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Peace is the future

 
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8 Settembre 2014 16:30 | Thomas More, Campus Carolus, Aula 109

Intervento



Jaume Castro


Comunità di Sant’Egidio, Spagna

 Cari amici, benvenuti alla conferenza “La città e la pace”.

L’incontro interreligioso di quest’anno guarda al futuro: “la pace è il futuro”. Il nostro incontro costituisce una nuova tappa di un movimento che fin dal 1986 è pellegrino per diverse città d’Europa e del mondo. San Giovanni Paolo II tracciò sulla collina di Assisi un disegno di pace che è stato chiamato “lo spirito di Assisi”. Uno spirito di pace che ha toccato in questi anni molte città e che vive in ogni città. 

Sì, le città vogliono vivere in pace. La città è il luogo di scambio per eccellenza. Luogo in cui vivono, commerciano, parlano, dove è forgiata la storia di uomini e donne di diverse culture e religioni che si incontrano. Non uno contro l’altro, ma uno accanto all’altro. Cercando ciò che unisce e lasciando da parte ciò che divide.

Non è la stessa cosa trovarsi in un luogo o in un altro, in una città o in un’altra, ma c’è un desiderio comune: vivere insieme e in pace. Papa Francesco nella Evangelii Gaudium esclama: “Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!”.

Per la prima volta nella storia, dal 2007, la metà della popolazione mondiale vive nella città (nel 1950 erano solo il 16 per cento). Città del Messico, Shanghai, Pechino, San Paolo, Buenos Aires, New York, Parigi, Londra, Mosca, Kinshasa... sono megalopoli. Le previsioni demografiche per il prossimo decennio stimano che al meno nove città avranno più di venti milioni di abitanti (Città del Messico, Shanghai, Pechino, San Paolo e Mumbai).

Città con grandi periferie, con molti quartieri poveri (favelas in Brasile, villas miseria in Argentina). Quartieri in cui crescono diverse culture urbane, a volte preda delle mafie e della violenza diffusa, come succede in El Salvador con le maras. Quartieri periferici sono cresciuti rapidamente per l’immigrazione, come le banlieue di Parigi e altre città europee o africane. Ma anche alcuni quartieri ricchi o piccole città diventano periferie quando si chiudono in sé stessi, nel loro piccolo mondo. Periferie perché vivono chiusi nel loro benessere, temono l’invasione degli stranieri. Fuori dalla storia, senza un centro. 

Vivere insieme in pace nella città rappresenta una sfida, soprattutto quando la vita nella città è complessa. Oggi la città più che in una cinta muraria si identifica in un territorio. Un territorio in cui vivono persone di diverse culture e religioni con la sfida di creare spazi per l’incontro e l’economia, ma anche per l’accoglienza e la solidarietà. 

Le sfide e le opportunità che troviamo nelle città sono molte. L’immigrazione ha cambiato il volto delle città e pone la sfida della convivenza. La violenza diffusa si è impossessata di molte città come conseguenza della comparsa delle mafie e dei gruppi legati al narcotraffico. Molte città si impoveriscono quando si vive la fatica quotidiana della crisi. In alcune città la mancanza di prospettive di futuro e la povertà, insieme alla semplice prospettiva di costruire una città ricca, fa crescere l’apatia e la rabbia nei cittadini fino ad arrivare alla violenza. 

La città che cerca la pace deve trovare motivi di speranza nel vivere insieme, non solo arricchirsi. La globalizzazione offre nuove opportunità alle grandi città. Si devono ripensare e specializzare ma rispondendo a un progetto di convivenza e solidarietà che non lasci da parte i più poveri o gli stranieri (e nemmeno gli anziani). 

In questo tempo molte città, con i loro cittadini, sono colpite dalla guerra in Ucraina, in Siria, in Iraq. Aleppo (in Siria) ha rappresentato per molto tempo la città del vivere insieme e ora è assediata e quasi distrutta. Le città vogliono vivere e dicono di no alla guerra. Andrea Riccardi, che ha lanciato recentemente il manifesto SALVIAMO ALEPPO, dice: “Non si tratta solo di preservare i monumenti di una storia urbana di cinquemila anni. Bisogna salvare le vite umane e la città, un tessuto secolare di convivenza tra arabi, armeni, curdi, turchi e circassi che rendeva Aleppo simbolo della convivenza. Soprattutto bisogna mettere fine immediatamente a un massacro che dura da due anni. Non possiamo più aspettare”.

Le città parlano, vivono, parlano perché hanno un’anima. Le città vogliono vivere in pace. Sono un’espressione umana basilare del vivere con gli altri. Hanno una cultura, una storia condensata, luoghi in cui si accoglie una grande ricchezza culturale e religiosa. Sono luoghi dove si sono progressivamente strutturati spazi di accoglienza, solidarietà e incontro. “Convivere, quindi, è la profezia e l’indicazione di un mondo di pace, soprattutto delegittima lo scontro etnico, di civiltà e di religione: crea la civiltà del convivere” – diceva Andrea Riccardi durante l’incontro di Sarajevo. 

Esiste un ruolo delle città a questo proposito. Recentemente la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato a Livorno un incontro sulle città del Mediterraneo, convinta che la città mediterranea rappresenti un modello di convivenza. Con il suo porto, la piazza (e la chiesa, la sinagoga e la moschea) porta nei suoi cromosomi il desiderio di vivere insieme.

Ma la città corre il rischio di perdere la sua umanità, la sua anima. Oltre alla solidarietà e all’accoglienza, i credenti hanno dato sempre luce e ideali alla città. “Le religioni del Libro” hanno fatto emergere dalle Scritture un umanesimo che ha permeato la città, le ha dato un’anima. Papa Francesco afferma che Dio vive nella città ed “Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata” (EG59). 

Una convinzione dello “spirito di Assisi” è che le religioni devono collocarsi dentro la storia e interessarsi dei dolori di ogni città. Hanno l’impegno di offrire ad ogni città un futuro di pace. Questo pomeriggio il nostro obiettivo è la città. Abbiamo dei testimoni privilegiati davanti a noi, che ci aiuteranno a vivere questa visione di pace in diverse città. Non tutte le città sono uguali. Ogni civiltà, ogni cultura produce una città e la sua visione di pace. 

•  Diamo in primo luogo la parola a Jaron Engelmayer, Rabbino di Colonia, Germania.

•  Dalla Germania passiamo all’Inghilterra con l’intervento di Robert Innes, vescovo anglicano per l’Europa.

•  A seguire interverrà il Metropolita ortodosso Iosif, del Patriarcato di Romania.

•  Ascolteremo ora una voce che viene dall’Africa, continente particolarmente amato dalla Comunità di Sant’Egidio. Juvenal Nzosaba appartiene all’Unione delle Chiese Battiste del Burundi.

•  Valérie Regnier, della Comunità di Sant’Egidio in Francia, si interrogherà come costruire la pace in  una megalopoli Europea, Parigi.

•  Rimaniamo in Francia perché l’ultimo intervento sarà di Laurent Ulrich, Arcivescovo cattolico. 

 

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