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27 Diciembre 2017

Il commento

Chi apparecchia la tavola della fraternità

 
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Da oltre trent'anni a Napoli, come in tante altre città dell'Italia e del mondo, il Natale è l'occasione privilegiata per vivere un nuovo umanesimo. Affiora una nuova cultura della vita in cui i poveri sono al centro. Per loro, tanti uomini e donne apparecchiano la tavola della fraternità. Lo fanno in modo gratuito, accurato e sobrio. All'origine di questo «miracolo di Natale» c'è la Comunità di Sant'Egidio, grazie alla quale si crea in tanti luoghi un clima di gioiosa familiarità, dove non c'è distinzione fra chi serve e chi è servito. La dimostrazione che si può vivere insieme e che la condivisione è una parola concreta.
Diversi i pranzi del 25 dicembre. Innanzitutto quello nella splendida basilica dei 
Santi Severino e Sossio, cui ha partecipato il cardinale Sepe.
Poi, quello nella chiesa di San Nicola a Nilo a Spaccanapoli e quello nella vicina Scuola di Lingua e Cultura Italiana per immigrati. Ma anche in altre chiese e luoghi del centro storico e delle periferie, come a Scampia e a San Giovanni a Teduccio. Si è radunato un popolo di poveri, fragili, circa 1.200 persone. E con loro si sono seduti e hanno servito a tavola tante persone che, pur nel benessere, hanno avvertito il bisogno di uscire dal proprio individualismo e vittimismo. Tutti accomunati da un profondo desiderio di pace e di solidarietà.
È una buona notizia per Napoli. Ed è l'immagine più vera della Chiesa in uscita di cui parla papa Francesco, che va incontro al disagio e alla miseria in cui sopravvivono tanti nella nostra città. Sono i mendicanti, i malati, i senza dimora che incontriamo nei pressi della stazione di piazza Garibaldi o nelle strade del centro, gli anziani la cui povertà è accresciuta dalla solitudine, i disabili nascosti in una città con numerose barriere architettoniche rafforzate dalla generale noncuranza, i ragazzi profughi alla ricerca di un senso per la loro vita, i rom con i loro bambini divisi dagli altri da muri insuperabili fatti di estraneità e pregiudizi. E nel caso delle carceri della Campania, undici pranzi hanno preceduto e seguiranno il 25 dicembre.
Partendo dai poveri si torna al significato autentico del
Natale: Gesù nasce in una grotta senza che nessuno lo accolga in casa propria. Si scopre così che Napoli non è solo problemi, violenza e rassegnazione al male. Attorno ai poveri si raduna un popolo di tutte le età, fatto di credenti e non credenti, proveniente anche da luoghi geograficamente distanti, attratto e unito dal servire chi è in difficoltà e animato da una forte sete di bene. Il pranzo di Natale ne è solo la manifestazione più luminosa. Sono infatti le stesse persone che spendono il talento del proprio tempo accanto a chi è debole e povero per l'intero anno. E lo fanno con premura e assiduità senza chiedere nulla in cambio, consapevoli che vi è più gioia nel dare che nel ricevere.
È la gioia dell'uscire da se stessi. In questa ottica, i pranzi del 25 dicembre non sono frutto di un impegno, per quanto bello, ma episodico: sono invece il risultato di un'alleanza fra umili e poveri che ambisce a divenire modello di una società più coesa e partecipe perché basata sulla convinzione che nessuno si può salvare da solo. Che tutti necessitiamo di compagnia, aiuto, affetto. I poveri allora diventano maestri di vita perché restituiscono a ciascuno la reale dimensione della propria esistenza.
Ed è per questo motivo che tanti - oltre 600, un numero maggiore rispetto agli anni precedenti - sono stati al loro servizio: perché se è vero che la Campania, come hanno rilevato recenti studi, è la regione in cui si ravvisa maggiormente il rischio di scivolare nella povertà, allo stesso tempo vi sono tante persone sensibili che si mettono a disposizione per una città più umana e solidale. E l'immagine dei pranzi di Natale che si sono tenuti a Napoli, come in altre località della Campania, è il grande messaggio di pace che si fa voce unanime di tanti uomini e donne di buona volontà.


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