Custode del Sacro Convento di Assisi, Italia
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Introduzione
Francesco d’Assisi
[…] quando si lavava le mani, sceglieva un posto dove poi l’acqua non venisse pestata con i piedi. E se gli toccava camminare sulle pietre, si moveva con delicatezza e riguardo, per amore di Colui che è chiamato “Pietra”.
Al frate che andava a tagliare la legna per il fuoco raccomandava di non troncare interamente l’albero, ma di lasciarne una parte.
Diceva al frate incaricato dell’orto di non coltivare erbaggi commestibili in tutto il terreno, ma di lasciare uno spazio libero di produrre erbe verdeggianti, che alla stagione propizia producessero i fratelli fiori.
Anzi diceva che il frate ortolano doveva fare un bel giardinetto da qualche parte dell’orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe odorose e di piante che producono bei fiori, affinché nel tempo della fioritura invitino tutti quelli che le guardano a lodare Dio, poiché ogni creatura dice e grida: “Dio mi ha fatta per te, o uomo”.
Noi che siamo stati con lui, lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava con gioia […]
(Compilatio Assisiensis, 88: FF 1623).
Sicuramente siamo di fronte ad un uomo medievale, abituato ad una lettura simbolica della natura, dalla quale dipende per vivere e dalla quale, allo stesso tempo, si deve difendere. Sembra anche, però, che egli non sia preoccupato di ottenere il massimo possibile da ciò che lo circonda, pur non dovendo temere la fine delle risorse. Sentendolo dire che ogni creatura grida Dio mi ha fatta per te, o uomo, ci si aspetterebbe persino la legittimazione di un arbitrario dominio umano sul creato, invece Francesco assume un atteggiamento rispettoso, delicato, tanto da rasentare lo spreco: nel tagliare la legna bisogna lasciare parte dell’albero, nel fare l’orto bisogna trovare tempo e spazio per far crescere fiori invece che prodotti commestibili, nel camminare sulle pietre bisogna essere delicati come se si potessero sciupare.
Perché si comporta così?
L’intelligenza della realtà
Certamente per Francesco la realtà non è semplicemente e ingenuamente quello che appare, ma è segno di un mistero che l’avvolge: le pietre rimandano a Colui che è chiamato “Pietra”, mentre i fiori portano il cuore a lodare Dio.
Al di là delle credenze di ciascuno, anche per noi la realtà non è solo ciò che appare, tanto che la sottoponiamo ad analisi sempre più approfondite; tuttavia, ciò che differenzia l’atteggiamento di Francesco da quello oggi prevalente sembra essere la finalità dell’impresa conoscitiva. Tutto il cammino del Poverello di Assisi aveva preso le mosse da una ricerca autentica di felicità, che non trovava risposta nelle soddisfazioni ricavate dall’abile esercizio della mercatura, dalle allegre feste che lo vedevano protagonista, dal riconoscimento sociale o dalla realizzazione di un nobile ideale come quello personificato nei cavalieri. Lo stesso desiderio anima Francesco nel rapporto con la realtà. Egli, infatti, non si accontenta di conoscere la natura per imparare a trarne il maggiore vantaggio possibile, ma la interroga; pone in modo tipicamente umano domande di intelligenza e di senso sulla realtà, per comprendere che cosa essa sia veramente (senza fermarsi solo al livello della materia) e da dove venga (qual è il suo fondamento e quindi il significato del suo esserci?). La rispetta come qualcosa/qualcuno che è altro da sé, mentre la guarda con stupore, come qualcosa/qualcuno cui è profondamente legato. Così, Francesco comprende che non esiste nulla che non sia dato, poiché gli esseri umani non producono il reale né se stessi, e allo stesso tempo riconosce un rapporto di mutua appartenenza con il reale che gli è donato.
Francesco inoltre mostra di aver raggiunto una conoscenza mistica, ovvero piena, del mondo: accoglie infatti la realtà nel suo significato più profondo, quale espressione d’amore. Egli conosce il nome e il volto di Colui che dona ogni bene: sono le creature stesse così a testimoniargli di essere state fatte da Dio per noi, donate perché viviamo e ci scopriamo infinitamente amati.
Ora, se si può accogliere ciò che ci circonda come un dono, il rapporto con il mondo prende una connotazione precisa. Non posso comportarmi come se fosse insignificante e quindi semplicemente a disposizione per qualunque cosa io ne voglia fare. Non posso nemmeno violarlo: lo utilizzerò piuttosto secondo la sua natura di dono buono dato per la vita, rispettandolo e custodendolo come memoria di quanto sono amato. Allora non solo non taglierò tutto l’albero se mi basta un po’ di legna per il fuoco, ma addirittura, senza alcun reale beneficio, camminerò con delicatezza sopra le pietre per non dimenticare la profonda stabilità dell’esistenza, che posso solo ricevere.
Vivere responsabilmente
Tale atteggiamento di Francesco è il principio di quello che oggi chiamiamo “sviluppo sostenibile”, perché tiene insieme il significato del dono (ovvero il fatto che gli esseri umani vivano felicemente: lo sviluppo) con la realtà del dono (ovvero il fatto che gli esseri umani possano solo ricevere la vita da ciò che li circonda e quindi sono condannati a morire se non rispettano ciò che li sostiene: sviluppo sostenibile).
L’unica alternativa allo sviluppo sostenibile è l’agire irrazionale di chi ritiene di essere padrone e sfruttatore della natura. Gli esempi a questo proposito, purtroppo, si sprecano: dalla sistematica distruzione dei paesaggi determinata dal disboscamento e dalla cementificazione incontrollata, alla manipolazione genetica selvaggia degli organismi, fino all’avvelenamento dell’ambiente che ovviamente si ritorce contro di noi; senza dimenticare la violenza sull’uomo perpetrata per arricchire pochi sfruttando l’ignoranza e la miseria di molti. Come salvarsi da questa distruzione, se l’uomo, nonostante sia intelligente, non si comporta secondo ragione?
Nello stile di Francesco possiamo trovare una via percorribile. Egli infatti, avendo riconosciuto che tutto è dono, sceglie coerentemente di assumere l’atteggiamento di chi costantemente riceve questo dono, di chi continuamente ha bisogno: sceglie di farsi povero. Seguendo Cristo, sceglie la povertà come condizione di libertà per vivere senza accaparrare, usando dei beni senza appropriarsene, godendo della bellezza di ciò che esiste senza cedere all’istinto di impadronirsene. D’altra parte, o si domina tale istinto o da esso si è dominati. Chi ne è dominato agisce con la convinzione che ciò che esiste non abbia altro valore che essere sfruttato per la propria soddisfazione; perciò non si ferma neanche di fronte al rischio della distruzione: può anche distruggere tutto piuttosto che rinunciare a trarre da tutto il massimo possibile per sé ora. Da tale bisogno insaziabile sgorga ovviamente anche la violenza sugli altri, concepiti come potenziali ostacoli nell’accaparramento dei beni. Chi invece è libero dall’istinto di impadronirsi di ciò che lo circonda, valorizza i beni, ne usa senza usurpare, è capace di condividere e di evitare la violenza, perché è ben consapevole che non esista niente che non gli sia stato donato e che non spetti anche all’altro. Si costruisce così, tramite la povertà, un’autentica fraternità e si arriva alla gioia. Francesco si dilettava intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava con gioia. Nessuna ansia, nessuna violenza, nessuno sfruttamento, invece un godimento sereno e un lavoro operoso capace di far fruttare ciò che esiste e di custodirlo, riconoscendo nella bellezza del mondo l’impronta della Bellezza.
Conclusione: come percorrere la via della piena umanizzazione?
Solo chi vive autenticamente, ascoltando il desiderio profondo di felicità che porta nel cuore, può assecondare il dinamismo che lo spinge a prestare attenzione a ciò che lo circonda, a porre domande intelligenti, a riconoscere ciò che è vero e a porre in atto scelte responsabili che, sulla base di quanto riconosciuto come vero, tendano al bene. Ed è l’amore ad innescare e sostenere questo dinamismo, permettendoci di costruire un mondo dove lo sviluppo si coniughi con un utilizzo sostenibile delle risorse e dove nessuno ritenga di avere maggior diritto a vivere degli altri.
Occorrono però scelte impegnative orientate alla condivisione dei beni e all’educazione, che tutelino i più deboli per evitare che i più forti diventino i potenti che sfruttano, che sappiano ridimensionare gli sprechi perché niente vada indiscriminatamente distrutto. Scelte coraggiose che rinnovino lo sguardo sulla realtà e modifichino gli stili di vita, con immancabili sacrifici e difficoltà, ma con la certezza che verremo ripagati dalla gioia, perché, come Francesco d’Assisi, potremo concretamente imparare, dal rispetto del creato e dalla condivisione fraterna dei beni, a dilettarci di ogni creatura, toccandola e guardandola con quella gioia che certamente non sorge mai dall’accaparramento e dalla violenza, ma nemmeno dal consumo e dalla sazietà.
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