Greenaccord, Italia
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Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse [Genesi 2,15].
Nell’Eden tutto era come il Creatore aveva disposto, tutto era per il bene di tutti. Ma l’Eden non era un luogo di armonia in un mondo esterno immerso nel caos; l’Eden era ed è l’intero creato estratto dal caos di quel misterioso primordiale bing-bang che la scienza colloca a 15 miliardi di anni fa. L’Eden è il frutto di un processo evolutivo che unisce indissolubilmente tutti gli esseri viventi in un unico destino, dispiegamento di quella creatività che fin dall’origine pervade l’Universo e lo spinge attraverso un cammino di straordinaria potenza che continua ancor oggi.
Benedetto XVI, in un passaggio della lettera enciclica “Spe salvi” dice:
Il cielo non è vuoto. La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c'è una volontà personale, c'è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore. (Benedetto XVI, Spe Salvi).
Non ci appare allora solo un universo pieno di cose trasformate da fatti dettati da leggi, come quello che ci descrive la scienza, ma un mondo pieno di creature che scelgono obbedendo a dei valori. Allora noi creatura privilegiata, scelta fra le tante per essere a sua immagine, parte di questa storia di una creazione che non appartiene ad un passato lontano, ma continua ancora oggi, siamo investititi di una responsabilità maggiore: coltivare e custodire il giardino dell’Eden.
Come abbiamo adempiuto a questa missione sacra?
Oggi la nostra Terra ci appare come un giardino gravemente minacciato, in gran parte devastato, la sua recinzione divelta, le sue siepi calpestate, ad opera del suo stesso custode. L’uomo, guidato solo dal desiderio di cogliere per sé e subito le opportunità dategli dallo sviluppo della scienza e della tecnica, sembra aver dimenticato la missione affidatagli dal suo Creatore e si è fatto egli stesso creatore di un suo mondo, guidato da valori continuamente adattati alle opportunità del momento.
Giovanni Paolo II nella enciclica “Centesimum annus” scriveva:
Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui (Giovanni Paolo II-Lett. Enc. Centesimus annus)
Non è la ribellione di una natura ostile, ma è la ribellione di una natura sofferente per una tirannia che la minaccia, che minaccia anche la stessa vita umana. Abbiamo di fronte una grande sfida: sfamare i 9 miliardi di persone che probabilmente nel 2050 popoleranno la Terra. Per far ciò occorrerà che la produzione mondiale di cibo aumenti di almeno il 70%, in un periodo in cui si prevede che invece diminuirà consistentemente a causa dei cambiamenti climatici.
Alla fine dell’agosto scorso l’umanità aveva già utilizzato tutte le risorse che la biosfera è in grado di produrre in un anno; ciò significa che oggi stiamo erodendo quel capitale naturale che abbiamo ereditato dalle generazioni che ci hanno preceduto, lasciando alle generazioni future un mondo più povero; e ciò che è peggio è che stiamo assistendo ad un flusso unidirezionale di risorse naturali dal Sud al Nord del mondo, che realizza da una parte il sogno del capitalismo, la società dell’opulenza, dall’altra una povertà diffusa. Qui si pone un problema di giustizia ambientale, che consiste nel garantire a tutti l’accesso alle risorse essenziali come l’acqua, il cibo, l’energia. Il diritto delle popolazioni a godere dei frutti della terra su cui vivono, non può essere subordinato, come spesso avviene oggi, ad interessi economici di pochi, orientati ad attività estrattive e produzioni nocive per la salute umana e per l’ambiente.
Benedetto XVI, nella lettera enciclica “Caritas in veritate”, dice
La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà. [Benedetto XVI, Caritas in veritate - 9]
I mercati, con le loro regole elevate al rango di leggi, tengono ben saldo il timone dello sviluppo, relegando l’uomo al ruolo di strumento proteso a perseguire un benessere riposto nel consumo di sempre nuovi prodotti, che promette una felicità che non deve mai essere raggiunta per poter mantenere acceso il desiderio di nuovi consumi. Ognuno è proteso alla conquista della propria felicità; ma la felicità riposta nelle cose è un sentimento effimero ed autoreferente, è frutto della filautìadell'amore per sé; è un sentimento sterile, vittima del tempo che continuamente lo distrugge e lo rigenera sempre diverso ma pur sempre uguale, un sentimento che porta alla pigrizia della ragione e al sonno della coscienza, alla passività di desideri coatti, alla disperante omologazione al modello dominante, disperante perché incapace di sperare il nuovo, di pensare e perseguire una utopia.
Le persone che si muovono verso un centro commerciale, obbediscono agli stessi comandi dettati dalla moda e dalla pubblicità; cercano gli stessi prodotti. Stanno insieme come uno sciame di insetti, ma senza relazionarsi reciprocamente. Lo sciame è cosa ben diversa dal gruppo di persone che in epoca pre-consumista si incontravano nella piazza cittadina per scambiarsi opinioni ed informazioni, rafforzando relazioni ed intessendone di nuove. Nelle città moderne anche la piazza come luogo di incontro è scomparsa assumendo la funzione di parcheggio per le automobili. La negazione di questo bisogno di relazioni rende l’uomo infelice, più fragile e vulnerabile fino al paradosso della solitudine nelle nostre città sempre più affollate.
Benedetto XVI, nella lettera enciclica “Caritas in veritate”, dice:
Le modalità con cui l'uomo tratta l'ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta sé stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all'edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano”. [Benedetto XVI, Caritas in veritate, 51]
Questo sistema giunto ormai ad un estremismo esasperante nell’ossessione della crescita dei consumi che porta con sé l’accaparramento di quantità crescenti di risorse naturali da parte dei paesi ricchi, condanna alla miseria perenne quelli poveri. E all’orizzonte si affacciano, dopo le guerre per l’energia dei nostri tempi, nuove guerre future per l’acqua e per il cibo.
Allora, se il supposto progresso diventa portatore di così gravi minacce, appare in tutta la sua evidenza l’errore antropologico che è alla base della distruzione dell’ambiente naturale. E’ per questo che diviene importante rifondare l’economia secondo il principio dell’equità distributiva dei beni della Terra, e secondo il principio di responsabilità verso le generazioni future, passando dall’opportunismo competitivo alla collaborazione, alla solidarietà, alla sobrietà negli stili di vita. Non può esserci rispetto degli equilibri ecologici se non si afferma una “ecologia umana”. La ricchezza cercata instancabilmente dalla biosfera è quel valore che il grande ecologo e studioso dell’evoluzione Robert Ulianowicz chiama ”ascendenza”, cioè la capacità e la propensione dei sistemi naturali ad evolvere verso un sempre maggiore perfezionamento adattativo, ottimizzando i flussi di risorse a beneficio dell’intera biosfera, arricchendo la sua già straordinaria bio-diversità. E’ quella ricchezza che applicata alla sfera umana noi chiamiamo “trascendenza”, cioè la capacità di guardare oltre l’interesse materiale personale del presente, e lavorare per un futuro migliore per l’umanità e per l’intero creato, collaborando al dispiegarsi del progetto del creatore.
La Bibbia ci dice che noi siamo un frutto speciale della creazione, fatti a immagine e somiglianza di un Dio che ci chiede di partecipare attivamente e responsabilmente all’attuazione del suo disegno creativo. Questa collocazione privilegiata ci pone anche un vincolo ben superiore al rispetto della natura: amare tutte le Sue creature come Lui creandole le ha amate e le ama, seguendo l’insegnamento di Francesco d’Assisi di cui oggi ricorre la memoria.
Se diveniamo consapevoli che il Signore ci ha affidato un mondo dove non manca nulla e tutto è disposto secondo la sapienza del suo amore creativo, non possiamo avere paura del futuro, ma dobbiamo assumercene la responsabilità. Noi che veniamo da un secolo ricco di straordinari progressi, dobbiamo agire con la consapevolezza che un secolo è appena un istante dei 15 miliardi di anni di esistenza dell’universo, ed è un nulla di fronte all’eternità. E’ inutile cercare di perpetuare nel futuro un passato di successi e di privilegi: non c’è futuro che non abbracci nel bene e nel male l’intera umanità e l’intera biosfera, dall’invisibile batterio al più grande dei cetacei che solcano il mare. Sta a noi, con le scelte che compiamo oggi, fare in modo che il futuro sia migliore del passato.
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