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21 Febrer 2018

I 50 anni di Sant'Egidio. L'abbraccio.

 
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Non ci sono più i bambini per strada, nell'area dell'ex Cinodromo di ponte Marconi. Ma lungo il greto del Tevere, dove cinquant'anni fa alcuni studenti andavano a dare ripetizioni ai più piccoli, c'è ancora degrado e povertà, anfratti dove si cerca un rifugio notturno, o anche solo un posto appartato per una dose o una bottiglia.
Le baracche sostituite da un centro sociale, le corse dei levrieri ormai fermate per sempre, il campo rom adiacente sempre in procinto di essere sgombrato, mettono a disagio  chi si avventura da solo per queste strade a ridosso delle grandi arterie su cui sfreccia la città.
Quegli studenti di allora, divenuti grandi, si occupano ancora di questo pezzo di Roma, delle borgate della capitale, dei suoi poveri. Allargando di continuo lo sguardo sul resto d'Italia e sul mondo. Andrea Riccardi ricorda ancora quei giorni nelle conversazioni con Massimo Naro (Tutto può cambiare, San Paolo). Allora il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, fresco di studi e di Concilio, coagulava attorno a sé un gruppo di liceali che, come lui, erano animati dalla preghiera e avevano a cuore la sorte dei poveri. Nascevano le scuole popolari, che oggi si chiamano Scuole di pace, per mettere in pratica il Vangelo. Condividendo, con gli ultimi, pane e cultura. «I poveri sono nostri parenti, quindi come tu ti occupi di tua mamma anziana, così ti preoccupi di quell'altra persona anziana: così la famiglia s'allarga», spiega oggi Riccardi, ordinario di Storia contemporanea e già ministro per la Cooperazione e l'integrazione nel Governo Monti. «C'è un legame profondo tra la Comunità e i poveri, tanto che non si può dire che i poveri siano esterni a essa», prosegue. «Mi piace definire la Comunità come un popolo che vive il legame tra gli umili e i poveri. Umili sono quelli che cercano di non vivere per sé stessi».
Il "manifesto" della Comunità è tutto racchiuso in uno scatto: la facciata della chiesa di Sant'Egidio, dove i ragazzi cominciarono a riunirsi e pregare fin dal 1973, e l'opera Homeless Jesus, dello scultore canadese Timoty Schmalz. Un senza dimora sdraiato sulla panchina, con i piedi segnati dal foro della crocifissione, e un posto libero «per chiunque voglia farsi vicino a chi è povero e solo». Dietro l'ingresso della sede della Comunità e della chiesa, nel cuore di Roma. Una chiesa più grande a due passi da qui, la basilica di Santa Maria in Trastevere, affidata alla Comunità da Giovanni Paolo II, vede tutte le sere frotte di persone ritrovarsi alle 20.30 per la preghiera quotidiana. Una preghiera aperta a tutti così come avviene per le altre comunità, ormai diffuse in oltre 70 Paesi del mondo, che al termine del giorno si raccolgono per ascoltare la Parola di Dio e portare a Lui il grido dei poveri. Preghiera, poveri e pace diventano così tre riferimenti fondamentali indissolubili.
Consapevoli anche che è la guerra la madre di ogni povertà e che per sradicare le ingiustizie è necessario lavorare per la riconciliazione. Le parole, qui, sono esperienza. Un polmone cui attinge la città e le singole persone. Li conoscono tutti a Trastevere. Sanno che nella chiesa di San Calisto ci sono alcune decine di senza dimora che hanno trovato rifùgio nelle gelide notti di questo mese; che a San Bartolomeo, dove ogni anno si svolge la cerimonia per ricordare i martiri del Novecento, ci sono la stola e il Messale di monsignor Romero, il vescovo salvadoregno ucciso mentre celebrava l'Eucarestia; che nei centri di accoglienza, oltre al cibo, al vestiario, alle docce e agli ambulatori medici, c'è anche la possibilità di farsi recapitare la posta e di tenere così i contatti con le persone care anche quando non si ha più una casa e un domicilio... Sanno, in tutta Roma, che sono aperte le scuole di italiano per immigrati, rifugiati, rom e sinti.
A Primavalle, a Tor Pignattara e a Torre Angela, a Ostia, ma anche all'Esquilino e nella stessa Trastevere, si pensa all'integrazione degli studenti. Si ascoltano gli anziani, si pranza alla "Trattoria degli Amici", gestita da una cooperativa di disabili, si servono i pasti alla mensa, si studia la geopolitica internazionale... I progetti della Comunità si diramano in mille direzioni. Sapendo, come spiega Andrea Riccardi, che tutto si gioca su una questione: «Il Vangelo: che cresca, sia comunicato, che diventi vivo e operante». •

 

 


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