«Matteo Renzi è mai venuto qui?» chiede Angela Merkel ad Andrea Riccardi. «Quando era sindaco di Firenze» risponde il fondatore della Comunità di Sant'Egidio. «Gli dirò allora di tornare» replica la cancelliera tedesca.
Questa promessa della donna che ha in mano i destini europei – o «la protestante più potente del mondo», come ha titolato Der Spiegel riferendo del suo incontro con il Papa – non è certo solo l'ennesima dimostrazione dell'abitudine di assegnare compiti (in questa circostanza fuori casa) ai colleghi primi ministri.
È il chiaro segnale che la visita all'«Onu di Trastevere», avvenuta dopo la tappa in Vaticano, non è stata un impegno come tanti, sia pure inserito significativamente in un tour de force che l'ha portata in una manciata di giorni a compiere migliaia e migliaia di chilometri tra Kiev, Mosca, Washington, Ottawa, Minsk, Bruxelles e Parigi. No, l'ex pupilla di Helmut Kohl sapeva bene dove andava e perché ci andava. Tanto è vero che suggerirà al presidente del Consiglio italiano di seguire il suo esempio. Mediatrice diplomatica instancabile, si è voluta confrontare con chi ha sempre cercato, come lei oggi, di promuovere la pace. La guerra, dicono a Sant'Egidio, «è la madre di tutte le povertà».
«Angela la buona» si potrebbe dire. Tanto che è rimasta colpita, racconta chi era presente all'incontro, dalle parole con cui Riccardi le ha descritto le storie di alcuni protagonisti della tragedia infinita che si svolge vicino a noi, in un Mediterraneo dove perde la vita troppa gente innocente. «Spaventoso, insopportabile» è stato il suo commento. A Sant'Egidío la cancelliera ha mostrato il suo lato migliore, o se si preferisce, il suo volto nuovo.
E' preoccupata per il futuro di un continente che aveva finalmente superato le sue divisioni. Teme per la sua stabilità, messa a rischio proprio negli anni in cui sono stati ricordati il centenario del primo conflitto mondiale e l'anniversario della liberazione del campo di sterminio nazista di Auschwitz.
Guardando a Est, ma parlando anche più in generale, ha ricordato che la pace in Europa, purtroppo, «non è un fatto scontato», come invece eravamo abituati a credere. Va perseguita con un impegno continuo, di cui devono farsi carico tutti i Paesi dell'Unione. E ha citato il lavoro fatto nel corso degli anni dai suoi ospiti, che hanno «portato la loro testimonianza in molti luoghi del mondo, rendendo possibili gesti di riconciliazione». Un breve discorso, il suo, pronunciato proprio nella sala in cui furono firmati nel 1992 gli accordi con cui ebbe termine la guerra civile del Mozambico. Prima di lei è intervenuto il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, che l'ha ringraziata per gli sforzi compiuti in Ucraina.
In questa crisi, la cancelliera ha dimostrato capacità e perseveranza. Ha capito perfettamente la gravità dei pericoli, ma ha ribadito sempre (come ha fatto nuovamente ieri) la necessità di perseguire una soluzione diplomatica, respingendo al mittente le scorciatoie suggerite da chi a Washington ha ipotizzato forniture di armi al governo di Kiev. I principi sono comunque sempre fermi, di fronte all'aggressività russa: «L'attenzione all'integrità territoriale - ha detto - è sempre la base per una convivenza pacifica».
Ma, soprattutto, si è mossa con una diversa determinazione rispetto a quanto la Germania ci aveva fatto vedere nel passato. Certo, se lo può permettere. A Berlino governa saldamente, appoggiata da un'ampia maggioranza parlamentare e benedetta da un sostegno popolare quasi senza precedenti. Sta di fatto, però, che al pragmatismo che ispira la sua azione sul piano interno si affianca adesso una politica estera attiva in cui emergono profonde motivazioni ideali. Non è un caso che abbia illustrato al Papa un'agenda della presidenza del G7 in cui è stata assegnata una parte importante alla lotta contro la povertà e all'uguaglianza di genere nei Paesi in via di sviluppo. Con lei, incollata come un'ombra, l`ex ministra dell'Istruzione Annette Schavan, costretta due anni fa alle dimissioni per aver copiato alcuni passaggi della sua tesi di dottorato in filosofia e poi nominata ambasciatrice tedesca presso la Santa Sede.
Si diceva allora che fosse la sua unica vera amica nel governo. Ma i tempi, forse, sono cambiati. «Angela la buona» è sempre meno sola.