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3 Gennaio 2011

L'Intervista Marco Impagliazzo

«Va combattuta la paura diventata scontro di civiltà»

 
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«Dobbiamo combattere la paura dei popoli, delle nazioni e delle culture, perché rischia di diventare politica dei governi». 

Marco Impagliazzo, docente di storia contemporanea a Perugia e presidente delle Comunità di Sant'Egidio, indica la strada per rinnovare lo «Spirito di Assisi», la grande intuizione di Giovanni Paolo II quando 25 anni fa convocò nella città di San Francesco tutte le religioni del mondo a pregare per la pace, e dice: «Allora era il tempo della Guerra fredda, oggi la paura è diventata scontro di civiltà. Se Benedetto XVI ha deciso di rilanciare lo "Spirito di Assisi" significa che davvero la situazione è grave».

Professore, come è cambiata la paura?
«Diventa disprezzo per l'altro, perché di altra religione, di altra etnia, diverso. E oggi, in più, gli uomini favorevoli al dialogo sono considerati degli ingenui». 

E anche pericolosi?
«Sì, perché hanno ripreso in mano la bandiera della pace e incalzano i governi e le istituzioni sovranazionali. E soprattutto perché non ci stanno a fare delle religioni delle caricature. Oggi spesso si sente dire che il dialogo è inutile e che si può fare poco per la pace».

Perché?
«Vedo in giro un "fumo di pessimismo" che insidia le nostre coscienze. Si possono sempre trovare motivi per giustificare il pessimismo, ma sono tratti dalla violenza quotidiana del terrorismo, della criminalità, della guerra, che purtroppo viene nobilitata come strumento normale e necessario per risolvere i conflitti».

Esattamente il contrario di quello che ha detto il Papa il primo dell'anno.
«Certo. La guerra è la madre di tutte le povertà, materiali e anche culturali. Non credere nel dialogo significa avere una cultura povera di intuizioni e si tende così a rispondere alla violenza con altra violenza, invece di costruire ponti e aprire tavoli dove discutere e trovare insieme le ragioni della pace».

Ma qualche responsabilità l'hanno anche le religioni?
«Se si chiudono in strutture rigidamente identitarie la via del fondamentalismo come risposta ai problemi è l'unica che si apre davanti a loro. Vale per tutti, per l'islam e anche per ì cristiani».

Ma i cristiani oggi sono nel mirino. Perché?
«Sono l'elemento debole in molte società. Inoltre, dopo l'11 Settembre, nelle società islamiche si è diffusa l'immagine dei cristiani come araldi dell'Occidente. L'errore sta qui, ma i cristiani devono stare attenti a non cercare solo la protezione dell'Occidente. La soluzione non 'è schierarsi con l'Occidente, ma cercare il dialogo indipendentemente dalle posizioni dei governi».

Cosa devono fare?
«Spiegare che è nell'interesse delle società musulmane che le comunità cristiane siano vive e attive nel mondo mediorientale. Un Medio Oriente senza cristiani significherebbe la perdita di una presenza interna alla cultura araba, capace di rivendicare il pluralismo rispetto all'islam politico e all'islamizzazione. Senza di loro l'islam sarebbe più solo e fondamentalista. I cristiani rappresentano una forma di resistenza a un "totalitarismo" islamizzante. È il ragionamento che ha fatto al Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente anche il rappresentante islamico del Libano. Se si prosegue il dialogo su questo piano le cose possono migliorare».

Però c'è bisogno di sicurezza.
«È vero, ma non tutte le situazioni sono uguali e le semplificazioni vanno bandite. La sicurezza non viene solo dal riconoscimento dei diritti, ma anche da un consenso sociale e culturale che esprima la volontà di vivere insieme. E su questo piano alle comunità cristiane viene chiesto di essere minoranze creative. Benedetto XVI lo ha sottolineato più volte, rilevando che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro».

Anche Giovanni Paolo II, che inventò l'incontro di Assisi, era in un certo senso una minoranza creativa?
«Credo di sì, e quell'incontro fece scalpore. Ma oggi, 25 anni dopo, siamo qui ancora a ribadirne l'importanza. La creatività spazza via la paura e Benedetto XVI ha deciso di sfidare ancora le religioni e la politica internazionale convocando un incontro simile dopo 25 anni, dentro una crisi forse ben più ampia e drammatica di quella di allora».

La Comunità di Sant'Egidio sente un po' l'orgoglio per aver in tutti questi anni alimentato lo Spirito di Assisi? 
«Abbiamo fatto solo il nostro dovere di cristiani».


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