica risposta di una società avanzata alla violenza, l’unica terapia è la vita e un senso più alto, più generoso della vita.

•    Ve lo dico con l’esperienza di chi ha messo al tavolo del dialogo, fini a fare finire guerre civili e genocide. Ho partecipato al negoziato per la fine della Guerra in Burundi: un genocidio tra etnia hutu e etnia tutsi, fondato su molte ragioni, sociali, prima che etniche. Un genocidio autentico, Come in Ruanda, come in Cambogia: e lo conoscete bene. Burundi, Ruanda e Cambogia, come il Sudafrica di nelson Mandela, dopo il regime di apartheid, che non si può riconciliare un popolo se non si rinuncia alla pena di morte, perché è il modo di guarire dall’idea di vendetta e di risarcimento per i torti subiti: che è la premessa per  nuova violenza e nuova Guerra.

•    L’Europa  oggi, dopo due guerre mondiali si è ripensata come unita e ha scritto nella propria carta di identità costituzionale il rifiuto della pena capitale, proprio perché ha visto troppa morte sulla sua terra. L’Europa ha scelto di regalare questa sua esperienza al mondo ed è attiva nello sforzo mondiale contro la pena di morte. Ma non è neo-colonialismo dei diritti umani. È la scelta di mettere il meglio di se” a disposizione degli altri, come ha sottolineato il premio Nobel per la Pace assegnato quest’anno, e anche questo simposio internazionale organizzato con il sostegno della Commissione Europea. questa Europa

•    È importante dirvi questo, proprio per ricordare qui, a Tokyo, che la pena di morte non è un tratto identitario del Giappone. Quando in Europa la pena di morte era normale, nel Medioevo europeo l’imperatore Saga, nell’818, qui in Giappone, aboliva la pena capital e questo divieto durò tre secoli, fino al 1156. In Occidente il primo stato ad abolire la pena capital fu il Granducato di Toscana, in Italia,  nel 1786. Il 30 novembre di ogni anno la Comunità di Sant’Egidio celebra le città per la vita, le città contro la pena di morte, in occasione di quell’anniversario, e quest’anno saranno 1500 città nel mondo. La pena di morte non è il Giappone. Si può fare crescere un Giappone migliore e più forte, una giustizia più profonda, senza pena di morte, anche in Giappone.

•    Il mondo è cambiato rapidamente. Negli anni ’70 appena ventitre paesi avevano abolito la pena capital. Adesso sono 141 I paesi che non la usano più, per legge o di fatto. Un anno fa la Mongolia, qui in Asia, ha abolito la pena di morte e il presidente della Mongolia ha ringraziato la Comunità di Sant’Egidio per il sostegno avuto in questo percorso. Per millenni la pena di morte è stata popolare in tutto il mondo, e negli ultimi 50 anni un cambiamento radicale. Quasi 180 i paesi che la usavano nel 1960. 46 oggi. Dimezzati nell’ultimo decennio. È l’accelerazione della storia. Esecuzioni sono avvenute, nel 2011 in 21 paesi, tra cui il Giappone. Alle Nazioni Unite, la Risoluzione per una Moratoria Universale è stata approvata per la prima volta nella storia nel 2007 e quest’anno verrà ripresentata. 108 I voti a favore, poco più di 40 gli astenuti. Il Giappone potrebbe astenersi, adesso, a novembre e dicembre, nella nuova votazione. Sarebbe un modo di accorciare il gap con il resto del mondo. Negli Stati Uniti, negli ultimi anni, New jersey, New York, New Mexico, Illinois e Connecticut hanno abolito la pena di morte dal 2007. L’Uzbekistan, il Kirghizistan, il Kazakhstan hanno fermato la pena capital, in questi stessi anni. Il Gabon, il Togo e il Benin in Africa. Il Giappone può prendere la leadership su questo terreno in Asia.

•    Ma sappiamo che la situazione è delicate. Ci sono cose che possono essere fatte subito. Il 27 Settembre 2012 il Giappone ha giustiziato due prigionieri, tra cui una donna. La sesta e settima esecuzione dell’anno. 131 prigionieri rimangono nel braccio della morte.

•    Il Giappone sta rivedendo la legislazione triennale sui giudici laici, e uno studio della Corte Suprema sui 20.817 giudici laici che hanno partecipato a 14 tipologie di processi ha dimostrato che i giudici laici hanno più propensione a infliggere sentenze più severe. Una limitazione del loro ruolo a processi senza reati capitali potrebbe aiutare.

•    Sappiamo dei diversi sondaggi che hanno dubbi sulla infallibilità del sistema giudiziario giapponese. La pena di morte rende ogni errore irrevocabile: non può mai essere tolto quello che non può essere restituito in caso di errore.

•    La modernizzazione dei processi di esecuzione ha introdotto la possibilità che il Giappone opti per l’iniezione letale al posto dell’impiccagione. Ma l’iniezione letale è fortemente sotto accusa negli Stati Uniti come sistema inumano e degradante, “unusually cruel”, con la necessità di ricorso a farmaci per gli animali e il coinvolgimento dei medici.

•     In Giappone si può essere giustiziati, ancora, anche senza avere avuto la possibilità di appelli.  Dal 6 giugno 2012. Non è richiesta la verifica del caso per I reati di pena di morte. Questo aumenta la possibilità di errore giudiziario, specialmente nel caso di confessioni estorte, che, come sappiamo dalle cronache, sono possibili.

•    Sospensioni delle esecuzioni sono discrezionali. La data dell’esecuzione non viene comunicata al condannato – questo negli standard internazionali è percepito come possibile tortura mentale, perché ogni giorno non è solo preparazione per la “pace”, ma è anche anticipazione del terrore dell’esecuzione: ogni volta che una lettera viene portata al condannato o il cibo, ma potrebbe essere che la porta si apre per essere portati a morire.

•    La famiglia è informata solo dopo l’esecuzione. È bene che in Giappone si sappia che questo crea molto pregiudizio sul Giappone, sulla sua umanità, sulla sua modernità.

•    L’isolamento come pratica regolare per I prigionieri nel braccio della morte ha gravi conseguenze psichiche e I condannati a morte, anche per molti anni, non godono dell’attenzione e del monitoraggio cui hanno diritto I prigionieri comuni sotto,posti alla pratica dell’isolamento.

•    Il regime di “Pace della mente” “Peace of Mind”, contiene limitazioni e  restrizioni tali da annientare rapidamente la dignità personale, come preparazione all’esecuzione. Ma non esistono pratiche di verifica della sanità mentale, e ridotta è l’attenzione ai problemi di capacità mentale dell’imputato anche al momento del processo.

•    Per questo:

  1. trasparenza in tutte le fasi processuali, monitoraggio e registrazione di tutte le fasi, anche degli interrogatori,    
  2. la sospensione delle esecuzioni mentre ricorsi e richieste di revisioni sono attive, la fine del regime di isolamento come pratica ordinaria
  3. Consentire l’accesso ai bracci della morte di parlamentari, Ong e media, per una maggiore trasparenza e monitoraggio
  4. La messa in atto di una moratoria delle esecuzioni avviando una Commissione indipendente e qualificata di revisione e studio della pratica della pena di morte in Giappone, con adeguata informazione dell’opinione pubblica
  5. Un voto di astensione all’assemblea generale delle Nazioni Unite in corso, sulla Risoluzione per una Moratoria Universale, motivate dalla pausa di riflessione di cui anche il Giappone ha bisogno su una materia così sensibile e su cui il mondo ha un ripensamento così profondo.

•    Questi appaiono come i primi passi per accorciare le distanze tra Giappone e resto del mondo. È possibile. Farà onore a questo grande paese che amiamo di cuore.


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