Rector of the Rabbinic Seminary "Marshall T.Meyer", Argentina
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Un'attenta lettura della Bibbia ebraica, base e ispirazione delle religioni abramitiche, ci permette di comprendere che la stessa riconosca l'uomo come un essere pieno di conflitti, che ha come obiettivo risolvere. In tal modo, il quinto comandamento, quello di onorare i genitori, fa riferimento al rapporto conflittuale che abbiamo con loro e che dobbiamo superare, infatti se fosse così semplice non richiederebbe un richiamo speciale del Creatore per sottolineare il rispetto che gli si deve conferire.
Lo stesso si deve dire riguardo al rapporto dell'uomo con il suo Creatore. Da un lato Egli ci ordina di dominare la natura, e dall'altra, di ricordare, come disse Abramo, che siamo polvere e cenere (Genesi 18,27). Nel salmo 8 (4-6), si definisce chiaramente il paradosso della conflittualità dell'esistenza umana.
"Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l'uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell'uomo perché te ne curi?
Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato".
L'uomo, secondo la visione del salmista, deve trovare l'equilibrio fra la sua grandezza, peculiare fra tutte le creature create da Dio, e la sua insignificanza davanti al Creatore. Sapersi grandi, da una parte e mantenere l'umiltà e la semplicità sincera, dall'altra.
Allo stesso modo ci troviamo in conflitto col nostro prossimo e, a livello di popoli, gli uni contro gli altri. La lotta per la sopravvivenza, le gelosie, le invidie, sono fattori che portano all'irritabilità e all’esacerbazione tra individui e tra popoli. La proposta biblica ci rimanda sempre a lottare con le nostre passioni al fine di risolvere i nostri conflitti, tanto a livello individuale come collettivo, scegliendo l'opzione che sa prendersi cura e dare dignità alla vita. Quella propria e del prossimo.
La sfida dell'uomo, secondo la Bibbia, è sviluppare le sue capacità spirituali e intellettuali per risolvere tutti i suoi conflitti raggiungendo uno stato di equilibrio con il suo essere, con il suo ambiente familiare, con il suo prossimo, e le società tra di loro, per trovare allora un equilibrio con Dio.
Tale equilibrio si denomina in ebraico Shalom, che suole tradursi come "pace", vocabolo la cui radice è ShLM, la stessa del vocabolo Shalem, che denota ciò che è completo, integro. Nella narrazione di Giacobbe, in Genesi 33,18, leggiamo che una volta che fece ritorno a Canaan, avendo risolto la situazione conflittuale con suo suocero e superando la situazione di profonda inimicizia con suo fratello, giunse Shalem, integro, alla città di Sichem, così come interpreta la Midrash e molti esegeti.
Incontriamo in molteplici versetti del libro dei Re (I, 8,61; 11,4; 15,3-14; II, 20,3), allo stesso modo che in altri testi biblici, l'espressione “avere il cuore Shalem con Dio”, e anche quella di onorare Dio "con cuore shalem” (Isaia 38,3; Cronache I, 12,39; 28,9; 29,9- 19; Cronache II, 16,9; 19,9). Da ciò si deduce che nel lessico biblico, si onorano Dio e i suoi precetti quando si agisce con integrità, e questa è la condizione che concede Shalom all'individuo.
L'uomo che non risolve i suoi conflitti è un essere frammentato. Solo chi lotta con i suoi istinti e piega le sue pulsioni di morte e distruzione raggiunge un cuore integro. Nel testo del Deuteronomio (30, 19) appare la disperata esclamazione del maestro ai suoi discepoli -il popolo di Israele- nell’addio prima della sua morte: “prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza". L'intenzione ultima di tutti i precetti che Dio ordina al popolo d'Israele, è proprio perfezionare il cuore perché ciascuno dei suoi membri sappia scegliere sempre nella propria esistenza una via di vita.
Il versetto che definisce il credo nella Bibbia ebraica è quello che riferisce l'unicità di Dio (Deuteronomio 6,4): Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Si sono date molteplici esegesi di questo versetto. Partendo dalla visione di Abraham Joshua Heschel, che la Bibbia più che una teologia scritta dall'uomo è un'antropologia scritta da Dio , allora mi chiedo: cosa insegna questo versetto all'uomo? Che implicazione ha nella sua vita l'unicità del suo Creatore? La risposta che trovo è che la Bibbia insegna all'essere umano che deve imitare Dio, come dice il versetto: Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo (Levitico 19,2). Allo stesso modo si può dedurre che come egli è uno, così l'uomo deve tendere a essere uno, integro attraverso la risoluzione dei suoi conflitti.
Nel libro dei Numeri (15, 38-41), Dio prescrive al popolo d'Israele di collocare frange agli estremi delle sue vesti contornate da un filo bluastro affinché tenendoli sempre di fronte alla vista, l'ebreo non si prostituisca andando dietro a ciò che vedono i suoi occhi, incitandolo, e che abbia per sempre presenti i precetti da seguire. Uno dei saggi del Talmud intendeva che il compimento di questo precetto equivale a quello di tutti i precetti della Torah , infatti queste frange avvertono riguardo alla lotta che si deve avere con gli impulsi negativi e l'importanza di sublimarli al fine di risolverli con pace, per la vita, i conflitti esistenziali e raggiungere un cuore integro.
La contesa con gli impulsi non è facile. Si trova descritta nella narrazione della ribellione dell'uomo e della donna primigeni contro Dio mentre si trovano nel Giardino dell'Eden. Il serpente tenta l'uomo e sua moglie: "diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male". (Genesi 3,5) L'uomo primigenio non resiste a tale tentazione, quella di credersi Dio, nella quale cade, così come poi caddero tutti quelli che con un sentimento di onnipotenza egolatrica hanno transitato per questa vita.
Nel libro dei Numeri (6,24-26) si enuncia la formula con cui i sacerdoti dovevano invocare da Dio la sua benedizione per il popolo d'Israele. La stessa recita così: "Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace". È una delle poche preghiere con una formulazione descritta che appare nella Torah . L'elemento culminante della stessa è la pace. La pace è quella che Dio stesso riconosce come la meta più difficile da raggiungere nella condizione umana, perciò la propone come elemento finale che i sacerdoti pronunciano quando la invocano per benedire il popolo. Ciò che traduciamo come pace, che appare nel versetto corrisponde al vocabolo ebreo Shalom. Secondo Isaia (2,1-4) e Michea (4,1-4), in tempi successivi, espressione interpretata da tutti gli esegeti come tempo messianico, la storia universale dovrà finire quando l'umanità avrà acquisito la capacità di vivere in pace.
I valori che ciascun individuo adotta per la sua esistenza sono materia di fede. Come definì il professor Yeshayahu Leibowitz, dicendo: "i valori non sono suscettibili di essere argomentati", frase che soleva ripetere insistentemente, come base della sua concezione filosofica. Tutte le fedi, al di là della fede depositata in una visione su Dio, la natura e l'uomo, che considerano la giustizia, la misericordia, la speciale considerazione che merita ciascun individuo per il suo essere tale, l'amore, come i valori con i quali si devono costruire tutti gli atti dell'esistenza, operano per la pace. E' uno dei loro contributi più significativi per il bene dell'umanità.
Quelli che, pur avendo una fede abramitica in un unico Dio trascendente, interpretano fanaticamente la Scrittura, credendosi gli unici possessori della comprensione corretta della stessa e con il diritto di sottomettere abominevolmente tutti quelli che non coincidono con le loro visioni, svuotano l'autentico contenuto del loro credo, trasformandolo in paganesimo grossolano.
La pace è lo stato sublime al quale devono aspirare e per il quale devono lavorare tenacemente gli uomini. Sebbene la sua realizzazione ultima dipenda dalla volontà di Dio, è una sfida dell'umanità di tutti tempi costruire una realtà che forzi lo stesso Creatore a benedire le sue creature con la pace, così come la stabilisce nell'alto dei cieli (Giobbe 25,2).
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