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7 Septembre 2009 09:30 | Théâtre J. Słowacki

Contributo



Stanislaw Dziwisz


Cardinal, archévêque de Cracovie, Pologne

Premio Jan Karski
Teatro Słowacki, 7 IX 2009

Egregi Signori,
Fratelli e Sorelle!

1. Innanzitutto vi ringrazio molto per il premio “Jan Karski”. Considero questo premio come riconoscimento per la via su cui cammino come arcivescovo di Cracovia, come figlio spirituale di Giovanni Paolo II e come suo compagno di strada e di servizio alla Chiesa e al mondo.
Certamente chi conosce quanto ha fatto Jan Karski non può non essere commosso ricevendo un premio che porta il suo nome. Di questo grande Polacco, uomo di profonda fede, è stato detto che da solo ha provato a prevenire la tragedia della Shoah.
Nonostante sin dall’inizio della guerra fosse stato arrestato e torturato dalla Gestapo, in quanto attivista del movimento di resistenza, nell’estate del 1942 si introdusse, sotto travestimento, a rischio della propria vita, nel ghetto di Varsavia e in un campo di concentramento, per vedere con i propri occhi la tragedia del popolo ebraico, condannato dai nazisti all’annientamento.
In seguito si recò in Occidente, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove fece quanto era in suo potere per risvegliare le coscienze dei leader del mondo libero, chiamandoli ad opporsi al genocidio. Purtroppo, come oggi sappiamo, persino i suoi rapporti sconvolgenti, trasmessi personalmente al presidente americano e al ministro degli esteri britannico non evitarono la tragedia.
Dopo la guerra le azioni eroiche di Jan Karski furono completamente dimenticate per molti decenni, e lui stesso non protestò di questo, ma condusse una vita tranquilla di professore all’università cattolica Georgetown a Washington.

2. La motivazione appena letta del premio indica un altro grande Polacco e uomo di grande fede, Giovanni Paolo II, che più volte ha fatto appello alle coscienze degli uomini di buona volontà ricordando che l’antisemitismo è un peccato, così come ogni disprezzo verso l’altro.
Quando oggi pensiamo alla sfida davanti alla quale si è trovato Jan Karski nell’ora della prova, ritornano come eco le parole di Giovanni Paolo II rivolte ai Polacchi in un tempo difficile per loro, nel 1983, a due anni dall’introduzione della legge marziale. Il Santo Padre allora disse: “Dovete esigere da voi stessi, anche quando gli altri non esigono nulla” (Jasna Góra, 18.06.1983, n. 5). Jan Karski, commosso dal destino terribile di gente di altra provenienza, compì gesti eroici. Possiamo aggiungere che compì gesti che gli altri non esigevano da lui, perché anche loro non li esigevano da se stessi. La storia di Jan Karski ci insegna dove può giungere l’umanità, quando esige troppo poco da sé.

3. Direi che proprio questo atteggiamento ci è necessario oggi, quando nell’anniversario dell’inizio della guerra più tragica della storia dell’umanità ci incontriamo come figli e figlie di diversi popoli, culture e comunità religiose. Ci incontriamo per esprimere la nostalgia per la vita nella pace e nella fraternità, come dovrebbe essere tra figli di un unico Dio. Perché sia possibile questa armonia della famiglia umana, dobbiamo prima esigere da noi stessi, attingendo dalle nostre tradizioni spirituali l’ispirazione e la forza per vincere l’egocentrismo, che può deformare quanto c’è di meglio nelle nostre religioni e culture.
Quando guardiamo indietro, nella storia delle relazioni reciproche tra i nostri popoli, le nostre religioni e le nostre civiltà, ricaviamo la percezione che per secoli era stato considerato ovvio e naturale preoccuparsi solamente della propria comunità religiosa o etnica. Oggi, avendo già alle nostre spalle la lezione del disprezzo per l’uomo di altra provenienza e di altre convinzioni, la lezione che ci hanno dato i totalitarismi del XX secolo, abbiamo maturato la consapevolezza che siamo tutti responsabili l’uno dell’altro, indipendentemente dalle differenze che ci dividono. La memoria delle innumerevoli vittime dell’odio dell’uomo verso l’uomo ci impegna ad esigere da noi stessi più di quanto è stato fatto nel passato.

4. Siamo consapevoli che Dio ci chiede questo: che l’uomo non sia mai più sordo al grido di aiuto che anche oggi si innalza da molti angoli del mondo. Non possiamo nuovamente restare nel guscio delle proprie comunità e tradizioni, chiudendo il cuore alla voce del prossimo che è nel bisogno e che giustamente richiede il rispetto del suo diritto alla dignità umana.
Oggi Dio si aspetta da noi la solidarietà. Come figlio di questo paese, in cui un moto di solidarietà tra gli uomini dette avvio ai cambiamenti che mutarono il volto di molti altri paesi, desidero unirmi alla chiamata che in questi giorni si spande da Cracovia al mondo intero: non smettiamo di lavorare per il dialogo e la collaborazione tra i popoli, le culture e le religioni. Che la solidarietà di tutti i figli di Dio sia l’orizzonte al quale tutti ci dirigiamo con perseveranza, condotti da Dio stesso.
 


Cracovie 2009

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