| 5 August 2017 |
«Giù le mani dalle Ong» |
Impagliazzo: "Caccia alle ONG ora basta, si perseguano i trafficanti" |
Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio: il caso «luventa» è un'eccezione, leggi rispettate «Si sta diffondendo un messaggio denigratorio nei confronti di chi pensa soltanto a salvare vite in mare» |
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«Il problema non è dare la caccia alle Ong ma perseguire i trafficanti», commenta Marco Impagliazzo, storico e presidente della Comunità Sant'Egidio. «Mi pare che il dibattito cui assistiamo sia distorto. Le Ong non sono organizzazioni criminali, ma organizzazioni umanitarie: fanno un grande lavoro di sostegno alla società, supplendo spesso a funzioni che dovrebbero essere svolte dagli Stati europei. E invece si sta diffondendo con una certa malizia un messaggio denigratorio nei confronti di chi pensa solo a salvare vite in mare».
Eppure il caso della nave «luventa» è a dir poco inquietante.
«Su questo caso farà chiarezza la magistratura. Al momento è difficile esprimere un giudizio su una vicenda come questa. Ma non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di un'eccezione e che in genere le Ong rispettano le leggi del mare e le convenzioni internazionali».
Nove Ong su tredici non hanno aderito al Codice di comportamento del Viminale per le navi che effettuano salvataggi nel Canale del Mediterraneo.
«La questione fondamentale della controversia tra queste Ong e il ministero degli Interni è la presenza a bordo di funzionari armati, disposizione contraria allo statuto delle Ong adottato in tutti i Paesi in cui intervengono, non solo nel Mediterraneo. L'altro punto di contrasto è la proibizione dettata dal Codice del trasbordo dei naufraghi in navi più attrezzate, che può apparire come una pura limitazione ai salvataggi. Ma questo non vuol dire che vi sia una divisione netta tra Ong e Stato italiano. So per certo che generalmente tutte queste Ong collaborano attivamente e reciprocamente con la Guardia costiera».
Non pensa che anche nei soccorsi in mare sia necessario aderire a un codice di comportamento per evitare l'anarchia?
«È giusto regolamentare, ma non è giusto denigrare chi salva vite in mare. Il Viminale non sta denigrando nessuno, ma una parte della politica è saltata su questa vicenda per dare addosso alle Ong. Tutto ciò è sbagliato e carico di conseguenze per il futuro di organizzazioni impegnate a salvare vite e a migliorare le condizioni di tanta gente in tanti scenari del mondo, non solo nel Canale di Sicilia».
La missione della Marina italiana in Libia può aiutare a respingere i trafficanti?
«Naturalmente se si trattasse di aiutare le pattuglie libiche a contrastare i trafficanti sarei d'accordo. Ma mi pare una missione ancora da chiarire in molti punti. Dobbiamo capire meglio che cos'è la Guardia costiera libica e come lavora. La Libia non è un Paese affidabile nel trattenimento dei migranti, trattati in condizioni disumane. Del resto la Libia non ha mai firmato la Convenzione dei diritti dell'uomo».
È possibile trovare una soluzione agli sbarchi continui di migranti sulle coste italiane? Non dovrebbe essere messo un argine?
«Siamo di fronte alla grande questione del ventunesimo secolo: quella migratoria. Un problema complesso, epocale, che va affrontato con visioni molto più ampie della vicenda che vede coinvolte le Ong. Le soluzioni ci sono: dobbiamo favorire i corridoi umanitari e rivedere la legge sull'immigrazione, riaprendo ai ricongiungimenti familiari, rilanciando il tema della sponsorship: laddove ci sono associazioni di cittadini, comunità, parrocchie che hanno la volontà e le risorse per accogliere i migranti, perché non dargli la possibilità di farlo?».
Dobbiamo aprire anche ai migranti economici? L'Italia è in crisi, non possiamo accogliere tutti, si dice.
«È stata svelata da tempo l'ambiguità della distinzione tra migranti economici e non economici. In Italia ci sono imprese artigiane che chiudono non perché mancano le commesse ma perché mancano gli artigiani. Ci sono lavori che nessun italiano vuol fare. C'è un grande bisogno di manodopera, spesso poco qualificata, che non abbiamo. Dobbiamo rivedere le quote di ingresso, in modo da controllare l'equilibrio tra domanda e offerta, conferendo visti per ragioni economiche. L'Europa oggi è un continente chiuso, in cui si entra solo illegalmente, per vie pericolose e mortali. Il contrasto all'immigrazione illegale nasce perché non esistono vie legali all'ingresso dei migranti, molti dei quali vogliono solo raggiungere le famiglie nei Paesi del Nord Europa».
Il detto «aiutiamoli a casa loro» secondo lei è soltanto uno slogan?
«No, purché lo si faccia davvero. Bisogna che a livello europeo si creino degli uffici che valutino le domande in loco, dall'Etiopia al Niger, per indurre tanti migranti a desistere nel prendere la via del deserto. In questi due ultimi anni è stato fatto un grande lavoro diplomatico con Paesi che stanno collaborando col governo italiano. Il Niger è uno di questi. Noi di "Sant'Egidio" abbiamo invitato il presidente di questo Stato africano alla prossima preghiera della pace che faremo in Germania. Esistono numerosi Paesi che vogliono collaborare per far rimanere la loro migliore gioventù nella propria terra maggioranza dei membri della e collaborare e farla progredire. La maggioranza dei membri di "Sant'Egidio" vive in Africa: non ce n'è uno che ha voluto emigrare dal suo Paese. Hanno capito che si può continuare a lavorare per il proprio Paese».
Francesco Anfossi
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