II linguaggio ortodosso sembra ostico ai media. Infatti il significato del Concilio panortodosso di Creta, concluso domenica scorsa, non è immediatamente decifrabile. L'unica notizia recepita sembra il rifiuto di bulgari, georgiani, antiocheni e russi di unirsi a Creta alle altre dieci Chiese ortodosse. Un evento minore? Non è stato così. Il patriarca Bartolomeo ha voluto celebrare il Concilio nonostante le assenze. Ed è stato un evento speciale per i 290 partecipanti. Questi, incontratisi come non avveniva da tanti secoli, hanno sentito e mostrato che l'ortodossia non è una federazione di Chiese nazionali, ma un'unica Chiesa con una visione del mondo. Il patriarca Daniel di Romania ha salutato il Concilio come «avvenimento raro e allo stesso tempo l'inizio della normalità»: la pratica sinodale è la norma nell'ortodossia. C'è voluta però la pazienza del patriarca Bartolomeo, appoggiato dal metropolita Emmanuel di Francia e da altri, per giungere all'evento. Una settimana di Concilio ha rappresentato un fatto sentito liberatorio da prospettive nazionali inadeguate e da mediocri polemiche, la cui consistenza sfugge ai più. Bartolomeo ha presieduto l'evento con autorità, ma anche grande capacità d'integrazione delle diverse sensibilità.
L'ortodossia - con la sua identità tradizionale - è entrata nel mondo globale, affermando come sia arbitrario «assimilare la Chiesa a un conservatorismo inconciliabile con il progresso della civiltà». Anzi ha ribadito che non c'è futuro prescindendo dall'esperienza spirituale. Eppure molti hanno parlato di un Concilio azzoppato, per l'assenza della grande Chiesa russa. Certo incompleto. Ogni Concilio - per gli ortodossi, a differenza dei cattolici - non è solo la celebrazione dell'assemblea: ha una seconda fase, non meno importante, l'accoglienza del popolo. Scriveva il teologo russo della diaspora, Paul Evdokimov: occorre che ogni decisione conciliare «passi attraverso la recezione del popolo della Chiesa...». Non c'è Papa che convalidi il Concilio. Ora si apre il processo di recezione, cui possono partecipare anche gli ortodossi non rappresentati a Creta (in cui gli altri cristiani potranno avere un ruolo). Del resto, il patriarca russo, Kirill, alla vigilia del Concilio, pur non riconoscendolo come panortodosso, ha espresso «rispetto»: «Non ci turbi il fatto che le opinioni delle Chiese-Sorelle... si siano divaricate». Ha ribadito: «Noi restiamo un'unica famiglia ortodossa...». Anche i critici di Kirill riconoscono che i russi non hanno sabotato il Concilio, ma hanno temuto le loro divisioni interne.
Ora molto si gioca attorno al messaggio del Concilio. Non si pensi a qualcosa di simile al corpus elaborato dal Vaticano II. Nell'insieme, i testi hanno però un valore. Mostrano come la «priorità» del Concilio sia stata l'unità attraverso una struttura conciliare. Condannano chiunque rompe l'unità, guardando ai tradizionalisti di ogni Chiesa. L'ortodossia è un mondo plurale, non per questo necessariamente diviso. Oggi - dice il Concilio - l'ortodossia si qualifica come modello di «unità nella pluralità» di fronte all'«omogeneizzazione riduttiva» del mondo globale: «La Chiesa ortodossa si propone di proteggere l'identità dei popoli e di rinforzare il carattere locale». Anche i piccoli popoli hanno diritto all'identità particolare di fronte alle strutture omologanti della globalizzazione culturale e economica (ci si oppone all'«autonomia dell'economia»). Si contesta un mondo dal potere unico, per così dire monarchico. In tutti i campi, si afferma la forza del dialogo (pur nella fedeltà alla verità e alla tradizione): dialogo con i non ortodossi («eterodossi» nei documenti in greco), le religioni non cristiane, le società, per la pace. Non è una posizione irrilevante in un mondo di contrapposizioni emotive, in un Est europeo affascinato dai muri.
Il difficile dibattito sugli ortodossi nella diaspora (dove sono minoritari e divisi secondo le origini nazionali) mostra come il grande mondo fuori dalle nazioni ortodosse li cambi in profondità. La diaspora russa in Francia, dopo la rivoluzione d'Ottobre, ha creato - ad esemplo - una felice contaminazione teologica e culturale con il pensiero occidentale. I testi del Concilio parlano del «secolarismo» con severità ma anche parsimonia. In queste pagine si affollano i dolori contemporanei: la guerra (condannata come frutto del male), il fondamentalismo, i rifugiati, la crisi ecologica, la manipolazione mediatica, il traffico degli esseri umani, l'uso incontrollato della biomedicina...
Il messaggio conciliare mostra un'ortodossia non indifferente «ai problemi dell'uomo... ma al contrario partecipa alle sue angosce». Il Concilio - si dichiara - «ha aperto il nostro orizzonte sul mondo contemporaneo diversificato e multiforme. Ha sottolineato che la nostra responsabilità nello spazio e nel tempo è sempre nella prospettiva dell'eternità». Con una voce unica, le Chiese ortodosse hanno detto che il progresso si fa anche attraverso i «valori spirituali eterni». La volontà diffusa è che questo Concilio sia il primo di una serie.
Andrea Riccardi
|