Qualche centinaio di persone, per lo più giovani, look neonazi, bandiere delle SS e croci uncinate: a Budapest è sfilato sabato per le vie del centro un corteo antisemita, organizzato dal partito di estrema destra Jobbik contro la presenza in città del Congresso mondiale ebraico. È accaduto, in una capitale europea, ciò che in Europa non dovrebbe accadere, con l'inerzia delle autorità locali che non hanno impedito quella lugubre marcia. Ancora una volta gli ebrei sono bersaglio di un odio irrazionale, come se la storia non insegnasse nulla (e se ci si ferma a riflettere sui numeri della Shoah in Ungheria, almeno 400mila morti su un totale di 500mila ebrei, l'enormità della tragedia dà le vertigini). A settant'anni dalle deportazioni degli ebrei di Roma, iniziatesi il 16 ottobre 1943, e a settant'anni dalla rivolta e distruzione del ghetto di Varsavia, la nostra coscienza di europei non merita davvero di essere così gravemente offesa. Sotto attacco è, infatti, l'intera Europa.
L'Unione Europea nasce dalle ceneri della guerra e dalla Shoah. È costruzione economica e politica, ma è soprattutto idea di un tempo nuovo in cui popoli diversi, che si erano combattuti duramente e a lungo, trovano la via del vivere assieme. È, in un certo senso, sogno. Il sogno europeo. È voltare pagina, superando gli odi del passato. La manifestazione antisemita in Ungheria sembra voler negare tutto ciò. Ci getta indietro nel tempo, in un periodo cupo di caccia all'" altro", il "diverso da sé" da demonizzare e colpire, con un'escalation di violenza che ebbe una giustificazione nelle teorie del razzismo e dell'antisemitismo. Non c'è, nella mentalità degli antisemiti che hanno sfilato a Budapest, alcuno spazio per una casa comune, un'Europa plurale ma coesa, in cui tutti possano vivere pacificamente. Non c'è il sogno europeo nato nel dopoguerra.
C'è, al contrario, un particolarismo aggressivo che coniuga neonazismo e antieuropeismo, antisemitismo e xenofobia. La manifestazione antisemita infrange un tabù, poiché l'antisemitismo, seppure mai scomparso, è stato bandito nel linguaggio pubblico europeo. Qui si tratta invece di un partito politico - il terzo come numero di parlamentari in Ungheria - esplicitamente antisemita. È un attacco agli ebrei e una ferita all'Europa. Non va sottovalutato, anche perché le avvisaglie di un incremento preoccupante di razzismo e antisemitismo sono state, negli ultimi tempi numerose, soprattutto nell'Europa dell'Est. Lidea è che gli ebrei siano estranei alla nazione e nocivi; che chi è "estraneo" è anche nemico. Lo stesso odio colpisce i rom e gli immigrati. E la violenza di pochi trova terreno fertile in una diffusa cultura del disprezzo verso l'altro. È una mentalità aggressiva, che già Primo Levi, introducendo "Se questo è un uomo", ha descritto lucidamente: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere più o meno consapevolmente, che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero.
Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager». Il fatto che oggi a propagandare idee antisemite non siano solo piccoli gruppi di neonazisti, ma partiti politici, con un qualche seguito elettorale, è allarmante. Di fronte ai fatti di Budapest c'è bisogno che la coscienza degli europei, divenuta troppo silenziosa, si desti. Il moto d'indignazione deve essere unanime, così come la richiesta al governo ungherese di assumere una posizione netta di condanna dell'antisemitismo. Come europei, e come cristiani, dobbiamo saper esprimere tutta la nostra solidarietà ai delegati al Congresso ebraico mondiale, agli ebrei d'Ungheria e d'Europa. L'Europa, salda nelle sue radici, deve essere terra di pace e di convivenza per uomini e donne di ogni cultura e religione.