Una storia di persecuzioni
che attraversa le epoche
Il titolo di questo
convegno segnala l’esistenza di un “caso”,
legato alle popolazioni zingare. Esso pu� essere
analizzato da molteplici punti di vista. Il
primo - a mio modo di vedere- riguarda le ondate
di persecuzione che senza soluzione di
continuit� hanno accompagnato i quasi sette
secoli della presenza zingara in Europa. Al
punto che una storia degli zingari europei pu�
essere fatta largamente coincidere con la storia
delle persecuzioni da essi subite. Non � facile
individuare un’altra minoranza – se non, con
ovvie differenze, gli ebrei –, che per un
periodo tanto lungo, e in maniera costante, sia
stata ovunque colpita da misure vessatorie
caratterizzate da una cos� acuta violenza e da
un tanto palese disprezzo dei diritti umani.
Le origini
misteriose, la riconoscibilit�, la spiccata
identit�, il carattere nomadico, in una parola
la loro accentuata alterit�, hanno fatto degli
zingari l’oggetto di un perdurante atteggiamento
di rifiuto da parte delle altre popolazioni
europee. Dotati di una cultura e di una lingua
orale non scritta, e dunque debole, segnati
dalla precariet� che una condizione di non
sedentariet� porta inevitabilmente con s�,
poveri, gli zingari delle varie denominazioni
hanno potuto in questi secoli poco proteggersi e
reagire alle misure emanate contro di loro,
costretti piuttosto a subirle senza validi
strumenti di difesa e rivendicazione dei propri
diritti. Il primo documento scritto che ne
registra la presenza nel nostro continente
risale al 1322, mentre � del 1471 il primo
(conosciuto) decreto di “espulsione”, quello
dell’assemblea di Lucerna, che intimava loro di
lasciare il territorio della Confederazione
svizzera.
Un esempio seguito dopo poco dalla Spagna, dal
Sacro Romano Impero, dai Paesi Bassi,
dall’Inghilterra, da Napoli, Firenze, Venezia e
molti altri, compreso lo Stato pontificio. Alle
espulsioni si accompagnarono le cacce all’uomo,
le deportazioni (come quella degli zingari
portoghesi in Brasile, Capoverde e Angola), le
leggi ad hoc, l’inasprimento delle pene,
fino alla comminazione della pena di morte, nei
territori tedeschi, a quegli zingari, espulsi e
marchiati a fuoco, che fossero tornati sui loro
passi. Nel 1725 – per fare un solo esempio delle
tante sentenze di morte decretate contro di loro
–, Federico Guglielmo I di Prussia ordin� che
gli zingari al di sopra dei diciotto anni,
uomini e donne, fossero impiccati senza bisogno
di processo, indipendentemente dalla loro
condotta di vita.
In questo clima
intollerante, appena mitigato da misure pi�
razionali durante l’Illuminismo, o da leggende
pi� positive in epoca romantica, si � verificato
il radicarsi di alcuni stereotipi sugli zingari,
destinati a incidere sul profondo della
mentalit� europea. Gli zingari divennero
anzitutto il “popolo maledetto”, segnato da un
“peccato originale” che ne avrebbe determinato
il destino di fuga costante, quale punizione per
non avere accolto la Santa Famiglia al tempo
della fuga in Egitto, o per essere stati i
fabbri che fusero i chiodi della crocifissione
di Cristo. Identificati ormai come gruppi dediti
al vagabondaggio e all’accattonaggio, rom e
sinti furono associati alla stregoneria, al
rapimento dei bambini, alla tendenza al furto.
Non sorprende,
dunque, che nella seconda met� dell’Ottocento le
nuove teorie razziali e poi criminologiche
fondate su presupposti pseudoscientifici e
biologici abbiano individuato proprio negli
zingari le caratteristiche antropomorfiche del
“criminale nato”. Gli zingari erano esempio,
secondo lo studioso positivista francese Bendict
A. Morel, che ne scrisse nel 1857, di una
“degenerazione” ereditaria, frutto di una
“influenza morbosa sia di ordine fisico sia di
ordine morale”.
Gli zingari attrassero quindi l’attenzione di
Cesare Lombroso, che credette di poter
individuare con precisione i segni di tale
degenerazione razziale, scrivendo nel 1878 nel
suo L’Uomo delinquente che “gli zingari
sono prevalentemente dolicocefali, hanno cio� il
cranio allungato come quello delle scimmie, e
sono quindi delinquenti antropologici, cio� non
delinquono per atto libero e cosciente, ma
perch� hanno tendenze malvagie che ripetono la
loro origine”.
(Nota Sandro Luciani come negli stessi anni
giudizi simili venissero espressi negli Stati
Uniti nei confronti degli italiani di recente
immigrazione).
Il successo di tali
teorie si accompagn� al diffondersi di quelle
sulla ineguaglianza tra le razze e la
superiorit� di alcune sulle altre, con la
diffusione dei saggi di de Gobineau
prima e di Chamberlain poi.
Gli zingari divennero cos� un gruppo razziale
inferiore e pericoloso. La miscela di
stereotipi, pregiudizi diffusi, teorie
“scientifiche”, violenze perpetrate senza remore
lungo sei secoli, costituiscono la premessa ai
tragici avvenimenti del XX secolo, quello in cui
in maniera sistematica si � tentato di attuare
un progetto di sterminio e di eliminazione
totale degli zingari dal suolo dell’Europa,
tanto da potersi definire genocidio.
La seconda
guerra mondiale e lo sterminio degli zingari
europei
Non � agevole
operare un bilancio delle persecuzioni verso gli
zingari durante la seconda guerra mondiale. Il
volume di Guenter Lewy, La persecuzione
nazista degli zingari, edito da Einaudi
(2002), tenta di risvegliare l’interesse storico
sulle popolazioni zingare, concentrandosi sullo
sterminio da esse patito per mano nazista. Lo
studio di Lewy si colloca – arricchendolo con
nuovi e originali elementi e fondandosi su una
seria ricerca archivistica – in un panorama di
ricerche ancora sfocato e lacunoso. Grazie a
questo studio disponiamo di un’analisi
sistematica del trattamento riservato dal
nazismo alle decine di migliaia di sinti e rom
che erano stanziati entro i confini del Terzo
Reich. Ma anche a quegli zingari che furono
trovati nei territori sovietici tra il 1941 e
1942 a seguito dell’invasione tedesca.
Nei
territori del Reich gli zingari furono
vittime delle tesi sull’igiene razziale e la
purificazione etnica, che andarono ad innestarsi
e a confermare un razzismo popolare
profondamente penetrato nella mentalit� tedesca.
La diffusione larga e non omogenea di queste
popolazioni sul territorio era percepita come un
duplice pericolo: razziale e territoriale. Com’�
noto, la politica razziale nazista intendeva
operare una selezione demografica “qualitativa”
per creare una comunit� di puro sangue tedesco.
La politica di espansione mirava a sua volta a
realizzare, attorno al grande Reich, uno
spazio abitato da genti autenticamente tedesche,
“ripulito” dagli elementi stranieri o presunti
inferiori. Fu tale duplice politica a condannare
il popolo zingaro alla scomparsa.
Una
parte importante dell’opera di Lewy � dedicata
alla ricostruzione degli sforzi compiuti dai
tedeschi per giungere ad una definizione
genetica dei nomadi. Per molto tempo gli esperti
razziali esitarono a fornire una precisa
qualificazione razziale degli zingari, nei cui
confronti non si riusc� a promulgare una legge
generale. Il capo del centro ricerche per
l’igiene razziale, Robert Ritter, fin� per
accreditare la tesi, di cui ho accennato la
genesi, secondo la quale il ceppo zingaro
avrebbe subito, una progressiva degenerazione a
causa di ripetute mescolanze avvenute durante il
secolare nomadismo tra India e Europa perdendo
quasi completamenti i caratteri puri originali
della loro razza. Insomma il 90 per cento degli
zingari avrebbe costituito il risultato di
“incroci indesiderabili”. Si raccomandava quindi
l’assunzione di misure atte a concentrarli,
impedirne la riproduzione, deportarli e infine
eliminarli.
Tuttavia, il
carattere massiccio dell’internamento degli
zingari in Germania, Austria e Boemia prima
della guerra non obbed� a espliciti ordini
superiori, ma vide protagoniste le municipalit�,
che intrapresero il concentramento con
motivazioni miste, fatte di odio e pregiudizi
“tradizionali”, nutriti da vaneggiamenti
razzistici. Il tornante decisivo giunse con la
guerra, quando tutti i criteri di selezione e
distinzione fino allora impiegati vennero meno e
gli zingari, anche quelli considerati misti,
furono assoggettati alla “soluzione finale” e
destinati ai campi di sterminio similmente agli
ebrei. Nella legislazione e nella prassi
amministrativa si nota una graduale
assimilazione tra ebrei e zingari, tanto che
nell’aprile 1942 l’ambasciata italiana a Berlino
informava il Ministero degli esteri che, “con
recente provvedimento, gli zingari residenti nel
Reich sono stati parificati agli ebrei e quindi
anche nei loro confronti varranno le leggi
antisemite attualmente in vigore”.
Tale evoluzione non
faceva che ratificare il sentire comune delle
alte gerarchie naziste, di cui � esempio il
medico Hans Globke, uno dei direttori generali
del Ministero dell’Interno, che sin dal 1936
sosteneva che “zingari ed ebrei sono i soli in
Europa ad avere sangue straniero” e proponeva di
classificare gli zingari, ai fini della
legislazione razzista, come “mezzi ebrei”.
Gli zingari
nell’Italia fascista
Anche in Italia era
diffusa una certa sensibilit� verso quello che
veniva definito il “problema zingaro”. La
politica fascista verso gli zingari tendeva a
colpire il nomadismo e prevedeva l’espulsione
dei nomadi stranieri anche se in possesso di
documenti validi. I provvedimenti fascisti
portarono di fatto all’internamento di molti
zingari, che dopo l’8 settembre si ritrovarono
in mano tedesca. Sarebbero necessari studi
ulteriori per illuminare i concentramenti di
zingari nei campi di Frignano (MO), Boiano (CB),
Agnone (TE), Pedrasdefogu (CA). Si stima che un
migliaio di zingari siano stati deportati
dall’Italia verso i campi di concentramento
nazisti.
L’Archivio centrale dello Stato conserva molta
documentazione relativa all’internamento degli
zingari tra il 1940 e il 1943 (fino
all’occupazione nazista), sia sui luoghi sia
sulle vicende personali di alcune famiglie o
carovane zingare italiane e straniere. La cosa
interessante � che parte della documentazione �
conservata in un fondo relativo agli stranieri,
mentre il resto sta nelle carte di polizia.
L’oblio e il
disinteresse verso la vicenda � testimoniato
anche dalla difficolt� a stabilire cifre certe.
Le vittime dello sterminio in Europa furono in
numero compreso tra (196.000 e) i 219.000
e il mezzo milione. Ma si tratta di stime. Certo
� che zingari si trovavano in tutti i luoghi
dell’universo concentrazionario, contraddistinti
dal triangolo nero degli asociali affiancato
dalla Z. La ferma intenzione di eliminare questo
popolo viene anche mostrata dalla scelta delle
autorit� tedesche di creare campi dedicati
esclusivamente o prevalentemente agli zingari,
come quello di Montreuil-Bellay in Francia, di
Lackenbach in Austria, di Lety in Boemia. Lewy
conclude amaramente: �Al di l� delle cifre,
resta che la perdita in termini di vite umane
inflitte dai nazisti alla comunit� zingara
furono tremende�.
Il dopoguerra e
la negazione del carattere razziale della
persecuzione
Subito dopo la fine
della guerra, sullo sterminio degli zingari cal�
il silenzio. Allo stesso processo di Norimberga
non si parl� del genocidio zingaro. Non solo: in
tutti gli altri processi successivi, mai nessuno
zingaro venne chiamato a testimoniare.
Nondimeno, durante i processi pi� volte venne
alla luce il terribile destino a cui erano
votati i nomadi, in particolare le sevizie
subite durante gli esperimenti medici cui furono
sottoposti. Cos� anche al processo contro Adolf
Eichmann, celebrato a Gerusalemme nel 1961,
pur essendo stato affrontato il capitolo
zingari, senza per altro nessuna testimonianza
degli interessati, questo capo di imputazione
cadde poich� “non � stato provato – recitava la
sentenza – che l’imputato sapesse che gli
zingari erano portati via per essere sterminati”.
Il governo tedesco,
da parte sua, aveva tutto l’interesse a non
riconoscere il carattere razziale della
persecuzione degli zingari, dato che solo i
perseguitati per motivi di “nazionalit�, razza o
religione” potevano accedere agli indennizzi
previsti dalla Convenzione di Bonn. In risposta
alle prime richieste di risarcimento, il
ministero degli Interni del W�rttemberg diram�
una circolare nel 1950, in cui si sosteneva che
la convenzione non riguardava gli zingari dato
che essi erano stati “perseguitati sotto il
regime nazista, non gi� per motivi razziali,
bens� per i loro precedenti asociali e
delinquenziali”. Nel 1956 si espresse anche la
Corte suprema della Germania federale, negando
nuovamente il carattere razziale della
persecuzione e sostenendo – come ricorda
Giovanna Boursier - che si era trattato solo di
misure dovute a una “campagna preventiva contro
i crimini”. Solo i deportati dal 1 marzo 1943,
data di inizio delle deportazioni in grande
stile ad Auschwitz, ebbero riconosciuto il
diritto all’indennizzo, poich� solo da quella
data la persecuzione avrebbe acquisito un
inequivocabile carattere razziale.
La sentenza del 1956
diede un avallo definitivo alla minimizzazione
della persecuzione dei rom, contribuendo alla
“congiura del silenzio” di cui gli zingari
furono vittime nel dopoguerra. Un ulteriore dato
significativo � rappresentato dalle motivazioni
addotte a giustificazione di questa politica: la
presunta asocialit� e l’inclinazione
all’attivit� delinquenziale. Queste
considerazioni ricalcavano considerazioni
pseudoantropologiche che avevano fatto da
battistrada alle elaborazioni razziste che
avevano condotto alla persecuzione e allo
sterminio. La “congiura del silenzio” era in
sostanza accompagnata da un brusio che
richiamava gli stereotipi con cui i rom erano
stati identificati nei secoli.
Solo nel 1980 il
governo tedesco ha riconosciuto il carattere
razziale della persecuzione zingara,
quando ormai molti dei sopravvissuti e dei
familiari delle vittime erano scomparsi o
rassegnati a non vedere riconosciuti i propri
diritti, dopo anni di lotte infruttuose. Mi
chiedo allora se non dobbiamo finalmente parlare
di un vero e proprio antigitanismo che ha
attraversato l’Europa, soprattutto nella prima
parte del Novecento, nutrendosi di pregiudizi e
di stereotipi coltivati per secoli. Tale
antigitanismo, come si � detto, ha provocato un
vero e proprio genocidio del popolo zingaro
nella Germania nazista. E’ un’ipotesi di lavoro
che si fa strada a fatica per il disinteresse
con cui il “caso zingari” � stato trattato nella
recente storia europea.
Dal punto di vista
storiografico, � possibile evidenziare analogo
disinteresse. � significativo che la prima
ricostruzione specifica e complessiva dello
sterminio degli zingari sia stata pubblicata
solo nel 2000, la citata opera dello storico
tedesco-americano Guenter Lewy, apparsa in
lingua italiana nel 2002. Fino a quel momento
queste vicende erano state rievocate in Italia
solo da studiosi non professionisti, legati in
qualche maniera al mondo dei nomadi, seppure con
una loro incisivit� come il bel volume di
Loredana Narciso La maschera e il
pregiudizio. Storia degli zingari (Napoli
1990) e il citato saggio di Giovanna Boursier,
Lo sterminio degli zingari durante la seconda
guerra mondiale (1995) e gli scritti sul
tema di Mirella Karpati. Ma lo sterminio non
pu� rappresentare una sorta di “questione di
famiglia”, riguardante esclusivamente gli
zingari stessi o pochi addetti ai lavori vicini
al loro mondo.
Conclusioni
Ripercorrere
sommariamente, come si � fatto qui, una storia
di persecuzione, pur consapevoli che la storia
degli zingari non � solo questo, ma come quella
di ogni popolo � intreccio di storia culturale,
linguistica, sociale e molto altro, conferma a
mio avviso l’esistenza e l’attualit� di un “caso
zingari”. Esso tuttavia non riguarda soltanto i
nomadi e la loro attuale, difficile condizione.
Il vero “caso zingari”, cui occorre trovare
urgente rimedio, � quello di sette secoli di
persecuzioni, angherie, intolleranza, razzismo,
e infine genocidio, con il quale l’Europa e gli
europei, non hanno fatto i conti. Non si tratta
di pronunciare condanne penali contro qualcuno,
magari postume. Ma di farsi carico, finalmente,
di una responsabilit�, che ci riguarda tutti, in
quanto europei, di fronte al male scatenato nel
nostro continente contro questo popolo per lungo
tempo.
Il lavoro di Lewy
pu� essere un’occasione per affermare che il
genocidio degli zingari coinvolge gli europei
come passaggio tragico in un periodo di forte
crisi e rivolgimenti da cui � sorta l’Europa
democratica. Lo sterminio degli zingari deve
diventare patrimonio comune, entrare nella
coscienza collettiva come punto da cui partire
per affrontare con una consapevolezza nuova le
sfide della convivenza. “Ma dov’� il posto degli
zingari nella memoria collettiva dell’umana
vergogna?”, si � chiesto Sergio Luzzatto.
E’ un fatto che gli
zingari non godono in Europa di nessuna vera
protezione n� simpatia. Non hanno uno Stato alle
spalle che ne possa difendere i diritti. Pur
essendo cittadini europei a pieno titolo sono
una “nazione senza territorio”, ma dotata dei
diritti e dei doveri del cittadino europeo.
Sospeso tra terrore e poesia, lo zingaro �
un’immagine piuttosto che un uomo concreto.
Seppure gli europei hanno ereditato dal
Romanticismo qualche simpatia per lo stile di
vita boh�miene degli zingari, quando questo
popolo cerca di mettere radici nella nostra
societ�, ogni attrattiva e simpatia vengono
perse e la psicologia collettiva davanti agli
zingari talvolta si accende di passioni
improvvise e irrazionali.
Dopo tanti secoli di
convivenza gli zingari continuano a
rappresentare una questione nelle societ�
occidentali, ma � un problema che eccede
largamente la realt� oggettiva di un gruppo
sociale marginale. Suscitano reazioni
sproporzionate alla loro consistenza: poche
migliaia in citt� di milioni di abitanti. Stando
alle cronache dei giornali la loro pericolosit�
sociale � per lo pi� limitata alle espressioni
di piccola delinquenza. Ma pi� frequentemente
essi rientrano nelle cronache per drammi umani,
come la morte per fame o per freddo dei loro
bambini ormai estranei alla maggioranza del
corpo sociale. Il fatto � che sappiamo molto
poco chi sono gli zingari, anche se essi vivono
nelle nostre citt� e nei nostri paesi ormai da
secoli. Quali e quante differenze tra loro che
non vengono nemmeno prese in considerazione! �
persino difficile dire se oggi il loro nomadismo
� una caratteristica imprescindibile o invece un
prodotto del rifiuto sociale che li circonda. Ma
qui il discorso ci porterebbe lontano.
La vera conclusione
di questa mia breve riflessione � nelle parole
di una donna zingara reduce bambina dalla
deportazione a Ravensbruck e Bergen- Belsen,
l’undicenne Ceija Stojka che nelle sue memorie,
Forse sogno di vivere, scrive:
“Bergen-Belsen, mio Dio! Sono stata
davvero fortunata a venirne fuori. E’
impossibile immaginarselo, � impossibile
raccontarlo. Bisogna andarci e guardarselo.
Basta togliere un po’ di terra dalle colline e
gli uomini sono nascosti l� dentro. Dilaniati.
L� sotto parecchi stanno con la faccia rivolta a
terra e non verso l’alto. Io e mia madre
l’abbiamo visto. Qualche volta quando mi alzo di
buon’ora penso: Ceija, sei in cielo e sogni?
Sogni di stare sulla terra? Non puoi essere
riuscita a venir fuori da Bergen-Belsen! E’
impossibile”.
Un’intera
costruzione culturale e sociale, quella europea,
ha inciampato e tutt’ora inciampa in questo
modesto ostacolo dell’alterit� zingara e non �
riuscita a fare i conti con la sua diversit�.
Che degli zingari loro continuiamo a sapere
pochissimo e, di conseguenza, a assumercene poco
la responsabilit� � davvero un’inaspettata
lezione di umilt� per la nostra cultura.
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