Soddisfazione per l'accordo raggiunto, speranza per gli obiettivi fissati, ma anche consapevolezza che il cammino verso una piena riconciliazione sarà ancora lungo: queste, in estrema sintesi, le reazioni dell'episcopato colombiano e, più in generale, del mondo ecclesiale alla sospirata intesa ratificata mercoledì all'Avana - sede dei negoziati - tra Governo e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). La firma finale, prevista per il 23 marzo 2016, porrebbe infatti fine a uno scontro armato che insanguina il Paese da quasi sessant'anni. Sembra sciolto anche l'ultimo nodo delle complesse trattative, quello relativo alla questione delle conseguenze giudiziarie del conflitto.
«Il Papa - ha dichiarato l'arcivescovo di Villavicencio, Oscar Urbina Ortega, vicepresidente della Conferenza episcopale colombiana - ha detto che la pace deve essere costruita all'interno del sistema giuridico, nazionale e internazionale, quindi entrambe le parti dovrebbero anche prendere in considerazione questa raccomandazione e cercare ciò che tutti i colombiani desiderano, cioè la via della riconciliazione». Dopo aver ricordato che la ricostruzione della pace in Colombia sarà un processo molto lungo, il presule ha esortato a «imparare ad avere fiducia gli uni degli altri, altrimenti non possiamo costruire nulla. La sfiducia è infatti una delle conseguenze più pesanti che ci ha lasciato il conflitto». Monsignor Urbina Ortega ha infine ricordato che la Chiesa sta operando seguendo tre direttive, ovvero il perdono, la riconciliazione e la pace, ed essa continuerà ad accompagnare in tutte le regioni del Paese le vittime della guerra.
«Speriamo che í passi avanti compiuti all'Avana siano solidi», ha aggiunto l'arcivescovo di Ibagué, Flavio Calle Zapata, auspicando che i tribunali e le aule di giustizia garantiscano effettivamente la riparazione dei torti subiti dalla popolazione. «Voglia Dio che questi accordi si traducano subito in fatti per aspirare a una società più equa», ha sottolineato, avvertendo che allo scopo non basterà la firma di un'intesa finale tra Governo e Farc perché «la pace è un'edificazione collettiva che deve coinvolgere tutti i colombiani». Al settimo Congresso nazionale della riconciliazione, in corso a Bogotà, è intervenuto il vescovo ordinario militare, Fabio Suescún Mutis, presidente della Commissione episcopale per la pastorale sociale, il quale ha ricordato che «il conflitto armato non è l'unico attualmente in atto in Colombia, perciò i cittadini devono essere consapevoli che la riconciliazione è un processo lungo ed esige pazienza». Sulla stessa lunghezza d'onda l`arcivescovo di Cali, Darío de Jesús Monsalve Mejía, che in un comunicato afferma che «ora è il popolo colombiano a doversi preparare a superare i partitismi e ad assumere l'impegno di pace, lasciando da parte le posizioni ideologiche».
Padre Raffaello Savoia, superiore della delegazione dei missionari comboniani in Colombia, pone l'accento sulla punizione dei colpevoli e sul risarcimento dei danni e invoca «verità e giustizia». In dichiarazioni alla Misna, afferma che «questo accordo non è ancora la fine del conflitto ma è un passo fondamentale, essenziale in tal senso. La speranza di tutti è conoscere finalmente la verità su quanto è successo, sulle migliaia di crimini commessi. L'impunità deve finire e bisogna far sì che chi ha sofferto ottenga una riparazione e, ferma restando l'amnistia, chi si è reso responsabile di crimini contro l'umanità sia giudicato secondo il diritto internazionale».
Soddisfazione anche da parte della Comunità di Sant'Egidio che, attraverso le parole (riprese dal Sir) del presidente Marco Impagliazzo, parla di un'intesa che «avrà riflessi positivi al di là della Colombia», consentendo di «fare passi da gigante al processo di integrazione dell'America Latina».
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