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23 Gennaio 2018 | BANGLADESH

Apre oggi la scuola con i primi 300 bambini rohingya nel campo rifugiati di Jamtholi

 
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Superata in parte l’epidemia di colera e di difterite che ha colpito una parte numerosa della popolazione Rohingya nei campi profughi in Bangladesh - soprattutto nel mese di dicembre e nella prima parte di gennaio – si affaccia all’orizzonte una nuova minaccia. Si tratta dell’arrivo annuale dei monsoni – che quest’anno sono previsti particolarmente lunghi e forti – insieme ad un ciclone che arriverà probabimente dal nord-est, per la metà del prossimo aprile.

Considerando che le baracche sono su pendii di terra sabbiosa e cedevole, è alta la probabilità di crolli e smottamenti del terreno per circa il 60% delle abitazioni provvisorie e, di conseguenza il bisogno di ripari di protezione. Monsoni significano anche possibile diffusione del colera. Per questo Sant’Egidio, continuando il suo impegno al fianco del MOAS (Migrant Offshore Aid Station)  nelle cliniche da campo di Shamlapur e di Unchiprang, ha distribuito in questi giorni consistenti aiuti in medicine per far fronte alla situazione.

A Scuola!
Allo stesso tempo, per rispondere al grande bisogno dei bambini, che ormai costituiscono più della metà della popolazione Rohingya nei campi - si parla oggi di 520.000 bambini – Sant’Egidio  ha aperto una Scuola per 300 bambini, nel campo rifugiati di Jamtholi.

La scuola funziona  da oggi per sei giorni la settimana, dal sabato al giovedì, dalle 9.00 alle 15.00, in tre turni di 100 bambini.

Gli insegnanti sono quattro rifugiati Rohingya, che erano maestri nel Rakhine prima di fuggire. Si tiene per ora in una baracca provvisoria, in attesa di avviare una costruzione più ampia e stabile su un terreno individuato per il quale si ha già l’autorizzazione. E’ realizzata in partnership con i volontari dei Dreamers e della Muhammadiyah, che gestiscono anche  un piccolo centro nutrizionale.

Fare scuola  è un gesto di speranza per il futuro dei rohingya, in un momento in cui la situazione è ancora bloccata: infatti la prospettiva di un possibile “rimpatrio” annunciata dal governo del Bangladesh dopo l’incontro con il governo del Myanmar a Naypyidaw, il 16 gennaio scorso, si scontra con notevoli difficoltà.

L'eventuale rimpatrio, infatti, è subordinato alla concessione ai rohingya della cittadinanza del Myanmar, e verrà concesso (secondo gli accordi sottoscritti) a non più di  300 persone al giorno. Questo significa l'eliminazione dei campi in un arco di dieci anni!

La scuola è il primo passo per provare a trasformare questa lunghissima fase di "emergenza" in un tempo utile, che prepari le nuove generazioni ad un futuro che ci auguriamo veda un processo di integrazione in una società multietnica. 

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