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20 Mars 2016

«Investire sull'Africa conviene, è miniera di pace e sviluppo»

Garofalo (Sant'Egidio): le bombe finiscono solo per compattare le spinte di protesta

 
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«Spero che sia l'inizio di una nuova proiezione italiana in Africa, un continente in cui possiamo fare la differenza», dice Mauro Garofalo, responsabile delle Relazioni internazionali della Comunità di Sant'Egidio presente in 19 Paesi africani, dove gestisce 61 "scuole della pace". «In questi ultimi due anni - nota - si è vista una presenza nel continente delle più alte istituzioni italiane come mai prima». Si parla, peraltro, di economie in grande crescita. L'Etiopia, primo Stato toccato dalla visita di Mattarella, verso il quale l'Italia ha storici interessi, cresce negli ultimi dieci anni a un ritmo medio del 10 per cento. In Camerun, Paese verso del quale l'Italia è il secondo partner dopo la Francia, quest'anno dovrebbe crescere del 6 per cento. Paesi fragili, circondati da guerre e minacce terroriste. «Oltre che doveroso, investire sull'Africa può essere anche molto conveniente, per lo sviluppo del nostro Paese. Come per prevenire le ondate migratorie e il reclutamento del fondamentalismo».
Mattarella indica ad esempio la cooperazione fra italiani e camerunesi.
La nostra presenza in Africa nasce 20 anni fa come assistenza ai poveri, e si è sviluppata molto sull'educazione al dialogo.Il presidente della Repubblica ha incontrato i volontari di Dream, che si impegnano da anni per la lotta all'Aids, con centinaia di migliaia di persone sotto cura, anche per evitare il contagio per i figli. In Mozambico avevano visitato i nostri centri anche il presidente Renzi e l'Alto Rappresentante Mogherini. Oggi le condizioni in molte aree sono cambiate, e il viaggio di Mattarella credo sottolinei come l'Africa possa diventare una grande opportunità, per l'Italia e l'Europa.
La visita di tutte queste istituzioni è un buon segnale?
Un bellissimo segnale. Senegal, Mozambico, Congo Brazzaville, Camerun, Etiopia, sono tutti Paesi in crescita in cui l'Italia può fare la differenza, e nel cercare di farlo scopre che c'è già tanta Italia. C'è la cooperazione, ci sono i missionari.
Quanto è forte il rischio terrorismo in Camerun?
Boko Haram è una delle realtà più preoccupanti fra quelle che si rifanno allo Stato islamico. È nato prima di Isis, ricordo, e da vari anni fa sentire la sua presenza, oltre alla confinante Nigeria, in Ciad e anche nel Nord del Camerun.
Ma contro sanguinari e tagliagole può bastare l'invito al dialogo?
Lo ha spiegato bene Mattarella. Le bombe, gli interventi militari, non cancellano alla radice le cause dello svilupparsi di questi fenomeni. In taluni casi, anzi, finiscono per compattare le diverse spinte di protesta e le convogliano verso queste formazioni terroristiche. Le bombe non risolvono le ingiustizie, non creano sviluppo né portano democrazia. I giovani sono i più vulnerabili, in questi processi, come ha ricordato Mattarella. E l'educazione alla pace e la cooperazione allo sviluppo sono le armi migliori che abbiamo.
Boko Haram è un pericolo concreto, anche per voi?
Per i nostri operatori stiamo applicando condizioni di sicurezza sempre più stringenti, ma questo per il momento non ci crea problemi particolari.
Quanto influiscono le crisi di queste aree nella pressione migratoria verso le nostre coste?
In larga misura. Nigeria, Mali sono Paesi indeboliti dal terrorismo e dalla povertà. Aiutare la stabilizzazione può essere molto importante. Pensiamo all'occasione che ha la Repubblica Centro-africana, che è stata il teatro di tante guerriglie, e che ora ha fatto le sue elezioni, ha un nuovo presidente. È una grande opportunità, che va sostenuta.
Mattarella ha anche visitato in Camerun la fabbrica di cacao della Ferrero. Si può coniugare sviluppo e promozione sociale?
È il modello da perseguire. Fra Europa e Africa c'è un destino comune, scommetterci è una strada giusta, che procura anche tante convenienze. Ma le istituzioni italiane investono poco o niente sulla cooperazione. Vorrei essere ottimista. C'è una riforma in corso, una nuova agenzia da creare. Si tratta di dar vita a un nuovo modello. Non più quello di un Paese che aiuta e un altro che riceve aiuti. La nuova strada è la sinergia. Paesi che crescono, che hanno bisogno di tutto e che possono anche essere un'occasione per noi. È la convenienza del bene.


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