Il Regolamento di Dublino, che disciplina a livello comunitario la protezione internazionale per i profughi extracomunitari, non può funzionare in questa epoca di migrazioni di massa, soprattutto perché affida in via esclusiva al primo Stato di accesso del richiedente asilo le responsabilità sulla gestione della domanda di protezione internazionale. Da un lato, contro ogni principio di solidarietà e corresponsabilità, scarica quindi l'onere dei grandi flussi migratori quasi esclusivamente sui Paesi d'approdo ai confini dell'Ue, tanto che solo 6 Stati su 28 si vedono investiti di oltre l'80% delle domande totali europee. In secondo luogo, il più delle volte, gli stessi migranti considerano Paesi come Italia e Grecia solo come "porte" d'accesso all'Europa e non destinazioni definitive, perché magari desiderano ricongiungersi con altri compaesani o familiari già residenti altrove, ad esempio in Germania, Francia o Svezia.
Dall'inizio dei grandi flussi migratori, l'Italia ha sempre denunciato l'indifferenza europea e si è sempre prodigata per l'affermazione di un principio di solidarietà tra i 28 Stati membri, che prevedesse meccanismi di redistribuzione dei migranti e un percorso di riforma del Regolamento di Dublino. Ma il più delle volte ha incontrato il muro di gomma di molti membri Ue, ben contenti di lasciare la patata bollente nelle mani dei vicini.
La grande novità è dello scorso 19 ottobre: dopo lunghe trattative, la Commissione Libertà Civili del Parlamento Europeo (Libe) ha dato il via libera (43 pro e 16 contro) alla proposta di modifica del Regolamento di Dublino avanzata della relatrice svedese, Cecilia Wikstrom, che prevede la sostituzione del principio del primo Paese d'ingresso con un meccanismo automatico e vincolante di redistribuzione in tutti i 28 Paesi Ue, che faccia riferimento anche ai «legami reali» con determinati Paesi membri (familiari, comunitari, linguistici) dei richiedenti asilo. Ora la palla passa al Consiglio Europeo per l'approvazione definitiva delle modifiche ma, in quella sede, le posizioni sono più polarizzate per la presenza di Stati - come il cosiddetto Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) - particolarmente ostili alle politiche europee di apertura e accoglienza.
Questa riforma, canta vittoria Cécile Kyenge (ex ministro dell'integrazione, attualmente europarlamentare Pd e membro della Libe), rappresenta «il tassello forse più importante per il completamento di un sistema comune di asilo basato sulla solidarietà e la condivisione delle responsabilità tra tutti gli Stati membri». Comunque un passo importante verso «un sistema europeo» che mette «al centro i diritti fondamentali delle persone», «anche per agevolarne l'inserimento e l'integrazione in un tessuto sociale non completamente sconosciuto». «Non lasceremo che il Consiglio affossi la nostra proposta né ci accontenteremo di un compromesso al ribasso», è il monito finale dell'europarlamentare.
Nella proposta di riforma compaiono anche altri elementi di innovazione, come la procedura accelerata per il ricongiungimento familiare, il rafforzamento delle garanzie procedurali e della trasparenza delle informazioni per i richiedenti, la maggiore tutela per i minori non accompagnati.
«Positiva» la proposta di riforma del Parlamento europeo secondo la Comunità di sant'Egidio (www.santegidio.org, 19/10). «Il fenomeno dell'immigrazione può essere affrontato dall'Europa in modo più unitario», si legge ancora nella nota, e «meno condizionato da strumentalizzazioni e paure che hanno il solo effetto di allontanare le soluzioni invece di favorirle». Con questa riforma l'Unione potrebbe andare nella giusta direzione, quella cioè di «rispettare il necessario "principio di solidarietà"». La Comunità esprime apprezzamento anche per la semplificazione del ricongiungimento familiare, «elemento che contribuisce in modo strategico all'integrazione» e ribadisce, ancora una volta, l'auspicio «che venga presa sempre più in considerazione la possibilità di aprire nuove vie di ingresso legale in Europa», sulla scia dei progetti sperimentali dei "corridoi umanitari" lanciati da Sant'Egidio insieme alla Fcei e alla Cei.
Soddisfatto anche il Centro Astalli dei gesuiti italiani, che parla di «significativo passo avanti» e di «segnale di speranza». Secondo il presidente p. Camillo Ripamonti, «prendere in considerazione il progetto migratorio di un rifugiato, valutare la sua storia personale e le sue prospettive di integrazione, nel decidere quale Paese sarà competente ad esaminare la sua domanda di protezione internazionale, oltre ad essere un ragionevole atto di umanità e buon senso, è soprattutto il segno di una visione giuridica che guarda al futuro con lungimiranza e responsabilità». Il via libera del Consiglio Europeo, in questa ottica, «restituirebbe finalmente quell'idea di Europa unita che meritano le generazioni future».
Giampaolo Petrucci
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