change language
du bist dabei: home - Ökumene und dialog - internat...streffen - krakau 2009 newsletterkontaktlink

Unterstützung der Gemeinschaft

  

Dankgottesdienst zum 50. Jahrestag der Gemeinschaft Sant’Egidio

10. Februar um 17.30 Uhr in der Lateranbasilika des Hl. Johannes

Die ersten Personen sind 2018 durch die humanitären Korridore in Italien angekommen. Die neue Phase des Projektes, das zum Modell der Gastfreundschaft und Integration für Europa geworden ist


 
druckversion
7 September 2009 16:30 | Franziskanerkloster Saal A

Intervento



Jerzy Pańkowski


Orthodoxer Bischof, Kirche von Polen

La preghiera, oltre al dono della vita, è il maggior dono dato da Dio all'uomo, grazie al quale è diventata possibile la relazione della creatura con il Creatore, anche dopo la sua caduta. La preghiera accompagna infatti l'uomo sin dall'inizio, come  confermato dalla protologia veterotestamentaria. Il fatto stesso della conversazione dell'uomo con Dio nel paradiso era un tipo particolare di preghiera e koinonia . Tale preghiera aveva chiaramente un carattere diverso, a motivo dello stato antecedente la caduta nel quale si trovava ancora il primo uomo. Il carattere della conversazione con Dio cambia diametralmente subito dopo la caduta . Nell'uomo appare la vergogna, il senso di colpa e ciò che avrebbe forse deciso il destino successivo dell'intera umanità, ossia l'autogiustificazione e la mancanza di pentimento. Di fronte alla Provvidenza Divina e al piano dell'economia della salvezza è difficile fare congetture su cosa sarebbe successo se i primi uomini si fossero gettati "ai piedi di Dio" e avessero chiesto perdono per la mancanza di obbedienza. I destini del mondo e dell'umanità sarebbero stati diversi? Solo Dio conosce la risposta a questa domanda, e per l'uomo evidentemente questa risposta non sarebbe comunque granché utile.
Concentriamoci quindi maggiormente sul significato della preghiera nel Nuovo Testamento, e sul suo aspetto cristologico. La preghiera è sempre legata alla memoria di Dio, che fa nascere la preghiera. Ne parla San Silvano del monte Atos: "Se non ti ricorderai di Dio, allora non pregherai, e senza la preghiera l'anima non può restare nell'amore di Dio. Attraverso la preghiera giunge la grazia dello Spirito Santo" . La memoria di Dio ha tuttavia un significato molto più largo della semplice memoria di un altro uomo. Il suo fondamento non è solo il ricordo, ma soprattutto la consapevolezza della presenza di Dio, che protegge l'uomo dal peccato. Questa consapevolezza diventa una preghiera di memoria, un riferimento incessante dell'intero nostro essere al Creatore, conosciuto senza fine. "Grazie alla preghiera - ci dice ancora San Silvano - l'uomo si protegge dal peccato, poiché nella preghiera il pensiero è occupato da Dio, e con anima umile si trova di fronte a Dio, che conosce l'anima dell'uomo che prega" .
La preghiera nel Cristianesimo è conosciuta nelle sue diverse forme. Di solito viene divisa in preghiera di lode, preghiera di ringraziamento e preghiera di supplica. La prima loda Dio, la seconda lo ringrazia, la terza esprime una richiesta a Dio. Tutte queste preghiere tuttavia si basano sul fondamento della metanoia. E' difficile accettare l'affermazione che la preghiera è solo un dialogo con Dio. Infatti la preghiera è un'incessante supplica a Dio di ritorno alla koinonia, e questo richiede un continuo pentimento da parte dell'uomo. Questa supplica incessante costituisce la pericoresi di tutti i tipi di preghiera cristiana. Il ringraziamento nella preghiera riguarda non solo le preghiere esaudite, ma anche quelle non esaudite. Sia nel primo che nel secondo caso abbiamo a che fare con l'azione di Dio "a nostro beneficio". L'uomo non è in grado di prevedere se ciò che chiede gli porterà profitto. Appare quindi la risposta ad una domanda posta spesso: perché Dio non esaudisce tutte le richieste umane presentate nella preghiera? Dobbiamo qui ricordare il fatto che spesso la preghiera di supplica diventa una forma di "ricatto" verso Dio, soprattutto quando chi prega subordina la propria vita o il proprio rapporto con Dio alla condizione dell'esaudimento della richiesta presentata nella preghiera. Questo non vuol dire che non dobbiamo supplicare Dio ed esprimere nella preghiera quello che abbiamo a cuore. La giustezza di tale tesi è affermata da San Giovanni Crisostomo che afferma, in modo peculiare: "Non rattristiamoci quindi, quando Dio aspetta ad esaudire la nostra preghiera. Non perdiamo la nostra pazienza.  Forse l'Onnibuono non potrebbe darci ogni cosa prima che glielo chiediamo? Certamente potrebbe, ma aspetta la nostra richiesta, per venirci in aiuto in modo giusto. Quindi esprimiamogli la richiesta nella nostra preghiera, e affidiamoci con fede, speranza e fiducia alla Sua onniscienza e filantropia. E quando ci dà quello che abbiamo chiesto, ringraziamolo. Quando non ce lo dà, ringraziamolo lo stesso, infatti non sappiamo, come lui invece sa, cosa è buono per noi." .
Queste riflessioni della bocca d'oro della Chiesa ci indicano la doppia azione di Dio nei confronti della preghiera di supplica. Da una parte Dio non esaudisce affatto le richieste, a motivo del loro carattere soteriologicamente sfavorevole, in riferimento a un determinato uomo, luogo e condizioni, e d'altra parte Dio sperimenta la pazienza umana nella preghiera, ritardando l'esaudimento delle preghiere di supplica per motivi che solo Lui conosce. L'efficacia della nostra preghiera, secondo San Giovanni Crisostomo, dipende da alcuni fattori molto importanti: Primo, se siamo degni di ricevere quello che chiediamo. Secondo, se preghiamo secondo la volontà di Dio. Terzo, se la nostra preghiera è una preghiera incessante. Quarto, se assolutamente in tutto ci rivolgiamo a Dio. E quinto, se chiediamo quello che è utile a noi .
Paradigma molto importante ed estremamente edificante di preghiera di supplica non esaudita sono la figura e la richiesta del Santo Apostolo Paolo. Nonostante Lui fosse particolarmente santo, quello che chiese a Dio non gli fu concesso. Fino ad oggi i migliori biblisti non sono stati in grado di determinare univocamente cosa fosse la "spina nella carne"  che dava così tanto fastidio all'Apostolo nella sua vita. La causa dell'insorgenza di tale "spina" era la mole delle rivelazioni che avrebbe potuto indurre in superbia San Paolo. Indipendentemente da cosa fosse questa "spina nella carne" essa fu data a Paolo come "inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia" . Nonostante questo l'Apostolo pregava incessantemente Dio di allontanare da lui la spina nella carne, ma non venne esaudito. E' essenziale in questo caso la risposta di Dio: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" . La conclusione paradossale contenuta nelle parole di Cristo ha aiutato l'Apostolo a trovare la gloria nelle sue debolezze,  perché in esse dimori la potenza di Dio.
L'Apostolo ha pregato Dio, dopo un processo di catarsi spirituale e l'esperienza di molte rivelazioni che arrivavano anche al terzo cielo . E' molto più difficile da esaudire la preghiera di una persona evidentemente indegna. Val la pena sottolineare qui che ogni preghiera è nella sua essenza imperfetta e indegna. La sua dignità tuttavia dipende dal grado di umiltà e pentimento. San Giovanni Crisostomo per questo mette in guardia dalla preghiera dell'uomo che prega, ma che consapevolmente rimane nel peccato. Tale preghiera è non solo una preghiera inutile, ma spesso dannosa per l'uomo. Lo stesso riguarda la preghiera guidata dall'intenzione del male per i nostri nemici, dalla quale mette in guardia lo stesso santo, come grande maestro di preghiera . La preghiera quindi diventa criterio di vita, e la sua qualità trasforma la qualità della nostra esistenza. Essa infatti richiede dall'uomo un grande impegno, sforzo, ma soprattutto lealtà e sincerità. Lo sdoppiamento della via spirituale è la disfatta della preghiera. Forse per questo il mondo moderno ha smesso di sentire la necessità della preghiera e di capirne il suo significato. Spesso la guarda come una certa forma di meditazione, che aiuta a calmarsi interiormente e a portare l'uomo ad un determinato stato psicologico. E' interessante la riflessione su questo tema dell'archimandrita Rafal (Karelin) il quale afferma: "La cosa più pericolosa nella vita spirituale è il compromesso, perché fa dell'uomo un fariseo, con due volontà e due volti. E proprio a causa del compromesso con lo spirito di questo mondo la nostra anima si appesantisce e la nostra preghiera si indebolisce. Questo spirito del mondo lega l'uomo alla terra con centinaia di lacci" . La prospettiva sopra indicata, di benefici derivanti dalla preghiera, ma di difficoltà della sua corretta cura, situa la preghiera nella categoria dell’arte, e persino di capolavoro spirituale, che richiede teoria ed esperienza.
Spesso accade anche che l'uomo si ponga la domanda sul senso della preghiera di supplica, confrontandola con l'onniscienza di Dio. Deriva questo da una certa conclusione logica, che non vale la pena di chiedere qualcosa a Dio, infatti Dio sa comunque cosa ci è necessario, e sa persino cosa Gli chiederemo . Il senso della preghiera non è la richiesta in sé, ma la frequentazione con Dio, che spesso avviene nel silenzio. Nell'Oriente è nota la pratica della contemplazione silenziosa dell'Icona, che costituisce anche una certa forma di preghiera. Come dice in modo peculiare il vescovo Kallistos Ware: "Raggiungere il silenzio interiore è la cosa più difficile e decisiva, nell'arte della preghiera. Il silenzio non è solo uno stato negativo, una pausa tra le parole, un'interruzione temporale della conversazione, ma la massima positività: uno stato di cura attenta, di attesa, e soprattutto di ascolto" . Solo in tale contesto la preghiera può essere chiamata dialogo, il cui scopo non è tanto l'esprimersi quanto l'ascolto della voce dell'Altro . Nella preghiera il valore del dialogo aumenta quando diventa più un monologo di Dio, che l'uomo ascolta. Il dialogo laico si basa sulla parità, mentre il dialogo mistico, che si realizza nella preghiera, confronta tra se due diverse realtà: l'uomo e Dio, la creatura e il Creatore, l'imperfezione e l'Onniperfezione. Tanto più l'uomo conosce la dolcezza della preghiera, tanto meno parla di se, ed inizia l'incessante "abbi pietà di me" . Allora la preghiera diventa semplice e non moltiplica le parole. La preghiera non smette di essere tuttavia un'arte, che richiede indicazioni.
La Chiesa Ortodossa è una Chiesa basata in tutto sulla tradizione. La trasmissione lungo le generazioni dell'esperienza e della sapienza verifica la correttezza delle interpretazioni compiute da tutte le  generazioni. La conformità con il passato si realizza nel presente e nelle generazioni future. La tradizione svolge un grande ruolo anche nella sfera dell'impegno della preghiera. Questo riguarda soprattutto i principianti, sebbene sia difficile definire se stesso come persona avanzata nella preghiera. Tale autovalutazione è un indubbio sintomo di illusione spirituale. Tanto più la preghiera abita nell'uomo, tanto più l'uomo si sforza di approfondirla e conoscerla. E' interessante che questo processo diventa un processo senza fine, ma in senso pieno. E' essenziale quindi il ruolo del maestro, del direttore spirituale, che ha posseduto la sapienza spirituale e ha conosciuto la preghiera, ricevendola come dono unito al suo sforzo personale. Vale la pena qui ritornare a San Silvano e alle sue ammonizioni a tale tema. Ecco cosa dice: "Chi vuol occuparsi della preghiera senza direttore spirituale e nella sua superbia crede di poterla imparare dai libri, e non andrà dallo Starets, costui è già mezzo ingannato. L'umile invece è aiutato da Dio, e se gli mancherà un direttore esperto, e andrà dal padre spirituale di cui dispone, allora Dio lo proteggerà, a motivo dell'umiltà" .
E' questo momento molto essenziale e importante nelle nostre riflessioni. La presenza del padre spirituale appare essere sensata e perfino indispensabile, anche quando lui stesso non ha sperimentato i frutti della preghiera. Il criterio della relazione maestro-discepolo, non è quindi, per San Silvano, l'esperienza posseduta dallo Starets, ma l'umiltà del discepolo. Per motivare la correttezza di questo paradossale truismo nella spiritualità dell'Oriente, San Silvano dice: "Credi che nel padre spirituale abita lo Spirito Santo, e che lui ti dirà quello che serve. Se invece pensi che il confessore non vive ordinatamente, e ti domandi come può in lui abitare lo Spirito Santo, per questo pensiero soffrirai terribilmente, il Signore ti umilierà e inesorabilmente cadrai in inganno" .
 L'esperienza ascetica di molti secoli conferma una certa realtà, già sperimentata, che emerge dall'uomo durante la preghiera, sulla quale concentra la sua attenzione l'arcivescovo russo del XVIII secolo Sant'Ignazio Brianchaminov, realtà sulla quale vogliamo riflettere. Nel momento in cui l'uomo inizia il suo sforzo di preghiera, molto spesso si ricorda di molte cose dimenticate, che proprio in quel momento assumono per lui un'importanza straordinaria. Tale stato di cose provoca confusione e distrazione nella preghiera. La concentrazione richiede quindi soprattutto lo sforzo dell'uomo stesso, e oltre a ciò un proprio atteggiamento consapevole nei confronti della distrazione che allora appare contro di lui. "Devi vietare a te stesso tutte le distrazioni del pensiero durante la preghiera - dice il santo - odia la fantasticheria, rifiuta ogni preoccupazione con la forza della fede, colpisciti al cuore con il timore di Dio e in tal modo facilmente imparerai a mantenere l'attenzione".  Il pensiero durante la preghiera va tenuto lontano da ogni immaginazione, rifiutando qualunque immagine che appare. Su questo aspetto insiste particolarmente l'ascetica orientale, sottolineando la dipendenza non convenzionale espressa da Melezio il Confessore , che considera la raffigurazione mentale di una qualsiasi immagine durante la preghiera come una parete tra Dio e l'uomo. Solo il pensiero puro è in grado di vedere Dio, ci dice il santo asceta. Il ruolo delle icone non è quello di risvegliare nell'uomo fantasticheria e immaginazione, infatti il loro compito nella preghiera è quello di aiutare il credente, aiutarlo a raggiungere un atteggiamento di timor di Dio nella preghiera. Tra loro non accade assolutamente nessuna convergenza. "Esiste una differenza molto grande - scrive Sant'Ignazio - tra stare alla presenza di Dio, stare davanti a Dio da una parte, e immaginarsi il Signore dall'altra. Il senso della presenza di Dio infonde nell'anima un timore salvifico e ci conduce ad un salvifico senso di pietà, mentre l'immaginazione del Signore e dei Suoi Santi fornisce al pensiero come una forma di materialità e lo conduce ad un senso di sé falso e superbo, portando l'anima in uno stato falso, uno stato di illusione spirituale (in greco: plane). Lo stato elevato è quindi lo stato di percezione della presenza di Dio!”  Sia la concentrazione, che lo stato di commozione nella preghiera (in russo: umilenie), sono considerati doni dello Spirito Santo, che vanno con insistenza richiesti a Dio. Nell'analisi ascetica dei comandamenti delle beatitudini, vediamo che tale dono viene ricevuto dall'uomo nelle due prime condizioni delle beatitudini evangeliche, ossia la povertà di spirito e il pianto.
Lo scopo della preghiera non è raggiungere la dolcezza della preghiera, infatti non questo deve spingere il peccatore a invocare Dio e chiedere aiuto e pietà. Un tale atteggiamento nella preghiera si basa su una aspettativa illusoria, e in profondità si cela la superbia che ingenuamente promuove la propria dignità. La dolcezza della preghiera è riservata solamente a coloro, santi e rinnovati nello Spirito Santo, che nonostante la sua azione sensibile, continuano a non considerarsene degni, e restano in un continuo pentimento.  Qual è quindi il segno visibile della corretta azione della preghiera? Nonostante la sua soggettività, si esprime in un sollievo spirituale e in una liberazione della coscienza dai sensi di colpa che la tormentano. Nessun altro settore dell'attività umana è in grado di offrire questo all'uomo. L'arcivescovo invita a una preghiera che coinvolge tutto il nostro essere, i nostri pensieri, tutta la nostra anima, e tutta la nostra forza. Alla domanda su cosa significhi, risponde in maniera estremamente laconica, ma in questo si cela tutta la filosofia della preghiera: "Non è possibile conoscere questo in altro modo che mediante l'esperienza".  L'affidarci sincero alla preghiera ci insegna questa esperienza, ma l'abitudine alla preghiera - come dice ancora l'arcivescovo - richiede un'enorme pazienza e coerenza nella sua realizzazione. La problematica della preghiera sopra tratteggiata, proprio in tale contesto, giustifica pienamente la quantità e la frequenza delle preghiere recitate. La natura di ogni abitudine richiede un allenamento dall'uomo, e questo riguarda anche l'abitudine alla preghiera.

Come si pone, nei confronti dell'insegnamento appena presentato, quel moltiplicare le parole nella preghiera, condannato dal Salvatore, riportato in Mt 6,7? Certamente spesso si presenta, in rapporto a quanto detto, la domanda su quale “moltiplicare le parole” avesse in mente Gesù Cristo, visto che viene contraddetto tra l'altro dallo stesso Apostolo Paolo, che in I Tes 5, 17 invita a pregare incessantemente. Per Sant'Ignazio il moltiplicare le parole che viene condannato, indica le molte richieste rivolte a Dio riguardanti i beni terreni, ma non in questo si trova esattamente il male, quanto nel modo stesso di formulare tali richieste, in maniera simile a quanto avveniva nelle preghiere pagane. Ossia considerando che il preteso abbellimento della forma e delle parole di tale preghiera possa avere un effetto su Dio, così come agisce sull'ascolto e sulle emozioni delle persone carnali. Condannando tale aspetto del moltiplicare le parole - nota l'arcivescovo - Cristo non ha condannato la lunghezza della preghiera.  Non in questo consisteva il senso delle lunghe preghiere, riguardava una vettorialità completamente diversa. La lunghezza non era la conseguenza di un obbligo, ma uno stato di permanenza nella preghiera, che spesso sfuggiva anche all'attenzione della persona stessa che prega. Inoltre non si esprimeva nel moltiplicare le parole. Sant'Ignazio utilizza qui l'esempio della preghiera del pubblicano - breve e piena di senso - e proprio in tale modo gli asceti potevano passare intere notti, perché queste brevi parole esprimevano quello che dal profondo del loro cuore volevano dire a Dio.

E' stato già ricordato che alcune virtù evangeliche, e soprattutto il pentimento, costituiscono i valori dei comandamenti evangelici. Anche la preghiera appartiene a questa categoria, e addirittura la supera, come madre di ogni virtù. Il Vangelo ci invita alla preghiera, assicurandoci il rapporto paterno di Dio con l'uomo  – un Dio che ama e che conosce i bisogni dei suoi amati figli. Considerando quindi la dimensione evangelica della preghiera, bisogna aspettarsi simili manifestazioni negative con le quali ci incontriamo con altri comandamenti. Tali manifestazioni sono l'esperienza e la sofferenza che si presentano in modo estremamente visibile nel momento in cui l'uomo intraprende lo sforzo di preghiera. Il successo nella preghiera è legato indissolubilmente con una certa orbita provvidenziale di esperienze, che Sant'Ignazio definisce come soccorso che giunge.  Abbiamo ricordato questo parlando del Santo Apostolo Paolo e della sua "spina nella carne".

Poiché esiste una significativa molteplicità di opinioni circa la definizione della gerarchia di importanza dei singoli sforzi spirituali, per l'arcivescovo russo, lo sforzo della preghiera (in russo: podvig molitvi) costituisce il valore primario. Tutti i restanti svolgono il ruolo di aiuto alla preghiera, e introduzione alla preghiera, e non possono servire come scopo in se stessi. Per l'arcivescovo Ignazio è chiara anche la condizione necessaria della preghiera, ossia il fenomeno paradossale della conoscenza del proprio stato di peccato. La santità dell'uomo dipende dalla consapevolezza del proprio peccato e dal corretto riconoscimento di esso, così ci dice.  Tuttavia ridurre la condizione del corretto sforzo di preghiera al fondamento sopra indicato, richiede nonostante tutto una interpretazione più larga. Riconoscere il proprio peccato significa allo stesso tempo rispettare altre condizioni, legate a questa condizione. Una di esse è allo stesso tempo sia condizione che ostacolo: le relazioni tra gli uomini sono definite come misura della relazione tra l'uomo e Dio. Tale dipendenza è espressa nel contesto evangelico in Mt 5,21-26. Bisogna notare anche i versetti che precedono la formula di preghiera ortodossa prima di accostarsi alla Santa Eucarestia. Stabiliscono la condizione di accesso a questo sacramento, con le seguenti parole: "Tu che vuoi nutrirti del corpo del Signore, avvicinati con timore, per non esserne bruciato, poiché esso è un fuoco. Bevendo il sangue Divino per la comunione, prima riconciliati con ti ha offeso, e dopo mangia con coraggio il nutrimento misterioso"

La preghiera richiede anche un'atmosfera adatta, creata sia dal luogo che dal momento, ma soprattutto dall'uomo stesso. L'arcivescovo invita a conservare la pace interiore, il silenzio e l'isolamento come fattori fondamentali che sviluppano nell'uomo la virtù della preghiera. Osservare il silenzio è molto importante per chi cura in se la preghiera. Questa abitudine permette di concentrarsi nella preghiera anche in mezzo alla confusione umana. Nulla è in grado di indebolire l'atmosfera di preghiera come il parlare vano e futile.  Indubbiamente Sant'Ignazio, per conservare lo spirito di preghiera, suggerisce ai monaci, di evitare incontri superflui e di accogliere ospiti per scopi personali, anche se questo avviene con la scusa dell'amore.  La preghiera avvicina Dio all'uomo, e tale processo è accompagnato, nella sfera degli sforzi spirituali, da sofferenze ed esperienze. La fonte di esse è il demonio stesso, che molto spesso utilizza a tal scopo altre persone, come strumenti e come propria arma di distruzione. Tuttavia il maggior segno del passaggio dei demoni è il peccaminoso fantasticare, che tormenta l'uomo nei momenti di maggior elevazione di preghiera. I pensieri più peccaminosi e licenziosi possono apparire nei momenti di preghiera più santi. Allora non è il momento del dubbio e della dissoluzione, ma il momento della lotta e dello sforzo, ci dice l'autore.  Spetta all'uomo intraprendere la lotta: la volontà e il dono di Dio, inviato all'uomo nel momento che Dio reputa più opportuno, già costituiscono la vittoria.

Bisogna qui notare un'altra condizione essenziale della preghiera, ossia il riconoscimento dei propri peccati. Il Vangelo ci ricorda la misericordia illimitata di Dio, espressa nel perdonare sette volte le colpe e i peccati, contenuto in Lc 17,4, e quindi mostra la derivante prospettiva di speranza dopo ogni caduta umana, in rapporto alla propria relazione anche con Dio. Tale prospettiva apre all'uomo la possibilità di riconoscere il proprio errore nei confronti di Dio. L'arcivescovo lo sottolinea con particolare enfasi, dicendo che Dio vede il peccato dell'uomo anche senza che l'uomo lo riconosca. Attende tuttavia questo riconoscimento, per poterlo guarire.  Finché nell'uomo vivono le sue tendenze di passione, odio verso il prossimo, finché la preghiera non si libera dall'imbarazzo e dalla distrazione, e l'uomo non trova nella preghiera sollievo e pace. Proprio questo fatto sottolinea la necessità di una lotta ambiziosa per liberarsi da questo giogo. Qui ha un enorme contributo al successo nella lotta un digiuno moderato e ragionevole, che a aiuta a conservare ponderatezza ed equilibrio, e anche rende l'uomo sensibile alla sofferenza degli altri.

Questa dimensione antropologica della preghiera indica il suo effetto sulla dimensione teocentrica. Le relazioni tra gli uomini determinano la relazione tra l'uomo e Dio, e la correttezza delle prime può indicare l'esistenza di una corrispondente correttezza nella seconda relazione. Inoltre queste relazioni mostrano all'uomo il proprio peccato, e tale stato aiuta in una certa percezione personale, della quale scrive l'autore stesso: "Quando nel profondo dell'anima perdoni tutti per i loro peccati, allora davanti a te appaiono i tuoi peccati. Allora vedi quanto hai bisogno della misericordia di Dio, e quanto ne ha bisogno l'intera umanità, e allora piangi davanti a Dio per te e per l'umanità"  In quale contesto qui si parla di pianto? Si tratta di pianto naturale, o di un altro tipo di pianto? Sant'Ignazio fa qui riferimento al consensus patristico e comprende in una parola la definizione del pianto sopra richiamato. Lo fa in riferimento al compito principale del monaco, definito proprio come pianto. Quindi questo pianto del monaco, e quindi di ogni uomo, è preghiera.  L'unione del digiuno, del pianto e della preghiera indica una prospettiva degna di fede, coerente con i comandamenti di Dio stesso. La persona che non possiede il pianto si trova secondo Sant'Ignazio in uno stato illusorio (in russo: lozhnom), e questo indubbiamente significa che è stata ingannata dalla sua stessa superbia.

In tal luce è possibile stabilire due cose fondamentali che bisogna ricordare durante la preghiera. Si possono chiamare cose solo in senso indiretto, infatti si tratta del ricordo di Dio stesso, e del proprio essere peccatore. Il maestro di tale preghiera è il pianto e il digiuno, nel contesto sopra analizzato. Questo piano, oltre alla sua chiara natura antropologica, assume qui anche un valore escatologico. L'uomo piange durante la sua vita, per non piangere quando dovrà lasciarla. Questo truismo escatologico è presente in tutta la consapevolezza patristica della Chiesa d'Oriente. La "tristezza in Dio" è provocata dalla coscienza della dimensione e quantità dei propri peccati e allo stesso tempo dal timore di fronte al Giudizio Finale. Tale atteggiamento dell'anima provoca in essa un senso di tristezza e di dispiacere, riempito tuttavia con l'incessante speranza nella misericordia di Dio. Solo questo è in grado di spiegare perché le persone avanzate nella preghiera umiliano se stessi davanti ad ogni uomo, indipendentemente dal contributo che tale uomo ha nel mondo spirituale. Umiliano e condannano solo se stessi, adesso e qui sulla terra, per non essere condannati e rigettati là nei cieli. Considerano se stessi degni di ogni tormento e passione, per evitarli da Dio. E infine vedono in se la propria illimitata peccaminosità, per ricevere da Dio la giustizia, che Dio dona gratuitamente ad ogni peccatore che consapevolmente riconosce il proprio peccato.

Sentenze Evangeliche e Apostoliche sulla preghiera:

1.    "E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete" (Mt 21, 22);
2.    "Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato." (Mc 11, 24-25);
3.    "Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, e non ci indurre in tentazione»" (Lc 11, 1-4);
4.    "Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione." (Mt 26, 41);
5.    "ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori" (Mt 5, 44);
6.    "Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno" (Mt 17, 21);
7.    "In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà." (Mt 18, 19);
8.    "Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava." (Mc 1, 35);
9.    "Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare.", "In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione." (Lc 5, 16; 6, 12);
10.    "Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante." (Lc 9, 28-29);
11.    "Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi" (Lc 18, 1).
12.    "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui." (At 1, 14);
13.    "Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (At 6, 4);
14.    "Quand'ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza" (At 4, 31);
15.    "Uomo pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio" (At 10, 2);
16.    "Egli lo guardò e preso da timore disse: «Che c'è, Signore?». Gli rispose: «Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio" (At 10, 4);
17.    "Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto alla salma disse: «Tabità, alzati!». Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere" (At 9, 40);
18.    "Chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi" (Rm 1, 10);
19.    "Vi esorto perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l'amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio" (Rm 15, 30);
20.    "Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8, 26);
21.    "Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera" (1 Cor 7, 5);
22.    "Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti" (Fil 4, 6);
23.    "Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie. Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo" (Col 4, 2);
24.    "pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie" (1 Ts 5, 17);
25.    "Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini" (1 Tm 2, 1);
26.    "Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese" (1 Tm 2, 8);
27.    "Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi" (Gc 5, 13);
28.    "Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza" (Gc 5, 16);
29.    "La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera" (1 Pt 4, 7);
30.    "Ma voi, carissimi, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo" (Gd 20);
31.    "E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi" (Ap 5, 8).  


 


 


Krakau 2009

Grußwort von Papst Benedikt XVI. beim Angelus


{PROGRAMMA_BOX_PP}

Programm

Italienisch - Englisch - Polnisch