Cardinal, Archevêque de Naples
|
“Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede.”
Questo frammento del discorso di Papa Benedetto XVI nel corso del suo viaggio in Africa, in vista del Sinodo di ottobre in Vaticano, credo sia il punto fondamentale dal quale far partire ogni discorso sul ruolo delle religioni nella rinascita del continente africano.
Le religioni chiamate a rendere manifesto il <vasto potenziale della ragione umana>: oltre che un programma per l’Africa, una tale affermazione può valere come chiave interpretativa di tutto il pontificato di Papa Benedetto. Le religioni sono un culto rivolto a Dio, ma, in quanto tale, devono servire anche l’uomo. Il Papa indica, in particolare, la dimensione fondamentale della ragione, poiché è da essa che può scaturire, al livello più alto, ogni forma di dialogo che chiama in causa la fede.
Nessun continente come l’Africa reclama l’urgenza di un tale dialogo; e, occorre aggiungere, oggi più che mai dal momento che la crisi mondiale e i venti di una forte recessione economica continuano a soffiare e a scuotere le certezze e gli agi del cosiddetto primo mondo. E, di riflesso, aggravano ulteriormente le condizioni di vita in molte parti del continente nero. Aggravano, soprattutto, le condizioni di giustizia, poiché diventa sempre più intollerabile il divario esistente: un vero e proprio scandalo di fronte al quale ogni silenzio si trasforma in complicità.
Dunque, la ragione: il primo elemento che può aiutare per una presa d’atto responsabile e cosciente. Le religioni sono chiamate a svolgere il proprio ruolo a partire da una realtà che, sempre Papa Benedetto, ha indicato con molta chiarezza proprio sull’area che lo conduceva per la prima volta in Africa: <riconosciamo tutti che in Africa il problema dell’ateismo quasi non si pone, perché la realtà di Dio è così presente, così reale nel cuore degli africani che non credere in Dio, vivere senza Dio non appare una tentazione.” L’orientamento religioso delle culture africane è noto. Mons. Chidi Denis Isizoh affermava che la religione permea l’africano ideale dalla culla alla tomba. “Una persona è nata in un’atmosfera religiosa e dal concepimento fino alla sua morte, ci sono rituali religiosi principali che segnano le svolte maggiori della sua esistenza.”
Non va sottovalutato poi lo stretto legame che la religione ha con la vita (anche politica) di ogni giorno. La gente non ha difficoltà ad invocare l’aiuto di Dio con la preghiera nelle più svariate occasioni. Dovunque c’è vita esiste un rapporto con ciò
che trascende la vita stessa. Questa capacità africana di esprimere la propria fede in ogni aspetto della vita sociale è un valore che noi occidentali abbiamo perso e che l’Africa può orgogliosamente riproporre al mondo intero
Giovanni Paolo II nella enciclica Redemptoris missio scrive: «Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalla strutture tecniche, bensì dalla maturazione della mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro e la tecnica. La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano ma non conoscono… Ecco perché tra annuncio evangelico e promozione dell’uomo c’è una stretta connessione» (nn. 58-59).
Spesso, parlando dell’Africa, il riferimento, anche in ambito cattolico, corre alle cifre. La Chiesa non parla attraverso di esse, ma è innegabile che in Africa, oggi, i cattolici, raggiungono il 17 per cento della popolazione. Sono oltre 150 milioni. Se si pensa che all’inizio del secolo essi erano appena due milioni, si ha il quadro di come l’evangelizzazione abbia trovato terreno fertile. Sono cresciute anche le strutture della chiesa continentale: rispetto al Sinodo del 1994, i vescovi sono oggi il 18 per cento in più e i sacerdoti sono addirittura raddoppiati. Del resto, come non pensare che siamo nella terra di Agostino, di Origene, Atanasio, Cirillo, Cipriano, i grandi padri della chiesa africana, ai quali occorre affiancare una serie di grandi testimoni dell’era moderna. Il primo nome che viene in mente è quello della schiava,
suor Bakita, diventata santa, e beatificata da Giovanni Paolo II proprio nel corso del suo viaggio in Sudan.
Nel suo complesso, anche il prossimo Sinodo di ottobre, oltre che un evento della chiesa africana, promette d’essere un’ulteriore tappa di approfondimento sul ruolo che tutte le religioni sono chiamate a svolgere per la rinascita del continente. Approfondendo sempre più la propria natura e ponendosi in ascolto, davanti alla grande assemblea dei vescovi continentali si faranno vivi e concreti tutti i problemi e i veri e propri drammi di interi popoli che aspirano alla giustizia, alla pace e a condizioni di vita degne dell’uomo.
Proprio per questo, il tema del Sinodo - < La chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. <Voi siete la luce il sale della terra… voi siete la luce del mondo (Mt 5, 13,14) - è estremamente esplicito.
Riconciliazione, giustizia e pace sono i capisaldi per una nuova pagina di storia per tutto il continente africano. Dove non c’è pace e la parola passa alle armi non si può sperare in nessuna forma di progresso. Ma i conflitti, molto spesso, nascono da situazioni di ingiustizia e dalla sfrenata sete di potere che prende chi ha poca cura della dignità e del futuro di ogni singola persona. Anche la povertà viene non soltanto dalla mancanza di risorse ma dalla stessa radice in cui allignano molti mali, come la sopraffazione e l’egoismo. La chiesa guarda in faccia alla realtà senza infingimenti e la denuncia dei mali che viene dai suoi vescovi, dai suoi sacerdoti e da molti suoi fedeli è severa e senza sconti. Ma occorre sempre ricordare, che essa – come il Sinodo che ci prepariamo a celebrare – ha motivazioni essenzialmente pastorali. Ecco perché i <Lineamenta> ( il testo base di preparazione all’incontro, già pubblicato nel giugno del 2006) ha un taglio fortemente cristologico.
E’ Cristo, infatti, il nostro riconciliatore, la nostra giustizia, la nostra pace.
E’ a partire da questa verità essenziale, che la chiesa è in grado di portare il proprio contributo e di porsi in dialogo con le altre religioni, mettendo insieme le risorse necessarie per aiutare il continente a risorgere. In questa visione è del tutto esclusa ogni forma di sincretismo. L’identità di ognuno serve a chiarire meglio a tutti il tratto di strada da compiere. E la strada che è davanti alla Chiesa di Cristo, in Africa come altrove, è tracciata con grande evidenza anche nella recente Enciclica di Papa Benedetto, la <Caritas in veritate>.
<La religione cristiana e le altre religioni- scrive i Papa - possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica.>
Quando Dio trova posto nella realtà africana il dialogo, si può dire, è già in atto. E la rinascita già avviata.:
|