Union of Baptist Churches in Burundi
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Introduzione
La città é sociologicamente un luogo abitato dalle persone. Nella nuova forma di ambiente, i residenti non vivono essenzialmente di agricoltura. Nella città, il modello di vita dovrebbe essere migliore rispetto ad altri luoghi del mondo. E oggi noi viviamo in un’epoca nella quale per la prima volta nella storia dell’umanità, la popolazione urbana supera il 50% di quella mondiale. Pertanto si osserva come nelle città oggi il modello di vita non sia molto migliorato ma al contrario si vedono sorgere, qui e là in una urbanizzazione incontrollata vaste zone di povertà ed emarginazione urbana che sono spesso fonti di conflitti. Guardando la Bibbia, si potrebbe pensare che il modello della prima città, Babele, si ripeta in una confusione di lingue e di spiriti.
L’Africa sta cambiando molto velocemente, e fra le più grandi città del mondo, le megalopoli, si possono contare molte città africane. Il Cairo, Lagos, Kinshasa, Johannesburg … e si tratta di città dove i modelli di vita si rassomigliano sempre più nel quadro di una globalizzazione anonima e impersonale.
Ma in tutte le città africane l’individualismo guadagna progressivamente terreno, e il luogo della coabitazione diviene luogo di conflitti, motivati essenzialmente dal materialismo sfrenato che ha sostituito la vita di condivisione in comunità che per lungo tempo ha caratterizzato la società urbana. Per noi credenti che abitiamo le città, di fronte a Babele c’è sempre una visione, la Nuova Gerusalemme, la Città Santa, di cui ci parla il Libro dell’Apocalisse, “discesa dal cielo, da Dio, come una sposa adorna per il suo sposo”. Essa è un dono di Dio, là dove non vi sarà “più lutto, né grida, né dolore, perché il mondo di prima è scomparso”. E’ un utopia? E’ una visione che si apre. E fra Babele e Gerusalemme qual è il ruolo dei credenti ? A ognuno è affidata una missione, quella di costruire con il Signore le fondamenta della Nuova Gerusalemme.
L’esperienza del Burundi
Convertire la città è convertire un popolo, è un’impresa molto difficile ma possibile. Se io posso condividere con voi l’esperienza burundese, noi abbiamo attraversato dei momenti difficili di divisione e conflitti etnici che sono durati per più di 400 anni. Dal 1996 i combattenti armati hutu e tutsi hanno avuto il beneficio dell’intervento delle confessioni religiose) cattolici, protestanti, musulmani e altri, che si sono impegnati nel processo di trattative per la pace e la riconciliazione che ha portato alla tenuta del dialogo fra i politici. Io non potrei parlare di dialogo e di riconciliazione senza parlare del ruolo della Comunità di Sant’Egidio, che è riuscita a mettere insieme i politici burundesi per il dialogo e trovare il modo di salvare il paese che era caduto nell’abisso della zizzania tra i fratelli.
Durante la guerra civile che è iniziata nel 1993, dopo l’assassinio del Presidente Melchior Ndadaye, primo Presidente eletto democraticamente in Burundi, c’è stata a Bujumbura la balcanizzazione dei quartieri della città. I giovani in conflitto erano strumentalizzati dai politici nel corso delle violenze urbane attraverso una forte propaganda di odio etnico. E bisogna ricordare che il fallimento nella leadership politica del nostro paese reste il fallimento dei credenti, il sale e la luce del mondo. I politici sono i nostri figli cresciuti nelle nostre famiglie. Essi sono il risultato di quello che noi li abbiamo fatti diventare. Gli hutu e i tutsi si sono separati. Solo il quartiere Buyenzi a dominanza musulmana ha potuto mantenere l’unità fra i suoi abitanti! Nella pratica in fatti, solo i quartieri a maggioranza musulmana di Bujumbura, non sono stati afflitti dalle pratiche crudeli della città morta. Molti stranieri soprattutto Congolesi e Tanzaniani vivevano là in armonia, nonostante le loro differenze.
E’ stato difficile gestire il conflitto e fermare le violenze che ne sono seguite, molte persone sono morte e altre sono fuggite in esilio. Ci sono voluti uomini e donne credenti e partigiani della pace per cercare di ristabilire la situazione. La Comunità di Sant’Egidio ci ha aperto il cammino e dopo aver contribuito a riportare la pace in Burundi, ha lavorato per insegnare ai Burundesi a vivere insieme, per mezzo dei giovani dei quartieri di Bujumbura.
Per mettere fine alla balcanizzazione della città e per insegnare ai giovani a vivere insieme la Comunità ha organizzato degli incontri di preghiera e di servizio ai poveri dove i giovani di tutte le etnie si incontravano per pregare e aiutare i più poveri, soprattutto i bambini di strada che erano divenuti tanti a causa della guerra. Senza dimenticare una nuova povertà di cui si ignora troppo spesso l’esistenza in Africa, che è la condizione degli anziani che in molte città africane vivono nell’isolamento e nell’abbandono , lontano dalle reti di solidarietà dei villaggi. Essi sono spesso vittime di disprezzo e a volte di vere persecuzioni che possono terminare con omicidi e linciaggi. Attorno alle persone anziane nei quartieri delle nostre città potrebbe rinnovarsi un tessuto sociale di umanesimo che rinforzerebbe i legami delle relazioni sociali. Bisogna che le nostre Chiese si impegnino molto per una alleanza fra generazioni perché la pace di tutti i giorni si costruisce quando un giovane si avvicina agli anziani che portano spesso la memoria dolorosa e vivente della guerra. Così la Comunità ha mostrato ai burundesi di tutte le etnie che vivere insieme non solo è possibile, ma necessario, anche per elevare il nostro livello di vita sociale.
E’ a partire da questo esempio che il Consiglio Nazionale delle Chiese Burundi-CNEB ha organizzato diverse attività durante e dopo la crisi del 1993. Queso ha aiutato molto nel rimpatrio dei rifugiati esiliati principalmente in TANZANIA facilitando la riconciliazione fra quelli che rientrano dall’esilio e quelli che sono rimasti nel paese. In collaborazione con la Chiesa cattolica, noi abbiamo organizzato delle preghiere e degli incontri interreligiosi e ecumenici per aiutare il paese a uscire dalla crisi politico-socio-economico. Il consiglio interconfessionale-CICB, multi-religioso, è stato fondato nel 2008 dalla Chiesa cattolica del Burundi e dalla Comunità Islamica del Burundi con la filosofia che si basa su: “diverse fedi, azioni comuni”. Il CICB opera per il benessere del popolo, consolidare la democrazia e il buon governo. Bisogna notare che questa unità fra i credenti burundesi si consolida sempre di più, alla vigilia della costituzione della commissione verità e riconciliazione – CVR in Burundi.
Io credo che i credenti di tutte le religioni sono capaci di vivere insieme e trasformare la comunità dove vivono. E’ tempo di guardare al di là delle nostre divergenze per scoprire il potenziale della nostra diversità e cercare di costruire nelle nostre città la culla della coabitazione, perché una gran parte dei conflitti umani nascono dall’incomprensione reciproca, dall’ignoranza, dalla mancanza di ascolto dell’altro per conoscersi meglio li dove si vive uno vicino all’altro.
I dividendi della pace
I credenti, noi, siamo operatori di pace. Ma anche noi dobbiamo sempre sapere che la nostra fede deve essere accompagnata dalle opere. Così un processo di mantenimento della pace e della riconciliazione deve trovare delle risposte adeguate ai diversi bisogni dei protagonisti. Avendo già constatato che la maggior parte dei conflitti sorgono dalle frustrazioni e dalla miseria nelle quali vive la popolazione, in seguito a ingiustizie di diverse forme, l’opera del credente nella città deve anche considerare lo sviluppo integrato di tutti gli aspetti della vita umana fisica (salute), sociale, spirituale intellettuale di ogni persona. Ogni dimensione ignorata è una porta aperta e un varco per la distruzione della società e dei suoi cittadini. La società burundese non deve sprecare il dono della pace che si è raggiunto e noi dobbiamo seguire il passo della pace a partire dall’incontro con l’altro. A partire dalla città la società può divenire cosciente della necessità della vita comune e aumentare un capitale di esperienza e di umanità che allontanerà Babele e avvicinerà la Nuova Gerusalemme. Nella storia della Chiesa primitiva questa era considerata come una prospettiva quotidiana, noi impariamo che non c’erano i poveri e che i credenti vivevano in armonia, amore e aiuto reciproco. I credenti costituiscono un corpo solido unito, la Chiesa. I membri della chiesa obbediscono più ai padri spirituali che ai dirigenti. Come dice Martin Luther King, una Chiesa che non si preoccupa del benessere del popolo è una Chiesa morta. A tutti noi la responsabilità che viene anche da questi giorni a Anversa di fare delle nostre chiese e delle nostre città dei luoghi di vita e di pace. Grazie
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