La predicazione del pastore valdese Paolo Ricca a Santa Maria in Trastevere per la Settimana di preghiera per l'Unità dei cristiani
Dal Libro dell'Esodo 15, 1-6
“Potente è la tua mano, o Signore”. Questo, fratelli e sorelle, è il testo che le chiese dei Caraibi – dunque siamo nel centro America - ha scelto e ha proposto all’intera cristianità come tema della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che è iniziata ieri.
I popoli dei Caraibi, come forse sapete, hanno subito a lungo il dominio coloniale europeo, sia da parte della Francia, sia da parte dell’Inghilterra, sia da parte dell’Olanda. Questi popoli, già da un certo tempo, si sono liberati da questo peso del dominio coloniale, sono stati liberati, come il popolo di Israele è stato liberato dalla schiavitù dell’Egitto.
Il Cantico, che abbiamo sentito, di cui abbiamo sentito i primi sei versetti, è il canto di gioia, di vittoria, che il popolo di Israele canta, dopo aver attraversato il Mari Rosso e dopo aver visto l’esercito egiziano inghiottito dalle acque del mare e sommerso e praticamente distrutto, annegato, precipitato, sprofondato – come dice il testo – come una pietra in fondo al mare. Il mare li ha ricoperti, sono affondati come piombo nelle acque potenti.
Israele è salvo, ma l’esercito egiziano è perito. Migliaia e migliaia di soldati sono morti. Israele canta. l’Egitto piange. Israele festeggia. L’Egitto è in lutto. “Potente è la tua mano, o Signore!”. Ma la gioia dell’uno è il dolore dell’altro.
Così accade spesso nel nostro mondo. Mi ricordo che tanti anni fa, in un viaggio in India, udii un discorso di un politico di quel paese che diceva: “la vostra felicità è la nostra infelicità. Il vostro benessere è la nostra miseria. La vostra gioia è il nostro dolore”.
Sovente è così, anche oggi è così, che la nostra ricchezza è almeno in parte pagata dalla povertà di altri. Il nostro benessere è, almeno in parte, pagato dalla miseria di altri.
Quindi c’è una tristezza che attraversa questa gioia. Perché è giusto che Israele canti, è giusto, è vivo, è sopravvissuto miracolosamente; quindi è giusto che canti questo inno di gioia. Ma dovrebbe sentire anche i lamenti di tutti coloro che piangono, gli egiziani sprofondati in fondo al mare.
Perciò vi voglio raccontare un commento rabbinico a questo canto, un commento rabbinico che dice questo: Israele dunque canta di gioia, tutto il popolo fa festa, Miriam invita le donne di Israele a uscire dalle tende con i timpani, con le cetre, con strumenti musicali e a danzare dalla gioia per questo miracolo che permette a Israele di essere vivo. E gli angeli che sono davanti al trono di Dio – dice il commento rabbinico – vorrebbero anche loro cantare con Israele, unirsi al canto di gioia di Israele, ma Dio li rimprovera, dicendo: “. Come potete cantare un inno di gioia, mentre le mie creature, cioè gli egiziani, stanno affogando in fondo al mare?
E’ come se Dio fosse triste di questo male necessario, chiamiamolo così, la morte dell’esercito egiziano, un male necessario per salvare Israele, ma un male e non un bene.
“Potente è la tua mano, o Signore”.
Potente per liberare, non per uccidere. E’ la mano dell’uomo che uccide. Non è Dio. Potente per liberare un popolo schiavo. Perché lo libera? Dio non tollera la schiavitù. Dio non è neutrale davanti al male, davanti all’oppressione, davanti allo sfruttamento. Non è neutrale, non è al di là dal bene e del male, come dice Nitsche, Dio è col bene e contro il male.
Dio è partigiano, partigiano, non è imparziale.
Difende la causa dell’orfano e della vedova. Trae giù dai troni i potenti – dice Maria nel Magnificat – e innalza gli umili.
Quando si avvicina il Regno di Dio, molti primi diventano gli ultimi e molti ultimi primi. “Potente è la tua mano.
Davvero molto potente deve essere la mano del Signore per far sì che gli ultimi diventino i primi diventino gli ultimi e i primi gli ultimi. Molto potente deve essere questa mano di Dio.
Ma – voi lo sapete - proprio la potenza di Dio nel secolo scorso è stata messa radicalmente in discussione.
Conoscete, immagino, un famoso testo, una conferenza tenuta da un ebreo, intitolata “il concetto di Dio dopo Auschwitz”. In cui questo ebreo sostanzialmente dice quando ero bambino mi hanno insegnato in sinagoga che Dio è buono e onnipotente. Ma oggi, dopo Auschwitz, non posso più crederlo. Se fosse vero che Dio è buono e onnipotente, non avrebbe permesso Auschwitz.
Probabilmente Dio o è buono, ma non onnipotente; oppure è onnipotente, ma non buono e quindi non gli importava che succedesse Auschwitz.
Perché non è buono! E quindi bisogna scegliere dice questo ebreo, Hans Jonas, o un Dio buono, ma non onnipotente o viceversa. Io scelgo un Dio buono, ma non onnipotente.
Ma Mosè dice potente è la tua mano o Signore. Potente vuol dire molto potente, vuol dire onnipotente.
Allora come usciamo da questo dilemma? Ha ragione Jonas, che dice che Dio non è onnipotente. O ha ragione Mosè, che dice “Potente è la tua mano, o Signore”?
Ha ragione Mosè.
Ma bisogna capire una cosa, una cosa fondamentale. Noi associamo la nozione di potenza o onnipotenza alla forza, anche alla forza che riesce a imporsi.
Ma non è così che si manifesta l’onnipotenza di Dio. Non con la forza, tanto meno con la violenza.
Ma con la Parola, la Parola. E nient’altro che la Parola.
Dio è onnipotente, ma con la Parola. Non in altro modo.
E la Parola, se volete, è il massimo di impotenza, perché è una parola offerta, è una parola che chiede, che si offre, che si presenta, non si impone. E’ una parola non violenta.
E Dio ha detto non uccidere, l’ha detto fin dai tempi di Caino. Ma Dio non ha altra potenza che dire non uccidere. Se tu uccidi, se tu sei Caino, non è contro la potenza di Dio. Perchè Dio non ha altra potenza che quella della Parola.
E se volete una icona, come si dice oggi, cioè una immagine della potenza disarmata, della potenza disarmata della Parola di Dio, che è la sua vera onnipotenza, la sua unica onnipotenza, io vi propongo quell’immagine che avete tutti nella vostra coscienza, sicuramente.
L’immagine, il 5 maggio 1989, di un ragazzo disarmato cinese che ferma quattro carri armati.
Ecco, questa è l’icona, credo perfetta, della potenza disarmata di una parola muta, muta, ma vissuta, e quindi viva, di questo ragazzo disarmato che ferma il carro armato.
Questo sarebbe e dovrebbe essere la Chiesa di Gesù. Un ragazzo disarmato che ferma il carro armato degli eserciti, anche dell’esercito egiziano, senza affogarlo nel mare. |