Per tanti anni in Italia si è utilizzato il termine “nomadi” come sinonimo intercambiabile di Rom, Sinti o "zingari". Ma negli ultimi anni, con l’affermazione di un linguaggio politically correct “nomadi” ha avuto molta fortuna per definire le popolazioni Romanì presenti in Italia. I media lo hanno scelto e lo utilizzano comunemente e molte amministrazioni lo hanno introdotto nei propri documenti. Il termine però definisce popolazioni che vivono itinerando di luogo in luogo, senza una base o forma di stanzialità: non è più la realtà dei Rom e Sinti presenti in Italia.
Ma l’errore non è neutro; la parola nomade contiene una rassicurante promessa di temporaneità e dunque di estraneità alla comunità di residenti: ciò che consente più facilmente di escluderli dal cerchio della cittadinanza civica e della scolarizzazione. Di più, l’etichetta di nomadi permette alle autorità locali di costringerli a restare tali, cacciandoli senza doversi preoccupare di dove potranno andare, oppure distruggendone le pur arrangiate abitazioni per fornirli, quando va bene, di campi sosta malsani ed insicuri, fatti per scoraggiare il vivere stabilmente.
Proprio per questo è necessario affrontare con chiarezza il discorso legato al nomadismo: gli 8-10 milioni di Rom (Roms, Sintés, Kalés, Kaalés, Romanichels, Boyash, Ashkali, Manouches, Yéniches, Travellers, ecc – secondo una delle definizioni del Consiglio d’Europa) sono all’85-90% sedentari. E le stesse percentuali valgono per chi vive in Italia. Da molti anni la Comunità di Sant'Egidio spiega quanto la rappresentazione pubblica dei Rom e Sinti non corrisponda alla realtà di questo popolo: un microcosmo di persone molto distinte tra loro, di certo non più nomadi da molto tempo.
Così la scelta del sindaco Marino non è un esercizio linguistico come qualcuno l'ha definito, ma la scelta importante di uscire da un'ambiguità di fondo delle istituzioni. Chiamare e pensare alle persone per ciò che sono e non per quello che noi le immaginiamo o dipingiamo, aiuterà a pensare ed attuare politiche corrette.
Le scuole primarie sono pensate per i bambini: presentano banchi e sedie più piccole e anche i bagni tengono conto della "utenza" particolare. Pensare delle politiche (ad esempio in ambito abitativo o nell'istruzione) in favore di popolazioni nomadi, quando in realtà si tratta di popolazioni stanziali può portare (ed ha portato negli ultimi 40 anni) a gravi problemi.
Partiamo dal linguaggio, per cambiare mentalità e cultura e di conseguenza le politiche. |