YAOUNDÉ (CAMERUN) Ci sono due ali di folla, gente che balla e canta, che suona tamburi, che batte con i bastoni su vecchi fusti di benzina, su tronchi di legno, su tutto quanto fa rumore. La strada che dall'aeroporto porta in città mostra la gioia dell'Africa, che abbraccia Benedetto XVI. Lui sorride, guarda di qui e di là seduto sulla «papamobile». Ha aperto il vetro blindato. C'è una brezza leggera che increspa le grandi foglie dei banani e asciuga l'aria, ora che il sole tramonta oltre le colline che cingono la città. C'è un suono che non finisce, intreccio di ritmi e di mani che battono. Sono tutti lì sulla strada, i ragazzi delle scuole con le divise e le cartelle a tracolla, le mamme con i bambini in collo, signori in blu usciti dagli uffici. Benedetto XVI aveva appena scherzato sull'aereo dell'Alitalia, in volo verso il Camerun, prima tappa del suo viaggio in Africa, con i giornalisti sulla sua solitudine. «Un mito che mi fa ridere. Non mi sento solo, anzi sono circondato da amici e collaboratori». Eccoli i suoi nuovi amici africani.
Lui arriva, scende e va al cuore del problema di un continente dimenticato, al c uale però «schiere di missionari e a martiri» hanno offerto la «loro testimonianza». Parla nell'afa della pista dell'aeroporto, che una vegetazione incredibile di alberi di ogni tipo stringe da ogni parte. Parla in francese e dice subito che «in mezzo alle più grandi sofferenze il messaggio cristiano reca con sé sempre speranza».
Poi spiega qual è il compito dei cristiani: «Mai rimanere in silenzio davanti al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all'abuso di potere». Non ha timore di denunciare davanti al presidente Paul Biya, al potere da 27 anni e artefice di un emendamento alla Costituzione per restarvi a vita, la pratica che qui è considerata normale circostanza: corruzione. Il Camerun occupa il primo posto nella classifica mondiale di questa speciale vergogna.
E i vescovi di qui lo hanno più volte detto e scritto, l'ultima in una lettera pastorale di un mese fa, sottolineando che coinvolge anche i cristiani. Benedetto XVI conferma: «Il Vangelo va proclamato con forza e chiarezza». Poi evoca la piaga storica della schiavitù, che oggi — dice — prende altre forme moderne: «Traffico di esseri umani, specialmente donne e bambini». Ma l'Africa lo preoccupa perché soffre «sproporzionalmente», in un tempo di «globale scarsità di cibo», di «scompiglio finanziario», di «modelli disturbati di cambiamenti climatici». E la gente finisce preda della «fame, della povertà e della malattia».
Si complimenta, il Papa, perché in Camerun le cure per l'Aids sono gratuite. È uno dei flagelli dell'Africa: la malattia ha già mietuto 17 milioni di vite. In aereo i giornalisti gli avevano chiesto un'opinione. E lui aveva risposto che «i soldi non bastano, ma che non aiutano se non c'è l'anima in chi li impiega» e che l'uso dei preservativi non risolve i problemi, anzi li aumenta, se non si arriva a una «rinnovamento nella sessualità». Fa notare che «la più efficiente» nella lotta all'Aids è proprio la Chiesa cattolica. Cita l'impegno della Comunità di Sant'Egidio e dei missionari Camilliani, l'impegno di tante suore.
Per mezz'ora in volo sul Sahara ha conversato nel settore occupato dalla stampa internazionale. Ha spiegato che i motivi del ritardi della sua enciclica sociale sono dovuti a una maggiore attenzione e approfondimento dei temi legati alla crisi e ha rivelato che «eravamo giunti quasi a pubblicarla», ma poi «abbiamo ripreso il testo» in modo che «spero — ha detto — l'enciclica potrà anche essere un elemento e una forza per superare questa crisi». Ratzinger ha osservato che la crisi ha tra le prime cause «un deficit di etica» e ha chiesto alla comunità internazionale di «non lasciar sprofondare l'Africa sotto il peso della recessione mondiale». Ha parlato della Chiesa africana, molto impegnata a fianco dei poveri, che tuttavia «non è una società perfetta» e ha bisogno anche lei di «purificare le strutture», ma prima ancora i «cuori dei cristiani». E ha affrontato anche la questione delle sette che stanno colonizzando la religione in Africa, rilevando tuttavia che «non sono molto stabili»: «Annunciano prosperità e guarigioni miracolose. Noi invece non annunciamo miracoli, ma sobrietà, secondo il realismo cristiano. In un primo momento si vede che questo annuncio della prosperità pare vada bene, ma poi, dopo un po' di tempo, si vede che la vita è difficile e che un Dio umano, un Dio che soffre, promette di più: è un Dio più vero».
Ha fatto anche un riferimento alle religioni tradizionali, con le quali il dialogo prosegue con successo, anche se resta il problema del tribalismo e la paura che stregoni e sciamani provocano nella gente. Ha rilevato che «il problema delle religioni tradizionali è la paura degli spiriti» e ha riferito il parere di un vescovo africano: «Mi ha detto che uno è realmente convertito ed è divenuto realmente cristiano se sa che Cristo è più forte e allora non ha più paura».
E un'altra delle sfide della Chiesa in Camerun e in tutta l'Africa, della quale parlerà sicuramente il documento preparatorio del Sinodo speciale sull'Africa, che si svolge a ottobre a Roma, e che domani Benedetto XVI consegnerà ai vescovi africani nel corso di una solenne celebrazione eucaristica nella stadio della capitale.