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2 Gennaio 2015

"Per Napoli sia l'anno della solidarietà"

Il cardinale Sepe in testa al corteo della marcia della pace organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio

 
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«PER Napoli deve essere un anno all'insegna della solidarietà. Ci vuole la  responsabilità di tutti per migliorare le condizioni della città». Il cardinale Crescenzio Sepe è in testa al corteo che celebra la giornata mondiale della pace, organizzata dalla comunità di Sant'Egidio: tredicesimo anno consecutivo con manifestazioni in oltre 800 città di 70 nazioni. Sua Eminenza sta per varcare la soglia del Duomo, seguito da oltre 300 fedeli che reggono cartelli con i nomi dei 27 paesi del mondo flagellati dalla guerra. Cattolici, ortodossi, protestanti, partiti alle 18.30 da piazza del Gesù. Si radunano nella basilica per la messa di Capodanno. «Come vorremmo che Napoli trovasse la via del proprio riscatto - dice il cardinale nell'omelia - Ma la storia ci insegna che il destino di Napoli dipende da noi. Abbandoniamo la cultura del lamento. Senza dubbio chi è a capo di una istituzione ha maggiore responsabilità, ma ciascuno di noi è corresponsabile nel bene e nel male della costruzione della casa comune. Proponiamoci di cambiare atteggiamento nel 2015, di collaborare con spirito costruttivo e solidale per il bene di tutti».
È il 2015 l'anno della visita ufficiale di Papa Francesco a Napoli, fissata il 21 marzo. «Porterà una ventata di speranza, è necessario l'impegno di tutti per accoglierlo», dichiara il cardinale. Riempie la chiesa il movimento "Genti di Pace" di Sant'Egidio: circa mille stranieri iscritti che vivono a Napoli e che si impegnano nell'aiutare i più deboli. Distribuendo ogni settimana pasti ai clochard. In corteo c'è la croce costruita con il legno delle barche approdate a Lampedusa. E durante l'omelia le parole del cardinale toccano il dramma degli sbarchi in Italia, 165 mila nel 2014 contro i 60 mila dell'anno precedente, 3 mila tra morti e dispersi: «È appena il caso di ricordare che molti migranti, durante i loro drammatici viaggi, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente, per essere talvolta detenuti in condizioni anche disumane, una volta giunti a terra. Ci uniamo al messaggio del Santo Padre "Non più schiavi, ma fratelli", dedicato, in questo giorno, alla Pace».
Sul palchetto di piazza del Gesù, Ndagho Ayat, ghanese, arrivato nel 2008 a Lampedusa racconta la sua storia: «Sono vittima della guerra etnica tra due tribù nella mia città di Baku. Mio padre è stato ucciso da mio zio. Sono riuscito a fuggire». Una  traversata a piedi fino al Burkina Faso, poi in Niger e nel deserto della Libia in un camion: Ndagho racimola 1500 dollari per pagarsi il trasporto su un barcone insieme a 80 connazionali: «Non è vero che riceviamo soldi dal governo italiano, solo cibo. Qui da voi è difficile ottenere il riconoscimento di rifugiato. A Napoli non ho ancora trovato la pace che cerco. Si approfitta della nostra condizione. Tanti truffatori ci promettono lavoro e documenti».
Negli ultimi due anni si è dimezzata a Napoli la comunità rumena: da 6 mila a 3 mila. «Non c'è più lavoro qui - racconta padre Simeone della chiesa ortodossa - I miei fratelli vanno in Inghilterra e nei paesi nordici». Si alza il grido di Gabriella Pugliese, comunità di Sant'Egidio: «Siamo qui per chi soffre. La guerra non ha vinto tra Cuba e Stati Uniti. Speriamo che quest' anno la pace arrivi anche in Corea e in tanti paesi del centro Africa». 


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