Il viaggio di Francesco in Brasile, per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha attratto l`attenzione per alcune curiosità: la borsa in mano al Papa che sale in aereo; la folla che quasi schiaccia la sua «utilitaria» che ha sbagliato strada...
C`è altro però. Un viaggio, per un papa, è una scoperta, specie il primo: vede in altro modo la Chiesa e il mondo. Avvenne in Messico nel
1979 per Giovanni Paolo II, che si convinse che viaggiare in quel modo era decisivo. In Brasile, Bergoglio ha trovato folle immense. La sua popolarità non è solo un fenomeno italiano. Riguarda anche l`America Latina, dove non era scontato il successo di un argentino. Si conferma così che il «popolo» sta con il Papa. Ed avviene quando, pur in modo cauto, emergono critiche dagli ambienti ecclesiastici sul governo di un papa troppo diverso.
Il «popolo» per Francesco non è un contorno passivo. Non è ristretto ai praticanti o ai cristiani impegnati. Egli ha una «teologia del popolo»
(diversa dalla teologia della liberazione, fondata sulla lotta di classe): per lui il popolo, anche semplice, è portatore di vissuto religioso e umano, di intuito di fede. Lo ha detto nel santuario dell`Aparecida, cuore popolare del Brasile: «Si può dire che il Documento di Aparecida sia nato proprio da questo intreccio fra i lavori dei Pastori e la fede semplice dei pellegrini». E un intreccio vitale per il Papa. E lo sta vivendo nei giorni brasiliani.
Non è populismo. Il documento di Aparecida, a cui Bergoglio ha lavorato direttamente (sua è, ad esempio, la parte sulla condizione degli anziani), parla di una Chiesa per strada, vicina ai poveri, nelle periferie. E la Chiesa di Francesco in un mondo tanto trasformato, più di quanto ci si accorga nei nostri paesi.
La Chiesa si deve ricollocare nel mondo globale che ha perso un centro a tutti i livelli: dall`esistenza delle persone ridotta a periferia, alla
storia con la crisi dell`Europa e dell`Occidente, fino alle nazioni espropriate dell`identità dalla globalizzazione. Francis Fukuyama, all`alba della mondializzazione, ha parlato di «fine della storia». Allo smarrimento si risponde spesso mettendo se stessi o un piccolo mondo al centro, quasi per negare l`irrilevanza e la periferizzazione. Sembra che la storia sia ferma, pur nell`abbondanza delle cronache. Per Bergoglio, la storia va rimessa in moto con una vibrazione profonda: «La fede - ha detto ai giovani a Rio - compie nella nostra vita una rivoluzione che potremmo chiamare copernicana, perché ci toglie dal centro e lo ridona a Dio; la fede ci immerge nel suo amore che ci dà sicurezza, forza, speranza. All`apparenza non cambia nulla, ma nel più profondo di noi stessi tutto cambia». La rivoluzione di Bergoglio è porre Dio al centro: così si ricostruisce una comunità umana anche in mondi periferici. Vedendo la crisi dei paesi emergenti (come il Brasile), di quelli opulenti e le difficoltà dei più periferici, Bergoglio crede che bisogna andare in profondità: suscitare le energie spirituali latenti tra la gente e nei popoli.
II Papa sente il limite delle società segnate dall`inoltrata globalizzazione finanziaria. Propone un`apertura: «La misura della grandezza di una società è data dal modo con cui tratta chi è più bisognoso...».
Con il suo messaggio Francesco cerca di creare un centro in mondi senza centro. Ha detto ai giovani: oggi Rio è il centro della Chiesa! Crede in un legame tra mondi periferici. Negli ambienti poveri del Brasile ha ripetuto: «Non siete più soli!». Per lui chi si apre a Dio, ritrova con altri un centro della vita e si apre anche ai poveri.
Può apparire un pio desiderio e basta. Certo non è un progetto politico. Ma così il Papa affronta le radici della crisi antropologica e politica
del nostro tempo. Senza spirito si diventa disumani: questo è l`umanesimo evangelico di Bergoglio che, come quello francescano, non
fugge la realtà. E' una proposta spirituale, antica e nuova allo stesso tempo, quella di colui che è in effetti il primo papa globale.