Il 6 aprile del 1994 il presidente del Ruanda Habyarimana, che
faceva parte della popolazione degli Hutu, fu ucciso in un attentato
mentre ritornava in aereo da un viaggio.
La morte del presidente scatenò un'ondata di odio, di
violenza e di vendette, che purtroppo erano già diffuse
nella popolazione. Bande di estremisti hutu con l'appoggio anche
del governo, seminarono il terrore e la morte nel paese soprattutto
nei confronti del gruppo rivale. Anche molti cittadini tutsi
furono uccisi.
Il genocidio, l’uccisione sistematica, cioè, di
tutte le persone di un’etnia, durò cento giorni,
dal 6 aprile al luglio del 1994 e provocò la morte di
quasi un milione di persone.
I
principali paesi europei e l’Onu abbandonarono quasi
subito il Ruanda alla sua sorte. Temendo le vendette, un'immensa
ondata di profughi fuggì in Tanzania ed in Congo, formando
enormi accampamenti (circa 2 milioni di persone) vicino alla
città di Goma, dove scoppiarono presto epidemie di colera.
Oggi il Ruanda è ancora un paese profondamente
ferito da ciò che è accaduto dieci anni fa: molti dei
profughi, che dopo anni sono rientrati in patria, hanno trovato
le loro case ed i loro villaggi distrutti e i rapporti tra gli
hutu e i tutsi sono ancora tesi. La guerra nel vicino Congo continua
a creare problemi ai ruandesi che ancora non possono vivere nella
pace.