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7 Septiembre 2009 09:30 | Convento de los Dominicos

Intervento



Jaron Engelmayer


Rabí en Israel

Come rabbino questo argomento mi risulta estremamente complesso e tanto affascinante quanto difficile, appartenendo io alla religione ebraica e vivendo in un luogo come la Germania.

In primo luogo, vorrei illustrarvi la concezione ebraica riguardante gli stranieri e l’essere stranieri. Al contrario della maggior parte degli altri popoli, quello ebraico si è costituito proprio nel periodo in cui era straniero, forestiero, lontano da casa. I discendenti d’Israele si sono formati fisicamente come popolo in Egitto; in seguito nel deserto del Sinai hanno ricevuto la Torah e sono così diventati spiritualmente un popolo con una propria costituzione. Questi eventi  hanno lasciato negli Ebrei un’impronta permanente, in particolare riguardo al loro modo di relazionarsi con gli stranieri, come la Torah precisa: “…..” “amerai lo straniero, poiché tu stesso sei stato straniero in terra d’Egitto”. La Torah si spinge anche oltre, conoscerete senz’altro quel  comando molto famoso ed importante per la vita “amerai il prossimo tuo come te stesso”.

Queste parole vengono dal Levitico, il terzo libro della Torah, ma meno noto è il fatto che con la stessa espressione la Torah esprime anche un altro precetto: “amerai lo straniero come te stesso!”. Varie altre volte la Torah sottolinea sotto forma di prescrizione che noi dobbiamo amare gli stranieri poiché siamo coscienti delle difficoltà che uno straniero deve affrontare in un ambiente ed in una società per lui nuovi.

L’essere stranieri o l’esser visti come stranieri ha formato l’identità del popolo ebraico, per la maggior parte del tempo disperso per tutto il mondo, nel corso di tutta la sua storia.

Solo mantenendo un’autentica identità ebraica e prendendosene cura gli Ebrei sono riusciti a rimanere un unico popolo, pur non avendo né una nazione né alcuna unità per 2000 anni. Un famoso detto recita così: “è stato più lo Shabbat a tenere insieme il popolo d’Israele, di quanto Israele non sia stato fedele allo Shabbat”. L’adesione alla Torah e alla tradizione ha salvato il popolo d’Israele dall’essere assimilato e quindi dallo scomparire.

D’altra parte, e questo è il rovescio della medaglia, “mantenere la propria identità non significa essere distaccati dall’ambiente circostante, non significa costruire una cosiddetta società parallela allo scopo di sopravvivere con la propria cultura. È necessario operare una differenziazione tra assimilazione e integrazione: assimilarsi vuol dire diventare uguali all’ambiente che ci circonda, adattandosi, mentre integrarsi significa avvicinarsi alla conformazione dell’ambiente, accettando la costituzione e le leggi del luogo in cui si vive, ma allo stesso tempo restare in grado di mantenere la propria identità culturale, non considerandola una separazione dalla società circostante, ma piuttosto un ulteriore arricchimento di essa.

In Germania e in Europa occidentale viviamo in una civiltà moderna, aperta, nel quale è importante sia avere un’identità definita, conoscere le proprie radici, che allo stesso tempo non restare isolati rispetto all’ambiente circostante, ma rendersi parte di esso, accettandone le leggi e rimanendo disponibili di fronte ad opinioni, prospettive e culture diverse.

 


Cracovia 2009

El saludo del papa Benedicto XVI en el Ángelus


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