Cardinal, Saint-Siège
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Intervento del cardinal Paul Poupard
Presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura
E del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso
All’incontro internazionale per la pace di Sant’Egidio
Cracovia, Lunedì 7 settembre 2009
Tavola rotonda: A venti anni dal 1989: quale missione dell'Europa nel mondo?
I - All'indomani del 1989, diceva Giovanni Paolo II – come non farne memoria in questa città di Cracovia di cui fu il beneamato arcivescovo? - il 12 gennaio 1990 ricevendo il Pontificio Consiglio della Cultura, «delle frontiere si sono aperte, ma enormi barriere si ergono ancora tra le speranze di giustizia e le loro realizzazioni, tra l'opulenza e la miseria, mentre le rivalità rinascono, dal momento che la lotta per l'avere prende posto sul rispetto dell'essere. Un messianismo terrestre si è effuso e la sete di una nuova giustizia sgorga nel mondo. Si è levata una grande speranza di libertà, di responsabilità, di solidarietà, di spiritualità. Questa immensa speranza dell'umanità non deve essere delusa: tutti noi dobbiamo rispondere alle attese di una nuova cultura umana. Questo compito esige la nostra riflessione e reclama le nostre proposte. Le donne e gli uomini di cultura pensano questo avvenire alla luce della fede cristiana che li ispira. Da Est a Ovest e da Nord a Sud, la storia in movimento rimette in discussione un ordine fondato prima di tutto sulla forza e la paura. Questa apertura verso nuovi equilibri richiede una saggia meditazione e un'audace previsione».
II – A due decenni di distanza, tale diagnosi risulta così vera da poter utilmente orientare le nostre riflessioni. Paul Hazard, nel suo libro classico su “La crisi della coscienza europea, 1680-1715” scriveva: «Cos’è l'Europa? Un pensiero che non si ferma mai. Senza pietà per sé stessa, non cessa mai di inseguire due ricerche, una verso la felicità, l'altra, che le è ancora più indispensabile e più cara verso la verità». Riflettendo sulla missione dell'Europa a 20 anni di distanza dal 1989, noi non sapremmo dimenticare che l'Europa è un continente di cultura, il continente della vita interrogata, il continente dei pensatori e degli inventori, dei romanzieri e dei saggisti, degli uomini dell’immaginario e di quelli del senso pratico, degli uomini della ragione e del sogno, dei filosofi e dei teologi, così anche come degli ingegneri e dei tecnici, dei cercatori e dei sapienti, dei mistici e dei santi. Se l'Europa della geografia è indefinita, l'Europa dell'economia è contrastata, e l'Europa della politica esitante, divenuto uno spazio storico, il nostro continente è un continente di libertà e creatività. L’Europa è sia un'eredità che una memoria, come anche una coscienza e un progetto. Denis de Rougement, nella sua riflessione su “Il progredire degli spiriti” (La Baconnière, Neuchâtel, 1970, p. 40), sottolineava a ragione: “L'Europa, è poca cosa, 4% delle terre del globo, più una cultura”. Addossato all'immensità dell'Asia, aperto ai venti atlantici, ma anche, come ha detto Léopold Sedar Senghor, il presidente-poeta del Senegal, membro del primo Pontificio Consiglio della Cultura, attaccato con il cordone ombelicale all'Africa profonda, l'Europeo si sente frontaliero, e naturalmente portato fuori dalle frontiere nazionali, fuori dalle barriere ideologiche, fuori dalle esclusive politiche.
III – Di fatto, l’unità spirituale delle culture europee scaturisce da due poli di attrazione, che sono allo stesso tempo di ordine politico, culturale e religioso: l’Occidente latino e germanico da una parte, e l’Oriente bizantino e slavo dall’altra. Noi siamo un popolo di memoria. Per questo siamo un popolo di speranza. Poiché la memoria è la speranza del futuro. Immagine di un’Europa fertile, il Reno, come il Danubio, mentre il loro cammino si fa strada laboriosamente attraverso un suolo irto di ostacoli, ci insegnano che la riva è la fortuna del fiume. Senza di essa, ci sarebbe solo una distesa liquida sterile senza forza motrice né movimento creatore. Per essere ciò che è, l’Europa ha bisogno di voler essere qualcosa in più, come l’albero che, in una misteriosa alchimia creatrice, assorbe l’humus dal terreno e l’ossigeno dall’aria per spiegare i suoi rami, «e gli uccelli del cielo vengono a fare il loro nido tra i suoi rami». Quest’albero è stato mutilato. Come dimenticarlo a Cracovia, vicino a Birkenau dove andremo pellegrini domani?
IV – A venti anni dal 1989, una delle missioni dell’Europa è senz’alcun dubbio di mantenerne la memoria e di condividerne le lezioni, di testimoniare che i popoli non sanno che farsene di una cosiddetta democrazia sociale concessa al prezzo del sacrificio della democrazia tout court: non possono esserci diritti economici e sociali senza diritti civili e politici che permettano di esercitarli liberamente. La storia tragica del centro e dell’est Europa nel secolo scorso ha mostrato in modo drammatico che non è sufficiente proclamare dei diritti, come ha fatto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, illustrata per il suo ventesimo anniversario da una bella Antologia mondiale della libertà pubblicata nel 1968 dall’UNESCO sotto il bel titolo: Il diritto di essere un uomo (Unesco/Lattès, Parigi 1968), perché essi diventino giuridicamente e politicamente efficaci. La prima condizione perché siano rispettati è che sia consolidato lo Stato di diritto. La necessaria messa a posto dei meccanismi democratici non basta però a garantire la sopravvivenza della democrazia. I diritti civili e politici suppongono l’esistenza dello Stato di diritto e i diritti economici e sociali di tutte le parti interessate presuppongono l’impegno di questo Stato a far rispettare tutti questi valori, legiferando per conciliare la libertà e la giustizia.
V – La libertà e la giustizia possono armonizzarsi soltanto in un sistema di valori che le fondi, l’una e l’altra, in particolare la dignità inalienabile della persona umana, la sua anteriorità rispetto alla società e allo Stato, la distinzione delle sfere della coscienza e del potere, la subordinazione degli interessi particolari al bene comune. Questi valori non sono il prodotto arbitrario della storia, essi appartengono alla natura dell’uomo che vive in società che deve premunirsi contro il possibile inaridimento della fonte creatrice di questi valori. La personalità umana è un grande mistero che risiede in ciascuno di noi, e quando diciamo che un uomo è una persona, noi vogliamo dire che non è soltanto un pezzetto di materia nella natura, come un atomo, uno stelo di grano, una mosca o un elefante, è lo spirito che è la radice della personalità e implica le nozioni di totalità e di trascendenza. Per riprendere i termini del filosofo Jacques Maritain nelle sue riflessioni su «La legge naturale o legge non scritta», pubblicate nel 1986: «per quanto indigente e schiacciata che possa essere, una persona è in quanto tale un tutto, e in quanto persona, essa sussiste in una maniera indipendente».
È dire che lo Stato di diritto non può essere neutro dal punto di vista etico, la sua etica gli viene dai valori che fondano i diritti dell’uomo, e l’uomo che è al fondamento di questi diritti è ancorato su un orizzonte di trascendenza che lo rende inappropriabile dai poteri, quali che siano. La fonte del potere organizzatore delle attività sociali è sempre l’uomo, e tocca al potere politico di vegliare che i diritti economici e sociali di tutte le parti interessate siano rispettati, attingendo ai valori fondanti della società nel momento in cui legifera per conciliare la libertà e la giustizia e evitare che l’esercizio esclusivo della libertà degli uni diventi sinonimo di oppressione per gli altri.
VI – L’anniversario del 1989 che noi celebriamo, qui, a Cracovia, nel cuore dell’Europa, ci ricorda che questa Europa che gli Europei dell’Ovest hanno per troppo tempo chiamato per pigrizia Europa dell’Est, è in realtà centrale, non soltanto geograficamente, ma politicamente e culturalmente, e che noi abbiamo tutti bisogno – Giovanni Paolo II, infaticabile pellegrino dell’Europa, non cessava di ricordarlo –, di «respirare con due polmoni», per respirare a pieni polmoni l’aria della libertà e della solidarietà. A venti anni di distanza, l’incontro di tutti gli Europei è un’avventura comune che richiede un salto di qualità per una nuova sintesi tra libertà e giustizia. Le esperienze divergenti delle due parti dell’Europa inducono gli uni e gli altri ad esplorare insieme con generosità nuove vie capaci di condurre ad un nuovo ordine sociale che derivi dal rispetto della dignità della persona e della sua partecipazione alla vita pubblica. Come non evocare in proposito, nel cuore della Polonia che ci accoglie oggi, la grande avventura di Solidarnosc, che ha cambiato il corso della storia nel nostro tempo. Già, negli Incontri internazionali di Ginevra su L’Esigenza di uguaglianza, ai quali ho partecipato nel 1981 con Cornelius Castoriadis, Jeanne Hersch, Alexandre Zinoviev, Chaïm Perelman, Maria de Lourdes Pintasilgo, Georges Steiner e Jacek Wozniakowski, evocavo la riflessione del filosofo Henri Bergson sul motto della Repubblica francese: «Così è la democrazia teorica: proclama la libertà, reclama l’uguaglianza e riconcilia queste due sorelle nemiche ricordando loro che sono sorelle, mettendo al di sopra di tutto la fraternità» (Storia e società di storia e società di oggi, La Baconnière, Neuchatel, 1982, p. 296).
VII – A venti anni dal 1989, mentre gli Europei ondeggiano tra eurottimismo e europessimismo tra i quali oscillano anche gli autori di saggi, l’Europa si riscopre come un continente dal nocciolo polinucleare, con una storia che oltrepassa le sue frontiere ed un’unità plurale, che è vittoria permanente sulla fatalità, a forza certo di tentativi e di ferite, di fallimenti e di successi, in ragione soprattutto di una vigilanza ostinata e di un’energia tenace nel dialogo interculturale e interreligioso. Sembrava che il suo ideale potesse scomparire. Ma ecco che, dopo due guerre rovinose, l’Europa del 1989 rinasce dalle sue ceneri. I suoi valori umanisti e personalisti ridiventano desiderabili. La sua eredità di cultura ritorna patrimonio di famiglia: Goethe e Puskin, Cartesio e Dostojevski, Erasmo e Gogol, Cervantes e Rosmini, Chopin e Tolstoj, Palestrina e Mozart, Beethoven e Dickens, Bach e Bela Bartok, Shakespeare e Mickiewicz, Ibsen et Rembrandt, Racine e Raffaello, Liszt e Slowacki, Rimski-Korsakov e Chagall, Michelangelo e Fra’ Angelico, Tommaso d’Aquino e Leonardo da Vinci, Edith Stein e Massimiliano Kolbe, Pascal e Claudel, Dante e Bernanos, Tommaso Moro e Karl Barth, Miguel de Unamuno e Giovanni della Croce, Montaigne e Manzoni, Alberto il Grande e Francesco d’Assisi, Newman e Soloviev, Romano Guardini e Norwid ci consegnano un messaggio comune nell’alba incerta del nuovo millennio. Lo spirito dell’Europa è un sentimento di responsabilità, e la convinzione ereditata da Pericle, che la fonte della libertà è il coraggio. Bisogna comprendersi per vivere insieme. Bisogna rispettarsi per intraprendere un’opera comune. Bisogna aiutarsi per costruire un’economia e un sistema giuridico, certo, ma anche una politica e una morale, e soprattutto una cultura e una spiritualità. I discendenti di Spinoza e di Kierkegaard, di Ortega Y Gasset e di Sigrid Unset si riscoprono ereditari di una stessa cultura e dunque portatori di un avvenire promettente dopo troppe lotte intestine e guerre fratricide, troppo antagonismo sterile e scontri mortali tra le nazioni e le religioni, le classi sociali e le ideologie.
VIII – La crisi attuale che dilania il mondo non si esaurisce nelle sue manifestazioni bancarie ed economiche, sociali e politiche. Essa è di ordine culturale, vale a dire spirituale. Il marasma economico, la disoccupazione con il suo triste seguito di delinquenza e di disperazione, il clima di inquietudine e di paura davanti alle spinte di violenza testimoniano un dubbio profondo dell’uomo su sé stesso. Nella nostra società frammentata, sopravvive un uomo sconnesso, che non sa più cosa sapere, volere e potere, poiché non sa più chi è. Quali obiettivi perseguire e quali mezzi mettere in opera, se non sappiamo più cos’è l’uomo? Poiché è lui, e lui solo, che può aprire le vie dell’avvenire e invitarci verso un orizzonte senza frontiere, uno sguardo senza paraocchi e un amore senza barriere. Una cultura plurale, divenuta incerta dei suoi valori, tituba sulle sue certezze e inizia anche a dubitare delle sue ragioni di vivere e di sperare, senza le quali non c’è più esistenza che valga la pena di essere vissuta. Lo scontro drammatico delle religioni secolari ci invita a ritrovare i valori come solido fondamento dell’esistenza personale e sociale. La lotta contro l’ingiustizia, il rispetto della dignità umana, la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo in particolare dei poveri e degli oppressi, la ricerca ostinata della riconciliazione tra i popoli, il rispetto delle culture nazionali e della natura che ne è la culla: una tale missione per l’Europa, assunta con intelligenza e coraggio in un fecondo dialogo interculturale e interreligioso, traduce una volontà di vivere solidale nella quale le promesse di rinnovamento sono più forti dei germi di morte. A venti anni di distanza, dopo tante delusioni e frustrazioni, siamo chiamati ad operare insieme per edificare un nuovo umanesimo e per fare ciò, a ritrovare la totalità e a pensare la novità
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