Is 26, 7-9. 12. 16-19
"Il sentiero del giusto è diritto, il cammino del giusto tu rendi piano. Sì, nella via dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio. La mia anima anela a te di notte, al mattino il mio spirito ti cerca, perché quando pronunzi i tuoi giudizi sulla terra, giustizia imparano gli abitanti del mondo.
Signore, ci concederai la pace, poiché tu dài successo a tutte le nostre imprese.
Signore, nella tribolazione ti abbiamo cercato; a te abbiamo gridato nella prova, che è la tua correzione. Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo. Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre."
"Nella via dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te." "Al mattino il mio spirito ti cerca, perché quando pronunzi i tuoi giudizi sulla terra, giustizia imparano gli abitanti del mondo" (Is 26,8). Questa forte speranza riposta nel giudizio divino futuro, che abbiamo ascoltato nella lettura della messa odierna dal libro veterotestamentario del profeta Isaia, potrebbe al primo ascolto suscitare in noi qualche irritazione. Infatti, l'immagine biblica del giudizio divino non fa parte oggi dei contenuti preferiti della nostra fede. Essa contrasta piuttosto con la nostra idea - a volte un po' scontata - di un Dio buono e misericordioso. Il discorso sul giudizio divino spesso non riesce a superare la censura del nostro pensiero.
Ma ascoltiamo più attentamente e cerchiamo di capire il motivo per cui il profeta Isaia dice che il suo spirito cerca al mattino il giudizio divino. Il profeta Isaia associa a questa espressione un'ulteriore prospettiva: "giustizia imparano gli abitanti del mondo" (Is 26,9). Con ciò, è chiaro che il giudizio di Dio ha a che fare con la giustizià e, pertanto, non abbassa l'uomo, ma lo innalza. Il fatto che Dio nel giudizio universale si rivolgerà di nuovo alla mia vita vissuta, mi promette che non gli sono mai indifferente. E che tutta la storia del mondo verrà valutata e giudicata da Dio, sarà considerata con massima serietà. Non è dunque grave che vi sia un giudizio divino. Sarebbe molto più grave se non vi fosse alcun giudizio divino. Se così fosse, infatti, la storia del mondo sarebbe il tribunale del mondo, e ciò sarebbe terribile, perché significherebbe che i vincitori trionferebbero per l'eternità sulle loro vittime e che la giustizia non potrebbe mai affermarsi. L'esistenza di un giudizio divino è piuttosto un bene che va a nostro vantaggio. Non può esserci un giudizio più severo ed al tempo stesso più consolante del giudizio divino, che è mosso dalla grazia e che misura tutto secondo la sua grazia. Il Dio buono e misericordioso non lascia facilmente - come noi uomini - che la grazia abbia la meglio sulla giustizia; piuttosto, egli è, con la sua grazia, nella giustizia.
Questo è evidente quando guardiamo a quel giudizio che la fede cristiana ci pone davanti agli occhi, ovvero il giudizio di Gesù Cristo. Il suo segno distintivo inconfondibile è che, in questo giudizio, l'uomo povero e sofferente è innalzato a giudice e a giurato e soprattutto a primo e decisivo testimone del Vangelo. Ciò che è clamoroso nel messaggio biblico del giudizio del mondo è che Gesù non solo è solidale con i poveri e gli afflitti, con chi ha fame e sete, con chi è nudo e in prigionia, ma addirittura si identifica con loro: "ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Gesù ci lascia intendere così che egli è presente nel nostro mondo, celato in tutti coloro che soffrono, che sono poveri e abbandonati. Come Gesù, durante la sua esistenza terrena, ha preso le parti dei poveri e degli emarginati, dando per loro la sua vita fino alla morte in croce, così anche ora egli sta al loro fianco, come il Risorto.
L'uomo povero e sofferente è il luogo privilegiato della presenza del Cristo glorificato ed è la sua segreta ma molto reale epifania. Il grande teologo cattolico Hans Urs von Balthasar ha parlato giustamente di un "sacramento del fratello" - e naturalmente anche della sorella - dandone la seguente interpretazione: fratello e sorella diventano "portatori della parola interpellante di Dio, sacramento della parola che Dio mi rivolge. Questo sacramento si somministra nella quotidianità, non dentro gli edifici ecclesiali. Nel colloquio con gli altri, non nell'omelia. Non nella preghiera e nella meditazione, ma là... dove si decide se io nella preghiera ho veramente ascoltato la Parola di Dio."1
Affinché possiamo fare l'esperienza di questo sacramento del fratello e della sorella nella quotidianità, è salutare e necessario, nella preghiera, porci sempre davanti al giudizio di Dio, invocare Gesù Cristo, il giudice dei vivi e dei morti, e usare come misura della nostra vita il futuro giudizio divino. Se nella nostra quotidianità ci esponiamo al giudizio futuro di Dio, se vediamo nel Giudice che verrà il criterio per misurare la nostra vita ed il nostro agire e se meditiamo ciò con consapevolezza nella nostra preghiera quotidiana, allora capiremo che il giudizio di Dio è un atto di grazia e la prova fondamentale del suo amore e della sua misericordia. E allora il messaggio della lettura odierna non ci irriterà più, ma ci riempierà di una gioia profonda: "Nella via dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te" "Al mattino il mio spirito ti cerca, perché quando pronunzi i tuoi giudizi sulla terra, giustizia imparano gli abitanti del mondo."
1 H. U. von Balthasar, Die Gottesfrage des heutigen Menschen ( Wien 1956) 205 und 216 |