MILANO - STAZIONE Garibaldi, ore 21.30. Nel piazzale il movimento è frenetico: decine di viaggiatori si fanno largo trai taxi e le auto lasciate dove capita da chi è venuto a prendere qualcuno. È mercoledì, e come ogni mercoledì sera, a fianco di chi corre per raggiungere casa, camminano silenziosi e impacciati coloro che si ritrovano in fondo alla piazza per mangiare un piatto caldo e ritirare i sacchetti con i panini e l'acqua distribuiti dai volontari della comunità di Sant'Egidio. Più il tempo passapiù la fila davanti alla mensa si allunga. E le persone che aspettano di ricevere i viveri sono soprattutto di origine cinese. Giovani e anziani, costretti dalla mancanza di lavoro a vivere per strada.
Addio, dunque, al mito della comunità cinese produttiva e impermeabile agli effetti della crisi, tanto da mettere in ginocchio le economie occidentali. La recessione non lascia scampo e anche per i lavoratori cinesi a Milano le opportunità di impiego si restringono. A chiudere i battenti e ad abbassare le serrande non sono solo le imprese nostrane, ma anche quelle gestite da imprenditori di Pechino. Tra le persone in coda qualcuno spicca per l'aspetto elegante: giacca e camicia poco si addicono alla durezza della vita di strada. «Sono in Italia da molti anni», racconta un uomo che ha superato i sessant'anni, mentre mostra con fierezza la carta d'identità italiana. È venuto via dal suo Paese vent'anni fa e dopo aver lavorato come muratore nei cantieri milanesi attende ancora di essere pagato. «Mi devono più di 18mila euro», racconta in un italiano stentato, aiutandosi coi gesti.
Si siede su un muretto, infila nella sacca la borsa di plastica con i panini, per poi inabissarsi lungo le gallerie di Garibaldi e cercare un riparo dove trascorrere la notte. I binari oppure i capannoni abbandonati che si susseguono tra la stazione e l'ex scalo ferroviario di via Farini: sono questi i rifugi privilegiati dei cinesi alle prese con la disoccupazione. Sorride, invece, un altro muratore di 40 anni che, dopo mesi di inattività, ha finalmente trovato un lavoro. Nulla di fisso e duraturo, un posto occasionale, solo un po' di ossigeno, sufficiente però per tentare di abbandonare la stazione. Certezze, quelle vere, non ce ne sono e in un mondo del lavoro che ero de antichi diritti si torna a lavorare alla giornata.
Con il sostegno della comunità: la rete di rapporti tra i cinesi è forte, l'appoggio non manca anche nei momenti più duri. E per i fortunati che rimediano un'occupazione, subito si spalancano le porte degli appartamenti da dividere con i connazionali, dimenticando capannoni e binari. «Il mio sogno è di aprire una ditta», spiega un uomo che, malgrado gli ostacoli linguistici, abbandona la proverbiale riservatezza e prova a raccontare la sua storia. In Italia è arrivato negli anni Novanta, il lavoro non è mai stato un problema, ma adesso gli stipendi non pagati lo hanno messo in difficoltà.
Da qualche mese si è spostato a Pescara, dove ha un impiego. A Garibaldi viene quando riesce, per ritrovare gli amici e incontrare i volontari, con cui si è creato un legame. «Se mai riuscirò ad avere una mia attività assumerò tutti loro», promette guardando le persone in fila che attendono il cibo. Il momento peggiore per le imprese di Pechino in Italia, assicurano i più informati, è passato. Ma la ripresa è lieve, lenta, la crisi ancora non accenna ad allentare la morsa. Le parole dell'amico emigrato in Abruzzo sembrano dare coraggio a un altro uomo: supera la timidezza e, aiutandosi con i gesti, inizia a raccontare la sua storia. In Italia è arrivato nel 1992, quando aveva 27 anni. Il cappellino e l'abbigliamento sportivo lo fanno sembrare un ragazzo, ma tra pochi mesi compirà 40 anni: «Ho lavorato anche in un ristorante, ma per molto tempo ho fatto il sarto». Ora è disoccupato e cerca un nuovo mestiere. Saluta e con aria malinconica si infila, insieme ad alcuni connazionali, nella galleria che porta al binario 15. In gruppo sistemano piatti e panini su una panchina e iniziano a mangiare. Un'altra giornata è terminata, nell'attesa che l'economia riparta e riesca finalmente a placare la fame di lavoro.